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Le Missioni Internazionali dell’Italia all’estero – la mia relazione alla Commissione Politiche Europee
Ogni sei mesi il Parlamento è chiamato ad autorizzare la proroga delle missioni internazionali all’estero. E’ una occasione per fare il punto sull’andamento delle missioni e anche per parlare della politica estera e di difesa del nostro Paese.
Questa la mia relazione davanti alla Commissione Politiche UE
PARERE DELLA 14a COMMISSIONE PERMANENTE
(Politiche dell’Unione europea)
(Estensore: COCIANCICH)
Roma, 24 settembre 2014
Sul disegno di legge:
(1613) Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1º agosto 2014, n.109, recante proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché disposizioni per il rinnovo dei Comitati degli italiani all’estero, approvato dalla Camera dei deputati
La 14ª Commissione permanente, esaminato il disegno di legge in titolo,
considerato che il decreto-legge in conversione proroga, per il periodo dal 1° luglio al 31 dicembre 2014, la partecipazione del personale delle Forze armate e di polizia alle missioni internazionali e la prosecuzione degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, e che esso reca, inoltre, disposizioni per il rinnovo dei comitati degli italiani all’estero (COMITES);
considerato che l’articolo 1, ai commi 1 e 4, rifinanzia la partecipazione alle missioni nei Balcani, tra cui la missione European Union Rule of Law Mission in Kosovo (EULEX KOSOVO), istituita nel 2008 con il compito di supervisionare il trasferimento dell’autorità dalle istituzioni kosovare provvisorie a istituzioni create in base a un accordo politico, nonché del mantenimento dell’ordine pubblico con l’istituzione di forze di polizia locali;
considerato che il comma 2 del medesimo articolo autorizza il finanziamento per la proroga della partecipazione militare alla missione ALTHEA dell’Unione Europea in Bosnia-Erzegovina, istituita nel 2004 per rilevare le attività della missione SFOR della NATO, sulla base della risoluzione n. 1551 delle Nazioni Unite, del 9 luglio 2004, con il compito di continuare a svolgere il ruolo specificato dall’accordo di pace di Dayton e di contribuire a un ambiente sicuro, necessario per l’esecuzione dei compiti fondamentali previsti dal piano di attuazione della missione dell’Ufficio dell’Alto rappresentante e dal Processo di stabilizzazione e associazione;
considerato che l’articolo 2, al comma 1, reca anche la proroga della missione EUPOL Afghanistan, istituita nel 2007, che persegue, attraverso lo svolgimento di funzioni di controllo, guida, consulenza e formazione, l’obiettivo di contribuire all’istituzione di un dispositivo di polizia civile afghana efficace ed efficiente e rispettoso dello Stato di diritto;
considerato che il comma 6 dell’articolo 2 autorizza il finanziamento della proroga alla partecipazione alla missione dell’Unione europea di assistenza alle frontiere per il valico di Rafah, EUBAM Rafah (European Union Border Assistance Mission in Rafah), istituita nel 2005 con il compito di assistere le Autorità palestinesi e la polizia locale destinata al controllo, nella gestione del valico di Rafah con l’Egitto, riaperto il 25 novembre 2005, dopo essere stato chiuso all’atto del ritiro israeliano dalla striscia di Gaza;
considerato che il comma 7 dell’articolo 2 autorizza il finanziamento della proroga alla partecipazione alla missione EUPOL COPPS (European Union Police Mission for the Palestinian Territories) in Palestina, istituita nel 2005 al fine di contribuire all’istituzione di un dispositivo di polizia duraturo ed efficace sotto la direzione palestinese, attraverso l’assistenza alla polizia civile locale, il coordinamento degli aiuti dell’Unione europea e degli Stati membri, e la consulenza su elementi di giustizia penale collegati alla polizia;
