Nel giorno del giuramento del nuovo Governo M5S-Lega una bella chiacchierata con Pietro Ichino, scrittore, avvocato, senatore, sindacalista, blogger, testimone privilegiato del nostro tempo.
Durante la seduta dello scorso 19 settembre, sono rimasto molto colpito dall’intervento pronunciato dalla Senatrice Mattesini, in tema di femminicidio. Mentre ascoltavo il suo intervento, ho pensato al 1967 e alla parola “R-E-S-P-E.C-T” scandita da Aretha Franklin nel riadattamento della canzone di Otis Redding. E il 1967 e in America i movimenti per diritti civili si stanno saldando tra loro per chiedere rispetto. Siamo nel 2017, che ne è stato di quel rispetto e di quelle lotte? La cronaca degli ultimi giorni ci consegna racconti di morte e di violenza contro le donne, uccise per mano di assassini che ancora oggi i media stentano a definire come tali. Non è un ‘fidanzatino’, non è un marito, non è un padre, non è uomo quello che per mezzo della propria mano uccide una donna. E’ un assassino.
Il femminicidio non è l’espiazione della colpa di una donna ma il reato commesso da un uomo vigliacco. Non c’è colpa nelle vittime, ma dolo negli assassini. Il linguaggio è importante, sempre: non può il linguaggio giustificare un’azione.
“MATTESINI (PD). Signor Presidente, con questo intervento di fine seduta continua oggi, qui in Senato, la staffetta con cui, insieme a tante senatrici e a tanti senatori, ricordiamo ogni donna che viene uccisa per mano di un uomo a cui è o è stata legata da relazione amorosa. Lo faremo sino a che sarà necessario ricordare al Parlamento e al Paese tutto l’urgenza di arginare la violenza nei confronti delle donne.
Sono ad oggi 79 le donne che abbiamo ricordato e, dal 2 luglio, data del nostro ultimo intervento, sono state uccise altre 10 donne. Le ricordo: il 31 luglio Alba Chiara Baroni, di ventiquattro anni, è stata uccisa in provincia di Trento dal proprio compagno, che poi si è suicidato. Sempre 31 luglio a Palmanova, in provincia di Udine, Nadia Orlando, di ventuno anni, è stata strangolata dal suo fidanzato, che ha poi vagato tutta la notte con il suo corpo accasciato sul sedile del passeggero.
Il 4 agosto a Ferrara, Mariella Mangolini, di settantasette anni, è stata uccisa con un colpo di pistola dal marito, che ha poi ucciso allo stesso modo il figlio di quarantotto anni.
Il 17 agosto, a Dogaletto di Mira, in provincia di Venezia, Sabrina Panzonato, di cinquantadue anni, dopo essere stata ferita con una coltellata al fianco, è fuggita in strada, dove l’ha raggiunta il marito e l’ha uccisa con un colpo alla testa, per poi suicidarsi. La coppia lascia soli due figli.
Il 21 agosto, a Bressanone, in provincia di Bolzano, Marianna Obrist, di trentanove anni, è stata uccisa a coltellate dal compagno, mentre faceva il bagno. Laura Pirri, di trentuno anni, è invece morta in ospedale il 25 marzo scorso, dopo diciotto giorni di agonia, per ustioni gravi su tutto il corpo. Ma non si trattava di un incidente domestico: il 6 settembre il marito è stato arrestato con l’accusa di omicidio, per avere dato fuoco volontariamente alla moglie, come ultimo atto di una lunga serie di maltrattamenti e violenze nei suoi confronti. Decisiva è stata la testimonianza del figlio di dieci anni.
Il 3 settembre, a Specchia, in provincia di Lecce, Noemi Durini, di sedici anni, è stata uccisa dal fidanzato di diciassette anni. Il ragazzo era stato denunciato alla procura dalla mamma di Noemi per violenze nei confronti della figlia. Erano, infatti, in atto due procedimenti, uno penale e uno civile, nei suoi confronti.
L’8 settembre, il gip del tribunale di Napoli Nord ha convalidato l’arresto dell’ex fidanzato di Alessandra Madonna, di ventiquattro anni, accusato di averne provocato la morte, trascinandola con l’auto nel parco in cui risiede, a Mugnano di Napoli. Il 9 settembre a Donoratico, in provincia di Cagliari, Joelle Demontis, di cinquantotto anni, è stata uccisa a coltellate nella sua abitazione. La donna portava ancora i segni di percosse probabilmente subite nei giorni precedenti la morte. Per l’omicidio sono stati arrestati il compagno della donna e una ragazza di ventisei anni che abitava con loro.
