L’intelligenza del dubbio e la biodiversità intellettuale.
“IO VI SCONGIURO DI ESSERE INDIGNATI”. Il Senatore PD Sergio Zavoli, intervenuto questa mattina nel dibattito sulla legge elettorale, anche in risposta ad una provocazione di una collega del Movimento Cinque Stelle, cita la celebre frase di Martin Luther King e spiega le ragioni del suo sì al voto di fiducia.
Vi riporto di seguito alcuni stralci del suo discorso che mi ha emozionato ed arricchito.
(…) Io ho una mia attitudine particolare per la questione del dubbio, dell’essere nutriti continuamente da questa saggezza di cui siamo tutti portatori. Anche le persone più riottose, più reticenti e più renitenti alla dialettica della verità, contengono in sé, forse magari non percependone il significato, l’istinto di porsi il problema anche che una cosa può essere del tutto diversa. Vivere oggi dovrebbe poter significare convivere con la velocità e la complessità del tempo che stiamo vivendo, dove il cambiamento non è più il cambiamento, ma è la velocità del cambiamento. Dovremmo essere tutti consapevoli che ormai non siamo più nella necessità di risolvere le nostre questioni se non abbandonandoci alla frettolosità, alla sommarietà e alla negligenza, anziché dedicarvi l’attenzione, l’impegno e la tensione anche morale ed etica (perché no?) che meriterebbero, trattandosi di problemi come quelli che abbiamo trattato fino a oggi, quasi che non fossimo più tenuti a rispettare noi stessi, il nostro bisogno di vivere con gli altri e quindi di rappresentare una civiltà che si muove, si giustifica e cresce soltanto in funzione dello stare insieme. Don Milani disse che la politica è “uscirne insieme”: non voleva dire una cosa generica e soltanto virtuosa, ma voleva dire semplicemente che ciascuno di noi da sé è la metà di ciò che dovrebbe, l’altra metà probabilmente è l’altro. (…)
Questa è una cosa che riguarda il senso dello stare qui, in quest’Aula che non è affatto sorda e grigia, ma che rischia di diventare così debole, così disincantata, così al di fuori della realtà tanto da doversi dire che, in fondo, tutto può essere o diventare diverso, quindi non vale la pena neppure impegnarsi di volta in volta. Io credo invece che sia una buona ragione quella un po’ pedissequa, o forse banalizzante, del prendere sul serio tutte le cose, anche quelle che ci paiono strumentali e anche ricche di progetti non tutti dicibili, ma che devono cominciare a coltivare se stessi e quindi hanno bisogno di credibilità, di apparenza. E così nascono le situazioni di oggi.
Io spero che questa circostanza servirà a ricreare un clima che deve corrispondere alla serietà e alla dignità di questo luogo. Il giorno in cui perdessimo la nostra credibilità, credo che dovremmo salutare la pretesa di essere stati dei bravi democratici che sono usciti da esperienze tragiche per rifare la dignità di un popolo e di una Nazione. Il populismo è una dannazione, è un male; probabilmente c’è qualcosa di naturaliter dentro questa cosa, ma è un motivo in più per diventare più generosi, più disponibili, più attenti all’ascolto. Lo ripeto, non si esce mai completamenti indenni da un’obiezione che ci viene da un interlocutore, chiunque sia, anche in treno, in tram o per strada, anche in famiglia.
Abbiamo bisogno di questa biodiversità intellettuale, morale, etica; la stessa parola etica ha bisogno di rinnovarsi. Quindi perché allarmarsi tanto per qualcosa che si è messo in movimento e che, in qualche modo, genererà qualche cosa che nascerà anche dagli errori di questo momento? Non dobbiamo credere di aver esaurito il meglio di noi stessi venendo puntualmente qui a fare o ad ascoltare discorsi più o meno lunghi, più o meno enfatici; tranne naturalmente le perle di chi si sente che si è impegnato a costruire un qualcosa che deve partecipare a un interesse di carattere generale.
Avverto però una certa stanchezza, la avverto e credo di soffrirne come tutti voi. Ho grande stima e rispetto per il valore indicibile della costanza e della pazienza che manifesta il Presidente del Senato e mi chiedo se non vi sia un motivo molto serio per rivedere, in nome della serietà personale di ciascuno di noi, le questioni che ci tengono lontani, come se fossimo veramente a fare una guerra, anziché cercare una pace sociale, civile, culturale, persino etica. Tanto che Giorello, uno scienziato, fra l’altro non credente, parlando dell’etica ha detto che bisogna rinnovare questa parola e liberarla da questo sentore così nobile e così virtuoso. Bisogna accettare che nell’etica possano trovare voce anche le tensioni, anche le voci che contraddicono la serietà e il rigore della parola.
Quindi c’è in giro questo bisogno di novità. Io credo che, se non decideremo di far parte di un mondo che si salva soltanto mettendosi insieme e unendo le forze, il prestigio di istituzioni come le due Camere possa determinare una situazione di grande gravità democratica. E allora che dire? Abbiamo ancora il tempo per mettere a posto le cose e non dovremo credere che, risolta con il voto di fiducia questa questione, la questione perciò stesso sia risolta. La questione rimane in piedi, con tutto il carico del tempo perduto, delle offese gratuite e del bisogno qua e là di cercare gli spazi del rigoglio che hanno le cose clamorose, le manifestazioni chiassose, che finiscono per mobilitare poi le giuste ridondanze della piazza.
Io sono entrato in Senato e ho notato che non è del tutto vero quello che diceva il collega Mineo questa mattina, cioè che fuori non si coglieva alcun segno del disappunto della gente. C’era invece molta gente e molto indignata, tanto che mi è venuto in mente Luther King, che, nella sua veste di prete, ebbe il coraggio di dire una cosa che nessun laico che agisse politicamente (perché Luther King faceva anche politica mentre parlava dei problemi che riguardavano la sua missione) avrebbe detto. Egli gridò: «Io vi scongiuro di essere indignati». È una frase che mi sarebbe piaciuto sentire ieri da qualcuno. Mi auguro che l’abbiamo pensato un po’ tutti.