Custodi e ribelli
Secondo la definizione del Dizionario della Lingua Italiana Devoto Oli il significato della parola “indignazione” é quello di “risolutaribellione a quanto offende la dignità propria o degli altri”. Approvo questa definizione e anzi sento nei suoi confronti una spiccata simpatia. I motivi sono molteplici. Innanzitutto mi piace questa idea della ribellione che immagino come una forza profonda, nascosta, quasi dormiente nelle viscere dell’anima, che forse neppure sappiamo di possedere ma che un giorno, quando viene provocata da qualcosa che non è più sopportabile, è capace di risvegliarsi all’improvviso, di alzarsi e di mandare tutto all’aria.
E’ vero, purtroppo, che la nostra organizzazione sociale è in larga misura strutturata per favorire il conformismo, il seguire la corrente, persino la rassegnazione. Mi risuonano nelle orecchie parole già sentite: “Abbiamo le mani legate!”, “Tanto non cambia nulla!”, “Che ci vuoi fare?!”, “Vivi e lascia vivere”. Parole, frasi, pensieri che cospirano per farci accettare in modo fatalista quel che pare ineluttabile. Una scrollata di testa, un’alzata di spalle e poi via, ciascuno per la sua strada a pensare ai fatti propri e a leccarsi le ferite.
Invece no, proprio quando tutto sembra perduto, abbandonato, rinunciato ecco che avvertiamo sorgere un moto di ribellione, questa scossa tellurica che trova origine nel profondo. E’ una forza irrazionale e al tempo stesso terribilmente logica, un magma di sentimenti di giustizia, di verità, di ritrovato coraggio e libertà che ci fa alzare la testa, stringere i pugni, restare in piedi mentre tutti si siedono. Una voce che si fa forte nella gola. Sentiamo noi stessi pronunciare parole che mai avremmo immaginato di poter dire. Ecco l’uomo in rivolta, la ribellione che avanza, sì la ribellione, un sentimento per gente semplice, per nulla abituata ai raffinati cerimoniali delle stanze del potere. Ecco la ribellione, un moto viscerale magari anche un po’ plebeo ma che svela in noi una voglia di bellezza, di purezza, di nobiltà morale che non può essere soffocata.
Qui sta un secondo motivo della mia simpatia verso la definizione del Devoto Oli: ribellione verso quanto “offende la dignità”. Mi piace pensare che esiste in ciascuno di noi una dimensione inalienabile e imprescindibile di dignità. Per quanto oppresso, vilipeso, insultato, sbeffeggiato, ridicolizzato l’uomo mantiene nel suo fondo una dignità che nessuno potrà mai strappargli. Nello scrivere queste parole mi passa davanti agli occhi l’immagine del celebre dipinto di Antonello da Messina che ritrae un uomo bastonato, flagellato, deriso, appena condannato a morte. Eppure un uomo. Anzi: l’Uomo! Ecce Homo, ecco l’uomo, uno sguardo pieno di dignità, intenso, profondo, buono. In quel volto tutti gli uomini possono riconoscersi, tutti gli uomini che hanno sofferto, tutti coloro che hanno patito, quelli che per qualche motivo sono stati sconfitti: in quella dignità che non accetta di essere cancellata dalle botte una grande speranza – anzi una promessa – di riscatto. La dignità dell’uomo è una dimensione che ci appartiene fino al giorno in cui moriremo anche se a volte sembriamo piuttosto degli animali, dei rettili viscidi che strisciano sulla pancia, esseri mediocri e infingardi, mascalzoni di lungo corso… E invece no, per ciascuno c’è una dignità nascosta da riconquistare, un no da pronunciare a voce alta, una ribellione in agguato contro le nostre stesse debolezze, una promessa di nobiltà che possiamo conseguire.
Infine un terzo motivo di simpatia per quanto scrivono Giacomo Devoto e Giancarlo Oli: “la dignità propria e degli altri”. Qui sta una grandezza ancora più alta: la ribellione non solo per quando veniamo toccati nel nostro interesse ma quando viene fatto un affronto alla dignità degli altri. C’è in questa idea il senso di una solidarietà più vasta tra gli esseri umani, l’idea di una comunità alla quale tutti apparteniamo, che non è fatta solo di aspetti linguistici, di cittadinanza politica, di rapporti economici o commerciali. No qui c’è una comunanza fondata sulla medesima dignità, sul fatto che condividiamo tutti, nessuno escluso, questa similitudine di essere uomini: i ricchi e i pezzenti, gli esploratori e i burocrati, i nomadi e i periti tecnici, i padani e i rom….tutti simili, tutti portatori nel fondo di queste gemme che formano un’unica corona. Chi offende la dignità di un altro offende anche la mia così come chi strappa una pietra dalla corona ne ruba un pezzetto anche alla mia. Ecco, dunque, che di fronte ad un’offesa che pure non sembra riguardarmi, sento l’indignazione risvegliare in me quell’esercito di terracotta che pareva sepolto per sempre e che riprende risoluto una marcia che mi porterà ad una battaglia cruciale.