Il 15 settembre, a Casale Monferrato, in provincia di Alessandria, Elena Seprodi, di quarantotto anni, è stata uccisa a coltellate dall’ex marito nella sua abitazione al culmine di un litigio. La donna lascia un figlio.
Mi sono sempre chiesta cosa succede nella testa di quell’uomo che trasforma quasi in una sagoma di cartone, contro cui scagliare la propria furia omicida, la donna con cui ha condiviso passione, amore, sogni, progetti e magari ha generato figli. Questa domanda è importante, ma è bene ricordare che noi donne siamo persone, non semplici cose di cui disporre a proprio piacimento.
Abbiamo buone leggi: il Governo e il Parlamento, nel corso del tempo, hanno fatto molto e molto stanno facendo. Sto pensando al rafforzamento della rete delle case rifugio, all’introduzione del congedo retribuito per le donne lavoratrici, comprese quelle autonome, quando devono allontanarsi da casa, per la loro sicurezza. Sto pensando all’educazione di genere inserita nella legge sulla buona scuola. E dovremo sicuramente lavorare per fare ancora di più sul versante della certezza della pena. E l’auspicio che faccio è che il Parlamento e il Governo rafforzino, anche nella prossima legge di stabilità, risorse importanti utile alla lotta della violenza sulle donne. Allo stesso modo, spero che approveremo rapidamente il disegno di legge sugli orfani di femminicidio.
Le leggi, quindi, sono importanti, ma tutto questo non basta, perché il problema è culturale. Il problema sono quegli uomini, sempre più numerosi, che, non essendo capaci di ritrovare dentro se stessi un nuovo equilibrio, scelgono di uccidere piuttosto che accettare la fine di una relazione amorosa. Il problema sono quelli uomini che di fronte – ad esempio – agli stupri e alle violenze, dicono che le donne devono essere più caute. Quando una relazione amorosa finisce, può aprirsi il baratro dell’abbandono e si deve sicuramente imparare ad andare avanti lo stesso, anche se talvolta può essere doloroso e può sembrare impossibile. Ma tutto questo dolore non può assolutamente giustificare mai la violenza e mai la violenza omicida. È davvero drammatico che tanti uomini oggi non riescano ancora a capirlo né a farsene una ragione, arrogandosi il diritto di strappare alla vita chi da quella relazione vuole uscire. E allora l’impegno e la battaglia sono sicuramente quelli che ho detto prima, ma devono essere anche sul piano culturale ed è su questo piano che dobbiamo lavorare tutti insieme, uomini e donne.
Da questo ramo del Parlamento, dal Senato, io mi sento di rivolgere un appello in modo forte in via principale agli uomini dicendo loro: prendete parola, anche autonomamente; organizzatevi; dite no alla violenza sulle donne; raccontate agli altri uomini, voi che siete quella parte capace di apprezzare la differenza e di stare in modo paritario e rispettoso all’interno di una relazione, quanto sia bello essere persone libere; amateci per quello che siamo, e cioè persone libere capaci di rispetto anche all’interno di una relazione amorosa. Ditelo, perché l’amore è sicuramente l’energia più potente, ma così, come ci si innamora in modo naturale, è altrettanto naturale e normale che quell’amore sfumi, senza che ci siano vinti o vincitori. La violenza non è una variante dell’amore: è violenza e basta. Nasce, si sviluppa e si nutre dentro una cultura o sottocultura che ancora oggi ha come contesto lo svantaggio sociale per le donne.
Per tutto questo, ripropongo il nostro appello a tutto il Paese e ai media dico: smettete di giustificare, anche solo con un linguaggio sbagliato, gli assassini. Smettete di chiamarli, come ad esempio in tutte le trasmissioni televisive in cui si parla di Noemi, «il fidanzatino». Non sono fidanzatini o altro: sono assassini. E smettete di colpevolizzare le donne.
Al Paese tutto dico di avere un sussulto, ma non temporaneo, di indignazione e di sdegno permanente, perché sono davvero troppe le donne che vengono uccise. Ormai è una strage che non possiamo più accettare. “
Da assistenzialismo ad inclusione sociale, nasce il “reddito di inclusione”.