considerato che il comma 8 autorizza il finanziamento per la prosecuzione della partecipazione italiana militare alla missione EUMM Georgia, istituita nel 2008 al fine di garantire il monitoraggio dell’attuazione degli accordi UE-Russia dell’8 settembre 2008 in relazione ai processi di stabilizzazione, normalizzazione e di riduzione delle tensioni tra le parti, nei territori dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia;
considerato che l’articolo 3, ai commi 1, 2 e 3, autorizza il rifinanziamento della partecipazione alla missione European Union Border Assistance Mission in Libya (EUBAM Libya), istituita nel 2013 con il mandato di fornire sostegno alle autorità libiche per sviluppare – a breve termine – la capacità di accrescere la sicurezza delle frontiere terrestri, marine e aeree, e per sviluppare – a più lungo termine – una strategia più ampia di gestione integrata delle frontiere;
rilevato che durante l’esame presso la Camera dei deputati è stato aggiunto un comma secondo cui, qualora la situazione di instabilità politica in Libia dovesse perdurare, il Governo dovrà riferire alle Camere sull’eventuale sospensione totale o parziale delle missioni di cui ai commi 1, 2 e 3;
considerato che il comma 4 dell’articolo 3 autorizza il rifinanziamento della partecipazione alle operazioni militari al largo delle coste della Somalia, anche nell’ambito della missione Atalanta dell’Unione Europea, istituita nel 2008 allo scopo di contribuire alla deterrenza e repressione degli atti di pirateria e rapina a mano armata commessi a largo delle coste della Somalia;
rilevato che durante l’esame presso la Camera dei deputati è stata aggiunta una disposizione secondo cui, entro il 31 dicembre 2014, la partecipazione dell’Italia alle predette operazioni sarà valutata in relazione agli sviluppi della vicenda dei due fucilieri di marina del Battaglione San Marco attualmente trattenuti in India;
considerato che il comma 5 dell’articolo 3 autorizza il rifinanziamento della missione dell’Unione europea EUTM Somalia (European Union Training mission Somalia), istituita nel 2010 al fine di contribuire al rafforzamento del Governo federale di transizione somalo, rafforzando le forze di sicurezza somale grazie all’offerta di una formazione militare specifica, nonché della missione EUCAP Nestor (European Union regional maritime Capacity Building), istituita nel 2012 con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo nel Corno d’Africa e negli Stati dell’Oceano Indiano occidentale di una capacità autosufficiente di sicurezza marittima e di contrasto alla pirateria;
considerato che il comma 6 dell’articolo 3 autorizza il rifinanziamento delle missioni in Mali, tra cui le missioni dell’Unione europea EUCAP Sahel Niger, EUTM Mali e EUCAP Sahel Mali, istituite rispettivamente nel 2012, 2013 e 2014, in attuazione alla “Strategia dell’UE per la sicurezza e lo sviluppo del Sahel” adottata dal Consiglio dell’UE nel marzo 2011;
considerato che il comma 7 dell’articolo 3 autorizza il rifinanziamento della missione dell’Unione europea nella Repubblica centrafricana, denominata EUFOR RCA, istituita nel febbraio 2014, per una durata da quattro a sei mesi dal pieno dispiegamento operativo, al fine di contribuire a predisporre un ambiente sicuro per il passaggio alla missione internazionale di sostegno alla Repubblica centrafricana sotto guida africana;
considerato che all’articolo 5, durante l’esame presso la Camera dei deputati, è stata inserita una disposizione secondo cui, ogniqualvolta si impieghino, nel contesto internazionale, forze di polizia ad ordinamento militare, il Governo è tenuto a indicare al Parlamento se i militari in oggetto rientrano sotto il comando della Gendarmeria europea (Eurogenfor);
considerato che l’articolo 9, al comma 4, autorizza il finanziamento della partecipazione alle iniziative dell’Unione europea nel campo della gestione civile delle crisi internazionali in ambito PESC-PSDC, nonché ai progetti di cooperazione dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) e di altre organizzazioni internazionali, al Fondo fiduciario INCE presso la BERS, e all’European Institute of Peace,
formula, per quanto di competenza, parere favorevole.
