Lo sguardo oltre l’orizzonte
(Riflessioni a batticuore sul ruolo dei capi scout
nell’educazione ad una esigente vita interiore)
Basta con lo spirito da “ultimo banco in fondo alla chiesa”, da devoti dell’acqua santiera così come da eterne pecore perdute. E’ talvolta sconfortante constatare con quanta abilità ci si mimetizza dietro mille alibi, scuse, pretesti che hanno come unico esito la rinuncia a misurarsi con le pagine impegnative del Vangelo. Vi è da questo punto di vista un tratto comune tra l’atteggiamento clericale dei pii e devoti che annuiscono sorridendo seraficamente alla omelia del prevosto (e mai si darebbero da fare per esprimere un pensiero personale ed originale) e l’atteggiamento di coloro che sono perennemente in crisi, dei ribelli senza rivoluzione, dei dubbiosi per principio, dei critici feroci indulgenti solo verso se stessi. Il tratto comune è quello di una sostanziale pigrizia che porta ad eludere le domande di fondo e a non cercarne le risposte. La vita personale e la vita scout escono inaridite da questi atteggiamenti.
L’annuncio della Buona Novella non è prerogativa esclusiva degli assistenti ecclesiastici.
Un ruolo centrale può e deve essere rivestito dai laici, intendendo con questa espressione i Capi e gli stessi ragazzi. Come per ogni altra dimensione della vita scout anche quella della evangelizzazione e della ricerca spirituale comporta una chiamata per tutti a giocare un ruolo da protagonisti.
Il punto è che, pur con il massimo rispetto per la scienza teologica, la biblistica, la patristica, la moralistica ed in genere le varie scienze da seminario, i Vangeli sono stati scritti da gente semplice innanzitutto per altra gente semplice (come i Capi scout, appunto). Non c’è pagina di Matteo, di Marco o di Luca che non possa essere compresa da chi abbia superato anche con solo modesto profitto la terza elementare. Ne sono prova le riflessioni dense di luce che ascoltiamo a volte da noi nostri lupetti e dalle nostre coccinelle.
La cronica mancanza di assistenti ecclesiastici nei nostri gruppi scout, per quanto deprecabile, non può divenire pretesto per disertare un compito che riguarda tutti, mi verrebbe da dire: persino coloro che non si sentono cristiani: quello di cercare il senso dell’esistere e le ragioni di sperare nelle pagine millenarie che raccontano la vicenda di un uomo buono condannato a morte e che seppe parlare della vita anche ai ladroni .
Il punto sul quale è necessario interrogarsi è infatti proprio questo: che tipo di proposta può fare un Capo se dal suo orizzonte (vale a dire dalle sue parole, dai suoi comportamenti, dalle sue proposte, dal suo stile di vita) manca la dimensione spirituale? Che tipo di uomini e donne potrà suscitare? A che tipo di ragazzi saprà parlare?
Le attività scout hanno evidentemente una loro ricchezza e validità a prescindere dalla dimensione spirituale: fare i nodi, giocare a scalpo, discendere un fiume in canoa…. Tutte cose belle e divertenti. Attività di svago e intrattenimento potremo dire, certamente sane, moralmente positive …… Ma totalmente inadeguate a spiegare le ragioni dell’esistere, il perché della gioia e della sofferenza, la ricerca del vero, della bellezza, di chi sono e di dove sto andando. In altre parole di parlare di quelle cose per le quali un ragazzo e una ragazza possono accettare di escludere l’opzione dell’assurdo, del nulla, dell’autoannientamento e decidere per l’impegno, per il dono, la lotta, l’amore.
La vita infatti è tutto questo e a vent’anni lo sentiamo forse con più forza e intensità che in ogni altro momento della nostra esistenza. Forse perché siamo sull’orlo di scelte che ci possono compromettere, forse perché vivere e morire sembrano a volte i due lati della stessa medaglia, forse perché facendo il bene sentiamo che basterebbe poco perché compissimo anche il male. Forse perché è tutto così fragile, incerto, una leggera brezza di vento sulla cresta che ci fa decidere di scendere dal versante nord della montagna anziché di quello a sud. Forse perché è tutto così complicato e al tempo stesso maledettamente semplice che abbiamo bisogno di parole che non siano soltanto convenzioni, propaganda, messaggi scritti sull’acqua….
