Dietrich Bonhoeffer
Il prigioniero prega assorto nella piccola cella del carcere di Flossenbürg. E’ già notte fonda ma la Corte Marziale poco distante lavora alacremente. Bisogna fare presto. L’elenco dei cospiratori che non devono assolutamente sopravvivere è quasi pronto. Tra loro Wilhelm Canaris il brillante Ammiraglio della Abwehr che ha osato opporsi a Hitler meditandone più volte l’attentato. Assieme a lui i suoi complici: Oster, Strunk, Gehre, von Dohnanyi ed infine quello strano ma straordinariamente simpatico pastore luterano: Dietrich Bonhoeffer. Fuori tutto ormai crolla a pezzi: è l’8 aprile del 1945. Le truppe sovietiche si avvicinano a grandi passi a Berlino cercando di giungervi prima di quelle angloamericane. La sorte del regime nazista è ormai segnata: è questione di poche settimane, forse addirittura giorni. Molti pensano solo a mettersi in salvo. Altri no: prima bisogna eliminare quegli uomini. Forse non è odio ma solo burocrazia. Più tardi qualcuno scriverà che la malvagità può essere banale.
Il prigioniero accarezza tra le mani i libri che tanto ha amato: Goethe, la Bibbia, Plutarco. Sa bene che ormai è tutto finito, che le speranze degli ultimi giorni non sono state che un ultimo, tragico disinganno, che domani mattina lo verranno a prendere.
Si sorprende, quasi, di non provare disperazione. Anzi un sorriso benevolo si fissa impercettibilmente sul lato destro del viso. Il pensiero corre ai giorni felici dei viaggi in Italia, lo stupore e l’ammirazione per l’architettura di Roma e Venezia, e poi le conferenze a Londra, Oxford, New York, Stoccolma. Erano i giorni del successo, i giorni dell’amicizia fedele, della libera docenza in teologia, della pubblicazione dei suoi libri: “Sequela”, “La vita in comune”, “Creazione e Caduta – l’ora della tentazione”. Già l’ora della tentazione: anche Cristo ha vissuto qualcosa di simile: un processo sommario, una condanna già scritta, una notte di veglia in attesa dell’esecuzione. La tentazione è quella di odiare questa gente, questi volti anonimi di individui che tra la resistenza e l’arrendersi hanno scelto la resa. Sì, la responsabilità del disastro grava su costoro forse ancor di più che su coloro che lo hanno causato. La responsabilità di chi ha taciuto, di chi ha voltato lo sguardo, chiuso il cuore, serrate le mani, di chi ha lasciato, senza opporsi, che gli altri facessero. La tentazione è di detestarli per la loro debolezza e mediocrità. Ma anche cedere all’odio in questa ultima notte sarebbe una resa. Tornano alla mente le parole di una poesia scritta tanto tempo prima: “Tu che punisci i peccati e perdoni volentieri, Dio questo popolo io l’ho amato. Aver portato la sua vergogna e i suoi vizi, e aver scorto la sua salvezza: questo mi basta”. Sì, questo forse basta. Forse un giorno questo Paese: la Germania, questo continente: l’Europa intera, ecco forse sì, un giorno risorgeranno dal buio sozzo nel quale sono precipitati. Gli uomini che sopravvivranno cercheranno i nomi di chi ha saputo resistere. Più importanti dell’aria, più importanti della luce, più importanti della speranza. I nomi di coloro che non si piegarono, maestri e testimoni di coraggio. Un popolo, una civiltà non può tornare a vivere se oggi non c’è chi sia capace di morire per la libertà e la giustizia. E più di ogni altra cosa sappia morire senza odiare. “Dio, questo popolo io l’ho amato, io l’ho amato, io l’ho amato” ripete Dietrich dentro di sé come in una ninna nanna.
Improvvisamente una domanda che ghiaccia il cuore: “Ma tu Dio, Dio degli eserciti, Dio della vittoria, della giustizia, degli umili e degli oppressi: tu Dio, in quest’ora tragica della mia vita, rispondimi: dove sei? Dove ti sei nascosto? Perché non vieni a salvarci? Scendi dalle tue nubi, stendi il tuo braccio potente, disperdi questi malvagi, salvaci dalla corrente! Dio rispondimi: dove sei?”. Dietrich rimane a lungo in silenzio. Solo l’eco di alcuni passi di altri prigionieri inquieti. Una pallida luce che non conosce ancora i colori della primavera comincia ad annunciare l’alba. La Corte Marziale ha senz’altro già completato la sentenza. Lucidi stivali di pelle si fanno strada tra il labirinto dei corridoi di Flossenbürg diretti a quella cella. Fra poco una mano aprirà quella porta e leggerà quell’ordinanza di morte. E poi un pensiero, una luce: “Dio mio perdonami, come ho potuto anche solo per un istante dimenticare e dubitare. Quando l’uomo soffre ed è messo sulla croce io so dove trovarti. Sei anche tu sulla croce, debole ed esausto a condividere questa nostra sofferenza”.
Due giri di chiave nella porta che viene spalancata con violenza; un gendarme grida rauco e furibondo: “Prigioniero Bonhoeffer, prepararsi e venir via!”. Dietrich sorride e gli risponde: “E’ la fine. Per me l’inizio della vita”.
Nota bio-bibliografica
D. Bonhoeffer venne impiccato, nudo, il 9 aprile del 1945. Non aveva quarant’anni. Il 23 aprile le truppe americane liberarono Flossenbürg. Era stato arrestato due anni prima per la sua partecipazione attiva alla resistenza tedesca. Era appena rientrato volontariamente dagli Stati Uniti dove, se solo avesse voluto, avrebbe potuto salvarsi. Egli riteneva che la resistenza non dovesse essere solo morale ma realizzarsi nell’azione. Pastore e teologo ha profondamente rinnovato con i suoi scritti la riflessione sul ruolo del cristiano in un tempo secolarizzato, auspicando che l’impegno etico diventasse politico. La debolezza di Dio, le fedeltà alla terra e la responsabilità dell’uomo sono i temi dominanti di “Resistenza e Resa” (ed. Paoline) raccolta di lettere agli amici scritte dal carcere.