Roberto Cociancich
Misure urgenti per la PA – mio intervento in aula del 5 agosto 2014
(PD). Signor Presidente, con il provvedimento in esame si compie un ulteriore passo in avanti verso quello che è un progetto più complessivo che caratterizza l’azione di questo Governo.
Non ho bisogno di ricordare ai colleghi che in questi giorni siamo fortemente impegnati nella discussione di un progetto di riforma della Costituzione, in modo particolare del bicameralismo paritario. Oggi, con il provvedimento in discussione, aggiungiamo un ulteriore tassello che mira alla riforma della pubblica amministrazione. I due provvedimenti vanno letti in una medesima logica di modernizzazione, nell’ambito di un progetto complessivo di riforma del nostro Paese. (Brusio). Chiedo cortesemente ai colleghi alle mie spalle di abbassare il tono della voce.
Voglio dire innanzitutto che senza la burocrazia – termine che ha oggi una connotazione negativa – in realtà non c’è possibilità di avere un sistema efficiente ed uno Stato moderno. (Brusio).
PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia, abbiamo iniziato la discussione.
COCIANCICH (PD). La burocrazia è la prima grande risorsa di un Paese, la vera risorsa strategica di uno Stato. Si tratta di quel corpo di funzionari e di dirigenti grazie al quale è possibile dare attuazione alle politiche amministrative e dell’Esecutivo: per questo motivo esso deve essere rispettato e deve riacquisire dignità e fiducia nel proprio ruolo per lo sviluppo del Paese. Le grandi democrazie e gli Stati moderni, a cominciare dalla Francia, hanno investito in maniera significativa, costituendo delle scuole di alta amministrazione dalle quali vengono prelevati i funzionari di più alto prestigio di un Paese.
Il nostro compito, quindi, non è oggi quello di concorrere a gettare discredito e sfiducia su tre milioni di dipendenti pubblici, che invece costituiscono per noi l’orizzonte di una rinascita del Paese. Abbiamo però bisogno di trasformare questa riorganizzazione della pubblica amministrazione e di fare in modo che oggi non sia più un fardello per le imprese e per i cittadini, ma che diventi invece quell’aiuto e quel volano allo sviluppo di cui abbiamo così rilevante necessità.
Oggi in realtà la burocrazia è percepita come un onere aggiuntivo – e in certi casi lo rappresenta – anche indiretto, all’imposizione fiscale, che già raggiunge nel nostro Paese livelli record. In effetti, gli adempimenti richiesti alle imprese per poter adempiere e essere in compliance con i requisiti della normativa sono talmente bizantini e pesanti che sono necessarie risorse aggiuntive per le imprese per poter sostenere questo onere burocratico.
Di fatto, oggi, chi si vuole mettere in regola con gli oneri burocratici subisce uno svantaggio competitivo rispetto a coloro che invece cercano delle scorciatoie. Di conseguenza cresce il discredito nei confronti della pubblica amministrazione.
È invece necessario che la pubblica amministrazione attribuisca a se stessa questa sfida di rigenerarsi per rigenerare il Paese. Ciò implica un rinnovamento di idee, una semplificazione delle procedure, una migliore gestione delle risorse, una valorizzazione delle competenze ma anche un ricambio generazionale, quindi la capacità di utilizzare in modo più consapevole ed efficiente le tecnologie digitali.