Forse è per questo che abbiamo bisogno di un uomo, una donna, di un Capo scout che non ci vogliano irreggimentare, fare predicozzi, riportarci all’ovile, ma parlare di ciò che sentiamo mettendo in discussione anche loro stessi, parlando di questi problemi che hanno vissuto sulla pelle e non soltanto tra le righe di libri ingialliti.
E di cosa parlare se non del senso radicale, del perché ultimo, di cosa è successo a questo nostro amico che è morto a vent’anni, che senso hanno la violenza, il sesso, la preghiera, l’amore di una donna, il pianto dei bambini, il silenzio del deserto, il perdono, il senso del peccato, il miracolo di una vita nuova?
Di questo vale la pena parlare, di questo vale la pena provare a mettere in pratica qualcosa. Se non è a vent’anni che si può lasciare tutte le ricchezze per quella sola perla che è il Regno dei Cieli quando mai ne avremo il coraggio? Se non è in Clan che sapremo tagliare in due il nostro mantello per darlo ai poveri quando mai ne avremo l’audacia? Se non è lungo la route che sapremo guardare le stelle come se fossero amiche di sempre quando mai avremo uno sguardo altrettanto puro?
E a che serve uno scoutismo che non sappia parlare delle scelte di fondo, delle ragioni per cui vale la pena di battersi, delle cause per cui donare l’esistenza intera?
E’ tutto così semplice nello scoutismo: la strada, il fuoco, l’amicizia, l’acqua di una fontana ed ecco: anche il canto lieve di una preghiera sussurrata, la consapevolezza di condividere il Mistero che abita nel profondo la vita di ciascuno di noi.
Tutto questo discorso intende dire che la vita scout rischia di essere monca se non è costantemente aperta su questo Mistero, su questa prospettiva di lungo percorso.
La testimonianza di un laico, di un Capo e una Capo assume un valore che, ritengo, può diventare ancora più importante e decisiva di quella di un sacerdote. Quest’ultimo ha come dimensione esclusiva (alla quale i laici non possono accedere) quella della celebrazione dei sacramenti (in particolare della Comunione e della Riconciliazione). Ma la testimonianza dei laici, ancorché giovani e inesperti, ancorché in crisi e in cammino, può avere una forza di trascinamento senza pari. Infatti, proprio a causa di questa difficoltà, proprio per la lotta che ciascuno di essi (di noi) è chiamato a condurre nella propria vita essa diventa più credibile.
Certo, questo fatto esige un impegno e una serietà di intenti non da poco: la nostra vita personale deve essere all’altezza o perlomeno tendere con tutte le sue forze a questa credibilità: Capi rassegnati, impigriti, ingobbiti, incancreniti sulle proprie carenze e difficoltà non hanno nessuna possibilità di aprire alla speranza il cuore dei propri ragazzi. Questo genere di persone trascinano nella loro sconfitta anche coloro che dovrebbero guidare verso la felicità e il successo (secondo la definizione di B.-P. delle finalità dello scoutismo) e sono solo condottieri di vergogna. Non si può essere veramente Capi scout se non si desidera il bene dei propri ragazzi e non si può desiderare veramente la felicità per loro se non siamo desiderosi e disponibili a volerla anche per noi e a batterci per essa. Dunque un impegno è necessario. Una ricerca di qualità della propria vita spirituale è la condizione preliminare per una ricerca di qualità della proposta educativa che rivolgiamo ai ragazzi.
Grande è la responsabilità che ciascuno di noi porta verso di essi. Grande è la possibilità di dare un significato alto alla nostra esistenza nell’’impegnarci a favore di essi: vale a dire a suscitare in essi quella fiamma che ardeva nel petto ai due discepoli di Emmaus, e che li spinse a riprendere il cammino prima ancora che spuntasse l’aurora.