Tra responsabilità e rappresentanza: il mio intervento sulla legge elettorale – 13 gennaio 2015
Il dibattito in aula sulla legge elettorale è stato l’occasione per fare una riflessione non solo sui meccanismi tecnici ma anche sul significato che determinate scelte hanno sul delicato equilibrio tra responsabilità (che i partiti devono assumersi al momento delle scelte nell’interesse di tutto il Paese) e la rappresentanza (degli interessi di coloro che hanno eletto i parlamentari).
QUI il video del mio intervento
qui di seguito il testo scritto del mio intervento
COCIANCICH (PD). Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento in esame è atteso da molto tempo. All’inizio della legislatura appariva essere la priorità assoluta. Alcune forze politiche hanno persino messo in dubbio la legittimazione politica e giuridica di questo Parlamento per essere stati eletti i deputati e i senatori con una legge successivamente dichiarata incostituzionale dalla Consulta, nonostante la medesima Corte, peraltro, avesse precisato la piena legittimità del Parlamento e dei suoi provvedimenti.
Ciò che era imprescindibile ed urgente, ora è diventato prorogabile e rinviabile, come attestato dalla presentazione di oltre 17.000 emendamenti: una montagna di emendamenti che ha precluso ogni discussione in Commissione. Ciò rivela il carattere strumentale di quelle critiche e, al tempo stesso, anche il carattere contingente e mutevole dei sistemi elettorali. Nulla appare più tecnico, complesso e talvolta oscuro delle leggi elettorali e al tempo stesso così legato ed influenzato dalle aspettative di successo o insuccesso di questa o quella forza politica. È dunque difficile, anche se assolutamente necessario, astrarre da una valutazione opportunistica e di convenienza contingente e svolgere lo sguardo più in là, con un orizzonte di medio-lungo termine, per cogliere e realizzare non un interesse di parte, ma quello dell’intero Paese.
Ciò appare tanto più necessario se si considera l’estrema debolezza del sistema politico italiano, che contribuisce con la sua permanente crisi e la sua incapacità di scegliere e di decidere, di avviare riforme incisive e di perseguire una visione più ampia di quella condizionata dagli interessi corporativi. Ecco, questa fragilità rende le nostre istituzioni così poco credibili, non solo agli occhi dei nostri stessi cittadini, ma persino a livello europeo ed internazionale. L’Italia è da sempre, agli occhi dei nostri partner, un sistema indecifrabile: un codice Enigma per decriptare il quale non basterebbero gli sforzi dei protagonisti del film «Imitation game». È dunque questo il momento di procedere all’adozione di una nuova legge elettorale, essendo oggi temporalmente lontani dalle elezioni (in questo senso stanno anche le dichiarazioni rese in Aula dal ministro Boschi) ed essendo quindi tutti accomunati da quel velo di ignoranza sugli esiti del prossimo voto, che è condizione necessaria per una legislazione imparziale. Il primo obiettivo che si pone il disegno di legge in esame è quello di consentire l’attribuzione di un ragionevole premio di maggioranza, l’identificazione di chi sia il vincitore delle elezioni e conseguentemente di chi avrà l’incarico di governare il Paese. In questo modo, verrà riconosciuto ai cittadini di indicare, tramite l’esercizio del voto, a chi affidare la responsabilità di guidare il Paese. Troppe volte abbiamo visto… (Brusio).
PRESIDENTE. Scusate, non è possibile. Accomodatevi fuori a discutere, per favore. Non è possibile; parlate almeno sottovoce.
Prego, senatore Cociancich.
COCIANCICH (PD). Troppe volte abbiamo visto, nella storia repubblicana, andare completamente disattesa la volontà popolare, mediante accordi di segreterie di partiti o di capicorrente o mediante interposizioni di piccole formazioni politiche che, benché non premiate dalle urne, acquisiscono un ruolo decisivo e di arbitraggio nella formazione dei Governi e nelle loro politiche. I sistemi che non consentono l’individuazione chiara di un vincitore in realtà attribuiscono a gruppi, anche del tutto minoritari e numericamente poco rilevanti (ma necessari per la costituzione di una coalizione di Governo), un potere di veto, di vita e di morte nei confronti della maggioranza.