Una parte significativa del disegno di legge oggi in discussione riguarda per l’appunto l’utilizzo più efficiente delle tecnologie digitali, per le quali sono già stati compiuti passi in avanti anche nel settore della giustizia, uno di quelli ai quali viene rimproverata la maggiore responsabilità per il ritardo degli investimenti nel nostro Paese. Se oggi in Italia non vi sono investimenti da parte di aziende e imprese straniere ciò non dipende dal costo del lavoro bensì dai ritardi della pubblica amministrazione e, in modo particolare, dai ritardi che riguardano i tempi della giustizia, la possibilità di ottenere in tempi brevi certezza del diritto, di recuperare crediti che diventano via via sempre più inesigibili: un ulteriore costo che le aziende non sono più disposte a sostenere.
Quindi, questo recupero di un senso di prestigio perduto, la consapevolezza che i funzionari e i dirigenti sono al servizio dello Stato, della collettività e dei singoli cittadini passa anche attraverso una forma di autolimitazione di quelli che oggi sono concepiti come luoghi di privilegio, tanto più inaccettabili in quanto oggi la dimensione del rischio, della precarietà, della fatica del vivere quotidiano sono il segno caratteristico della vita della stragrande maggioranza dei nostri concittadini. Di conseguenza, quelle che una volta erano le tutele e le garanzie dei dipendenti pubblici oggi sono percepite come un luogo di privilegio non più al servizio della collettività, ma come una sorta di oasi protetta in cui non vi è un rischio, vi è una carriera automatica, non vi è possibilità di essere trasferiti a funzioni diverse laddove non vi è più la necessità di utilizzare le risorse per funzioni che vengono meno.
Questo provvedimento interviene dunque prevedendo alcuni principi. Innanzi tutto un principio di mobilità interna, la possibilità di essere ricollocati presso altre amministrazioni, una mobilità tra società partecipate tra le pubbliche amministrazioni, la possibilità di chiedere per il personale in esubero una qualifica inferiore, laddove la qualifica precedentemente rivestita non giustifica più la posizione.
Inoltre, nella prospettiva di valorizzare le risorse interne viene anche posto un freno all’attribuzione di incarichi di consulenza esterna, vietati quando a titolo oneroso e consentiti quando a titolo gratuito anche se solo per un anno. Ritengo che ciò incentiverà la pubblica amministrazione a ricercare al proprio interno nuove risorse e a valorizzare e a far crescere le proprie competenze interne.
C’è un tema particolarmente scabroso – se mi permette il termine signor Presidente – che riguarda la retribuzione dei dirigenti e dei funzionari. Su questo c’è stata, anche nei giorni e nelle settimane scorse, una grande polemica perché importanti centri studio hanno messo in evidenza come oggi la pubblica amministrazione sia caratterizzata sostanzialmente da una piramide con un vertice acuto, molto sottile, con retribuzioni altissime, soprattutto se paragonate a quelle dei propri colleghi di altri Paesi membri dell’Unione europea.
Per esempio, se facciamo riferimento ad un Paese come il Regno Unito che sicuramente gode di una amministrazione pubblica (flexible servants), si nota una differenza retributiva che appare assolutamente sproporzionata. Cito alcuni esempi. I ministeri della salute e dello sviluppo economico in Italia hanno, rispettivamente, 125 e 165 dirigenti di seconda fascia che guadagnano in media 110.000 euro, cioè quanto i 17 dirigenti di prima fascia del ministero dell’economia britannico; 300 dirigenti apicali di Regioni e Province guadagnano 150.000 euro, cioè quanto uno dei quattro direttori generali del ministero dell’economia e il capo di gabinetto del ministero degli esteri britannici.
Nel campo della carriera diplomatica lo stipendio medio è di quasi 200.000 euro per i quasi 900 diplomatici ed è assolutamente sproporzionato rispetto a quanto guadagnano i loro colleghi stranieri.
Non voglio fare una lunga lista di queste comparazioni, però è evidente che oggi abbiamo dei vertici che appaiono eccessivamente remunerati e spesso la remunerazione non è collegata al raggiungimento di risultati concreti e specifici né da parte del singolo funzionario, né nel complesso della pubblica amministrazione.