Si può davvero provare questa indignazione? Si deve!
Possiamo restare indifferenti di fronte alle torture nel carcere di Abu Ghraib? Alla prigionia senza leggi di Guantanamo? Alle impiccagioni di giovani omosessuali nelle piazze di Teheran? Alla pulizia etnica di Srebrenica? Certo che no. Qui la ribellione è necessaria come cercare l’ossigeno quando si ha la testa sott’acqua. Ma ci sono altre situazioni più subdole dove la nostra coscienza è più facilmente anestetizzata. Quando assistiamo a certi compromessi, piccole corruzioni, aggiustamenti furbi. Quando accettiamo la logica di chi sostiene che non ci sono differenze, che tutte le politiche sono uguali, che la giustizia non esiste e la verità, figuriamoci….! Frasi come tarli, che corrodono e corrompono, poco a poco, giorno dopo giorno. Abolire la verità: un modo come un altro per insinuare che non esiste neppure la menzogna e dunque che ogni offesa, ogni ingiuria, ogni imbroglio sono leciti.
Sto dalla parte di quelli che ritengono che a questo mondo siamo tutti eguali (nei diritti, nella dignità, nei doveri) ma che al tempo stesso siamo tutti diversi e che queste diversità devono essere riconosciute e rispettate. Non mi piacciono, ad esempio, quelli che dicono che gli scout sono come tutti gli altri (evviva! Meno male…..). Ho conosciuto degli scout come Vittorio Ghetti, Arrigo Luppi, Carlo Verga che hanno rischiato la loro vita per mantenere fede all’impegno della loro Promessa quando sarebbe stato preferibile stare a casa e andare a marciare con gli altri Balilla. Degli scout come Don Peppino Diana che si sono fatti ammazzare piuttosto che accettare le intimidazioni della camorra. Degli scout che con gran semplicità e senza clamore tornano a casa la sera e invece che guardare il televisore si mettono a preparare il grande gioco di domenica…
Non mi piace che si dica che sono uguali a tutti gli altri. Anzi, ad essere sincero questo mi indigna. E’ come negare la loro esistenza, disconoscere un impegno, un sacrificio, un sogno.
Non mi piacciono quelli che affermano che tutti gli insegnanti sono uguali. Ci sono insegnanti che amano i loro ragazzi come se fossero loro figli. Per loro fanno il tifo, anche quando fioccano i quattro perchè sanno che c’è differenza tra amore, complicità e compiacenza. Negare questa dedizione, quest’amore mi indigna.
Non mi piace che si dica che tutti i politici sono uguali. Ci sono uomini politici che hanno il coraggio di dire la verità ad un paese che vorrebbe vivere solo di reality show e di veline e che pensano a costruire un futuro anche per chi desidera non essere disturbato dalle sue visioni allucinate e deformate di un presente catodico e surreale.
Dire che sono uguali a quelli che su quel tubo catodico lucrano e fanno affari mi indigna.
Allo stesso modo non sono tutti uguali i medici, i panettieri, i lustrascarpe…. Nelle persone e nelle situazioni ci sono delle differenze e ciascuno di noi può fare quella differenza.
Il nostro è un paese che ha bisogno di ritrovare della dignità. Tutti noi, singoli cittadini di questo mondo, dobbiamo ritrovare il gusto e la voglia di dignità. Per noi stessi e per chi ci ritroviamo vicino. Magari un semplice lavavetri, un operaio rumeno, il direttore di una banca, una prostituta nigeriana, l’impiegato delle poste… Si dignità, questa parola così fuori moda e persino derisa. Forse non a caso perché il modo più semplice per tirare la riga dritta e fare camminare tutti alla stessa maniera sta proprio nel dire che la dignità non è una cosa buona anzi è ridicola e dunque fatevi avanti signore e signori, vediamo chi accetta la prossima umiliazione….Invece la dignità è l’amore per le cose ben fatte, l’amore per la bellezza, l’amore per le cose difficili, per quelle nascoste, per quell’impero dei sentimenti che portiamo timidi e giovani nel cuore. L’indignazione è la ribellione verso ciò che nega la grandezza di quell’impero, verso il ghigno beffardo di chi prova soddisfazione a vedermi caduto, verso il compiacimento dell’altrui sconfitta.
Amare gli uomini significa onorare la loro dignità. A noi giovani ribelli e custodi di quell’impero l’avventura di vivere, lottare e costruire un mondo che non abbia più bisogno dell’indignazione per stare in piedi.
Roberto Cociancich