Paradossalmente, proprio nei sistemi proporzionali puri viene ad alterarsi il principio per il quale ogni voto ha lo stesso peso, in quanto piccoli gruppi possono arrivare ad influenzare, e talvolta ricattare, la volontà della maggioranza in modo del tutto sproporzionato rispetto alla loro consistenza numerica. Questo è ciò che è successo in Italia nel corso della prima e anche della seconda Repubblica, dove in effetti piccoli gruppi portatori di interessi specifici hanno potuto imporre la loro volontà a scapito degli interessi generali. Questa degenerazione di un sano principio di rappresentanza ha consentito il diffondersi nella pratica politica di prassi e comportamenti opachi, il nascere di consorterie di interessi o di alleanze spurie unite dal perseguimento di interessi privati, talvolta inopportuni, spesso illeciti. La cosa che appare ancor più grave sul piano etico e morale, prima ancora che politico, è che questa situazione ha consentito a generazioni di politici italiani di non assumersi mai le responsabilità delle scelte di Governo, le quali dunque sono rimaste orfane di padri e di madri; una situazione per la quale le colpe (tante) sono sempre di qualcun altro e i meriti (pochi) sono sempre di tutti.
L’accumulo di un enorme debito pubblico, frutto di una spesa impazzita e dissennata, di favori a consorterie varie, di investimenti spropositati in opere inutili, trova proprio in questo humus la sua spiegazione e ragion d’essere. Questo è il peso insostenibile che è stato caricato sulle generazioni future e che ha determinato il disgusto e il rigetto per la politica e la sfiducia che essa possa contribuire a risanare il nostro Paese. La politica è diventata il problema e non la soluzione.
Il vero punto politico sul quale siamo oggi chiamati ad esprimerci è dunque quello di riuscire a coniugare e declinare il principio di rappresentanza con quello di responsabilità. Molti in quest’Aula hanno recitato, anche nel corso di questa discussione generale, il de profundis del sistema dei partiti, liquidato sbrigativamente come partitocrazia. A tale sistema, in realtà, la Costituzione ha affidato il compito di «concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Se venisse definitivamente meno il sistema dei partiti, se esso non riuscisse a risanarsi, a ritrovare credibilità, a svolgere il compito che la Costituzione gli ha assegnato, non rimarrebbe che un deserto fatto di demagogia e populismo, una sorta di anarchia in cui sono tutti contro tutti e il dileggio, l’insulto, l’invettiva, il prevalere di interessi particolaristici, di territori e di categorie prevarranno sulla capacità di immaginare, progettare e costruire un futuro migliore. Senza assunzione di responsabilità viene presto meno anche il sentimento di rappresentanza. Senza assunzione di responsabilità perde contenuto il principio per il quale la sovranità appartiene al popolo, il quale non avrebbe più strumenti efficaci per esercitarla. Sarebbe veramente la fine del nostro amato Paese. È dunque necessario che, a fianco di una equilibrata capacità di rappresentanza dei territori, i partiti riacquistino la capacità di assumersi la responsabilità di scelte, a volte anche impopolari, che sappiano andare al di là delle visioni particolaristiche e guardino all’interesse generale.
La legge elettorale è strettamente legata a questa prospettiva, in quanto può fungere da freno o da propulsore. Alla luce di questo fondamentale principio di responsabilità, devono essere valutate anche le questioni oggi più controverse che riguardano la questione dei capilista bloccati, delle preferenze, dell’ampiezza dei collegi, della lunghezza delle liste, degli sbarramenti. Sono questioni legittimamente poste, ma che non possono essere risolte solo alla luce del principio di rappresentanza di un’asserita volontà popolare. Infatti, al di là della considerazione che tale volontà popolare di fatto in moltissimi casi poi non si esprime nelle urne quando ne è data la possibilità agli elettori (è noto per esempio che nelle scorse elezioni regionali le preferenze sono state sotto il 15 per cento nelle Regioni del Nord ed invero sono state oltre l’80 per cento nelle Regioni del Sud) oppure vengono espresse in modo non univoco (alle elezioni europee la candidata che ha raggiunto il maggior numero di preferenze nella circoscrizione Nord Ovest ha ottenuto solo il 6 per cento di suffragi), è necessario che i partiti si assumano la responsabilità di indicare agli elettori una squadra di candidati con i quali competere per la guida del Paese.
Spetta ai partiti, eventualmente anche con meccanismi di elezioni primarie o altri sistemi che ritengano opportuni di selezione interna della classe dirigente, di individuare i migliori candidati e con essi sottoporsi al vaglio del voto popolare. Cercare altre soluzioni, nascondersi dietro il velo di una supposta volontà popolare, chiudendo per di più gli occhi sulle modalità spesso assai poco trasparenti con la quale essa viene rappresentata dai soliti noti, significherebbe abdicare ad un ruolo di responsabilità fondamentale, una diserzione nei confronti del nostro Paese e della sua storia. (Applausi dal Gruppo PD).