Così come oggi il ceto politico sta autoriformandosi, sta accettando una riduzione delle proprie attribuzioni, delle proprie funzioni ed anche delle proprie retribuzioni, credo che la riacquisizione di prestigio e la capacità di acquisire prestigio agli occhi dei nostri concittadini passino anche attraverso un gesto di maggiore solidarietà e di condivisione all’interno della pubblica amministrazione delle risorse economiche.
Per questo motivo, a nome del Gruppo Partito Democratico, annuncio il voto favorevole sul disegno di legge di conversione del decreto-legge in esame. (Applausi dal Gruppo PD).
Il mio intervento nella discussione generale sulla riforma del Senato – 14 luglio 2014
COCIANCICH (PD). Signor Presidente, ho ascoltato con vivo interesse molti degli interventi che mi hanno preceduto e devo dire che ne sarei rimasto molto colpito se l’Italia fosse una piccola isoletta in mezzo all’Oceano Pacifico, dove tutte le relazioni, industriali o culturali, fossero gestite all’interno di una piccola comunità. Purtroppo, o per fortuna, non è così. l’Italia è un grande Paese industriale, manifatturiero, un Paese che ha una dimensione finanziaria importante ed è un attore importante all’interno del commercio internazionale.
Oggi viviamo una profonda crisi economica derivante da un fatto che ha una dimensione globale: oggi gli investimenti vengono effettuati in Paesi dove sono più vantaggiose le condizioni del mondo del lavoro, dove c’è una maggiore efficienza della macchina burocratica e amministrativa e dove la giustizia è maggiormente efficiente.
L’Italia, tra i Paesi di democrazia occidentale, è rimasta l’ultima, la meno efficiente, la più trascurata dal punto di vista degli investimenti stranieri e, pertanto, quella in cui la crisi del lavoro si sente con maggior pesantezza. Tutti oggi si riempiono la bocca sostenendo che vogliono pensare a quello che è veramente importante, cioè ridare lavoro ai nostri giovani e a chi l’ha perduto, ma ci si dimentica del fatto che l’Italia oggi viene trascurata dai grandi investitori internazionali e quindi rimaniamo marginali nel traffico commerciale e industriale del mondo occidentale.
Questo perché le nostre istituzioni sono ormai arrugginite, incapaci di rispondere alle sfide poste. Quindi, riformare le nostre istituzioni non è l’idea balzana di un giovane dittatorello, come in qualche modo Renzi viene dipinto da chi mi ha preceduto, ma è invece la consapevolezza che oggi tale riforma è una partita necessaria per ridare slancio alla nostra economia, senza la quale qualunque speranza di ridare forza al mondo del lavoro, di ridare ricchezza ai nostri concittadini risulta una mera chimera.
Nel disegno di legge presentato questa mattina c’è un elemento che è stato messo poco in evidenza ma che vorrei sottolineare: la dimensione europea della riforma. L’articolo 55, come modificato dal lavoro della Commissione, sottolinea l’aspetto che vorrei commentare: oggi al Senato verrà riconosciuta anche una funzione di raccordo tra le istituzioni europee e le nostre istituzioni nazionali e locali. Questo è un nodo fondamentale, perché l’Europa, che considero l’unica possibile risposta alla grande crisi economica che ci attanaglia, oggi è il nostro contenitore, il nostro orizzonte fondamentale, anche dal punto di vista istituzionale. Tutti oggi parlano di un bicameralismo perfetto che si vuole modificare. Pochi si rendono conto, mi sembra, che in realtà oggi non siamo in un bicameralismo, ma stiamo vivendo in un sistema molto più articolato che qualche volta, un po’ per ridere, ho definito tricameralismo imperfetto, perché ci sono anche le istituzioni europee. In realtà, la situazione è ancora più complessa perché a livello europeo non abbiamo soltanto il Parlamento, ma anche il Consiglio e la Commissione europei. Esiste una dinamica interna tra le istituzioni europee che deve essere tenuta in considerazione. Si tratta di istituzioni che non erano presenti quando i nostri Padri costituenti hanno elaborato la Costituzione che oggi vogliamo modificare, perché all’epoca non esisteva neanche la Comunità europea. Oggi parliamo di Unione europea con 28 membri e con un sistema legislativo estremamente articolato. Attualmente esiste un deficit di democrazia a livello europeo, perché le decisioni vengono prese non prioritariamente con il sistema comunitario, quindi con il coinvolgimento dei rappresentanti dei diversi Paesi membri all’interno del Parlamento europeo, ma con un sistema di natura intergovernativa.
