Sud Sudan, terra di dolore e violenza
E’ l’anno 2011 in Sudan: dopo un referendum popolare votato da oltre il 98% della popolazione, nasce lo Stato del Sud Sudan al motto di “Giustizia, Libertà, Prosperità”
Si potrebbe pensare alla realizzazione del principio di autodeterminazione dei popoli, di un lembo di democrazia auspicabile in una terra dove la parola genocidio evoca momenti di vita quotidiana e non fatti rilegati ad un libro di storia. Ma non è così: nell’A.D. 2011 nasce uno Stato che in pochissimi anni anni sommerà in modo tragico conflitti fratricidi, crisi economica e nefasti effetti del cambiamento climatico.
Nel 2011 nasce in Africa uno Stato che in pochi anni si sta avviando all’autodistruzione a partire dal 2013, quando si apre il conflitto tra l’etnia Dinka e l’etnia Nuer, cui appartengono rispettivamente il Presidente ed il suo Vice Presidente: circa 50.000 sono stati gli stermini frutto di quel conflitto etnico perpetrato anche attraverso l’uso di armi non convenzionali.
L’agricoltura è la principale economia del Paese, ma la siccità l’ha resa ormai improduttiva tanto che alcuni giorni fa il Governo in carica ha dichiarato lo stato di carestia. La ricchezza maggiore del Sud Sudan, il petrolio, è fonte di conflitto con il Nord del Paese; potenzialmente, il petrolio potrebbe risollevare le sorti di questo Stato, considerato tra i più poveri al mondo. Ancora una volta, alla grande ricchezza del suolo corrisponde un altissimo debito del Paese, ancora una volta la ricchezza non è sviluppo ma conflitto e carestia.
Gli aiuti umanitari richiedono l’impiego di circa 1,6 MLD $ per far fronte alle necessità della popolazione, la distribuzione e l’allocazione degli aiuti è una corsa contro il tempo nel passaggio dalla stagione secca a quella dell piogge, durante un conflitto interno che non pare sedarsi.
Come può sorridere alla vita un bambino che nasce in questo Stato?
Non possiamo che provare ad immaginare con quale animo si mette in cammino chi scappa dal nulla alla ricerca di qualsiasi altra cosa che abbia però una parvenza di democrazia e di umanità, forse il motore del cammino dei migranti è la rassegnazione e non più a speranza. In uno Stato così devastato, non è difficile immaginare quanto allora diventi preziosa l’ancora della fede e la necessità che le Chiese si uniscano per diventare strumenti di pace e di sostegno. Un paese con un debito pubblico tra i più alti al mondo non può di certo provvedere ai suoi cittadini, anche nell’erogazione di servizi minimi essenziali perché di essenziale, in quel paese, non esiste neanche l’umanità. Colpisce per questo l’intenzione di Papa Francesco di organizzare un viaggio proprio nel Sud Sudan al fianco dell’Arcivescovo di Canterbury, a sostegno di quella giovane Chiesa che così incessantemente chiede aiuto e che denuncia quotidiani orrori.
Ne scrivo oggi perché il tema della migrazione dei minori accompagnati è oggetto di discussione nelle Aule Parlamentari, perché la forte denuncia che l’associazione per i diritti umani “Italians dar Darfur” ha pubblicato in un proprio recentissimo report, non possono che porre questo tema al centro di un dibattito che interessa la politica nazionale: da cosa scappa chi,stremato, raggiunge le nostre coste in cerca di un rifugio? Proprio oggi, grazie al progetto #corridoiumanitari, si apre un nuovo corridoio tra la Siria e l’Italia: arriveranno nel nostro Paese circa 125 persone. In attesa che un corridoio possa aprirsi anche in quella terra di dolore e violenza, possiamo solo che auspicare il sempre maggiore sostegno all’azione delle 137 ONG che lavorano in Sud Sudan per fronteggiare la crisi umanitaria, perché questo Stato possa un giorno diventare casa sicura anziché vivaio per nascenti fondamentalismi.