Il famoso fiscal compact, per esempio, è l’attuazione di un sistema intergovernativo di cooperazione rafforzata. È su questo sistema che oggi dobbiamo riuscire ad incidere se vogliamo davvero che il principio di democrazia, di rappresentatività e di partecipazione dei nostri cittadini abbia voce. Rischiamo di puntare alla luna ma di guardare solo il dito, se pensiamo che sia soltanto un problema di rapporto tra Senato e Camera e tra Senato e Governo. Oggi i giochi importanti, le decisioni fondamentali per il nostro futuro si prendono più a Bruxelles che a Roma. Il 70 per cento della normativa in vigore in Italia ha origine comunitaria, anzi europea e non sempre ha un’origine di natura parlamentare. È dunque importante che le istituzioni parlamentari italiane facciano sentire la propria voce nel dibattito che avviene a Bruxelles, a livello europeo, tra i diversi Governi.
Un Senato che si occupi di questioni europee, che abbia una funzione di raccordo tra l’Unione europea e le Regioni svolgerà questa funzione fondamentale, che mi sembra molto meno secondaria rispetto ad un dibattito velleitario sull’importanza o meno di avere un’indennità, di avere un Senato eletto con un sistema di primo o secondo grado. Questi, a mio avviso, sono dettagli rispetto alle grandi sfide che dobbiamo affrontare.
Oggi dobbiamo fare in modo che la voce dei cittadini italiani, la voce delle imprese italiane, la voce degli interessi italiani possa riecheggiare con forza davanti alle istituzioni europee. Oggi il Parlamento italiano, dopo il Trattato di Lisbona, ha voce in capitolo e deve farla sentire. Purtroppo la farraginosità delle nostre procedure, l’eterno ritardo dei nostri interventi fa sì che la voce del Parlamento italiano venga considerata in qualche modo marginale, irrilevante. I pareri dati non vengono considerati: chiunque sia andato a Bruxelles a fare un giro vede con quanta aria di sufficienza vengono giudicate le considerazioni del Parlamento italiano, per il motivo che arrivano sempre in ritardo, sono sempre capziose, non focalizzano i problemi.
Noi dobbiamo dotarci, invece, di un Parlamento in grado di affrontare i problemi, capace di avere piani di impatto e schemi sulla base dei quali comprendere la ricaduta economica e sociale di determinate misure finanziarie, e di saper reagire e portare la propria voce, in fase sia ascendente che discendente, in modo corrispondente.
Mi sembra che questa sia la grande sfida di natura democratica che noi ci poniamo, perché oggi dobbiamo ritrovare la forza di una voce che in questo momento è assai fioca.
Sono, dunque, grato ai relatori che hanno accolto l’indicazione pervenuta (che anch’io ho dato) di aprire uno spiraglio sul tema europeo. Credo che l’affermazione di principio, oggi contenuta nell’articolo 55, ci consentirà di lavorare, spero già in una ulteriore fase emendativa del testo del disegno di legge costituzionale, ma anche in fase di norme di attuazione in via ordinaria, su una riforma della legge n. 234 del 2012, al fine di fornire strumenti concreti per avere una più forte influenza a livello europeo. Ripeto che questo è il vero scenario su cui noi ci misuriamo.
In conclusione, ritengo che quella che ci viene offerta sia un’opportunità storica veramente straordinaria. Non ho alcun senso di inferiorità rispetto ai grandi Padri costituenti che ci hanno preceduto e credo che nessuno di noi debba averlo, non perché siamo chissà quali grandi giuristi (personalmente mi considero come un nano sulle spalle di giganti), ma perché questo è il nostro tempo; se i nostri Padri costituenti si fossero sentiti in soggezione di fronte a Giustiniano, probabilmente saremmo ancora alla legislazione del diritto romano. Ripeto che oggi è il nostro tempo: dobbiamo coglierlo e fare del nostro meglio per cercare di ridare voce ai nostri interessi e anche un po’ di voce di speranza e di idealità di un’Europa che in questo momento è troppo centrata sugli aspetti di natura economica.
L’Italia ha questa voce, questa idea e questo patrimonio, ma non ha la capacità di esprimerli in un’azione politica efficace. Sottolineo, dunque, la dimensione di raccordo tra l’Unione europea e le Regioni, che sono direttamente interlocutrici (anche in base ai trattati europei) dell’Unione europea, hanno un ruolo ed il modo di far sentire le voci delle istituzioni locali e dei cittadini a livello territoriale. Credo che il Parlamento farà una sintesi – spero anche corale – di tutto questo, che darà forza e prestigio al nostro Paese. (Applausi dal Gruppo PD).
Qui l’intervento in formato pdf
La Riforma del Senato
Da domani si comincia a discutere in aula il testo della riforma del Senato approvato dalla Commissione Affari Costituzionali che, partendo da un progetto predisposto dal Governo, ha operato alcune modifiche per tenere conto del dibattito e delle proposte provenute da più parti.
Qui il testo ufficiale che va in discussione confrontato con quello del Governo da cui siamo partiti.
Per un Senato “europeo” – le mie proposte
Nei giorni scorsi sono stato intensamente impegnato in Commissione affari costituzionali a discutere e votare il testo da portare in Aula di riforme costituzionali. La bozza iniziale (Testo base) presentato dal Governo ha subito alcune importanti modifiche tra le quali mi piace ricordarne una forse poco evidenziata nei commenti giornalistici ma che io considero molto importante: al Senato è stato attribuito, accogliendo un mio emendamento, anche la funzione di essere raccordo con le istituzioni europee. Si tratta di un cambiamento che mette il Senato della Repubblica sulla stessa linea di azione di altri importanti Parlamenti come quello tedesco (Bundesrat), il Senato Francese, la House of Lords del Regno Unito. La discussione continuerà in aula a partire da domani. Io mi auguro che si possa fare di più e che possano essere accolti ulteriori emendamenti che ho presentato (e che sono allegati a questo post) e che darebbero ancor più concretezza a questa funzione così importante. Infatti oggi, dopo il trattato di Lisbona, le Regioni (che verranno direttamente rappresentate in Senato) sono dirette interlocutrici delle istituzioni europee e destinatarie immediate di molte disposizioni adottate dalla commissione e dall’Europarlamento. Anche le numerose infrazioni ai Trattati che ci fanno portare la poco invidiabile medaglia del record di sanzioni sono spesso determinate da inadempimenti delle Regioni che dovrebbero essere maggiormente responsabilizzate (soprattutto nella fase discendente) in merito alla piena e puntuale attuazione dei regolamenti europei così come nel non porre in essere normative regionali che violino i trattati. Infine anche l’utilizzo dei fondi strutturali, la loro destinazione a progetti prioritari e strategici sarà più efficiente se ci sarà il coinvolgimento delle regioni e degli enti locali. Vedremo nelle prossime ore se sarà possibile includere già nella costituzione alcuni principi o se invece si deciderà di procedere con la legislazione ordinaria.
qui i miei emendamenti, ritirati in commissione per essere ripresentati in aula