Questa mattina in Senato è stata votata la legge delega la legge delega sulla povertà assoluta collegata alla #stabilità2016 che obbligherà il Governo, entro sei mesi dalla sua entrata in vigore, ad adottare la prima misura nazionale di contrasto della povertà. Si tratta di una legge di portata storica che, con i fatti, interviene per far fronte ad alcune situazioni di estrema indigenza che, purtroppo, si verificano nel nostro Paese. Il reddito di inclusione, da questo punto di vista, rappresenta una misura rivoluzionaria perché per la la prima volta supera l’approccio assistenzialista alle problematiche sociali.
Ecco alcune pillole del contenuto della legge approvata, a cura del Gruppo Senatori Pd .
IL REDDITO DI INCLUSIONE
La prima misura nazionale di contrasto alla povertà assoluta si chiamerà ”reddito di inclusione”. Sarà condizionata “alla prova dei mezzi, effettuata attraverso l’indicatore della situazione economica equivalente (Isee)”. La misura consiste in un beneficio economico e in una componente di servizi alla persona, assicurati dalla rete dei servizi e degli interventi sociali, attraverso un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa, da garantire in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, finalizzato all’affrancamento dalla condizione di povertà. Si supera in questo modo un approccio assistenzialista alla condizione di estrema indigenza. Questi percorsi saranno predisposti da una équipe multidisciplinare.
RIORDINO DELLE MISURE ASSISTENZIALI
La legge delega prevede il riordino di tutte le misure assistenziali, escluse le pensioni. Il reddito di inclusione sarà dunque una misura unica: una volta a regime, cesseranno di esistere strumenti come la social card anziani e l’Asdi, l’Assegno di disoccupazione. E sarà anche una misura universale, destinata a tutte le persone e le famiglie che versano in condizioni di povertà assoluta.
I DESTINATARI DELLA MISURA
Il “reddito di inclusione” è destinato, a regime, a sostenere tutte le famiglie in povertà assoluta. L’obiettivo sarà raggiunto in modo progressivo, a partire da 400 mila persone entro il 2017, con priorità per i nuclei familiari con figli minori o con disabilità grave o con donne in stato di gravidanza accertata o con persone di età superiore a 55 anni in stato di disoccupazione.
FINANZIAMENTO
Il reddito di inclusione verrà erogato con le risorse del “Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale”, già finanziato dalla legge di stabilità 2016 con 600 milioni nel 2016 e 1, 180 miliardi per 2017, 1,204 per il 2018. Ulteriori risorse proverranno dal riordino delle misure attualmente in vigore contro la povertà, che il governo dovrà effettuare con i decreti attuativi. Il Fondo per la lotta alla povertà sarà rifinanziato ogni anno, con la legge di Bilancio. POSSIBILE RINNOVO E DECADENZA
Nei decreti attuativi, il governo dovrà specificare la durata e le cause di decadenza del beneficio. Il reddito di inclusione potrà essere rinnovabile, eventualmente dopo un periodo di sospensione, in seguito alla verifica della persistenza dei requisiti, con la definizione di un nuovo progetto personalizzato. DURATA MINIMA RESIDENZA ITALIA PER ACCEDERE A MISURA
Per beneficiare della misura occorrerà un “requisito di durata minima della residenza sul territorio nazionale nel rispetto dell’ordinamento dell’Unione europea”. Il governo sta già lavorando ai decreti attuativi, per una rapida entrata in vigore del reddito di inclusione.
Questa mattina sono intervenuto in Senato per la dichiarazione di voto a nome del Partito Democratico sulla relazione del Presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni e sulle risoluzioni presentate in vista del Consiglio Europeo che si svolgerà il 9 e 10 marzo.
“Signor Presidente, vorrei ringraziare il Presidente del Consiglio e i membri del Governo. Credo che l’intervento del presidente Gentiloni sia stato ampiamente apprezzabile e condivisibile per ciò che ha espresso.
Siamo alla vigilia delle celebrazioni per il sessantesimo anniversario dei trattati di Roma. Tutti abbiamo riconosciuto come questo sia un momento di crisi e, come ogni momento di crisi, può rappresentare anche un’opportunità.
Condivido gli interventi di coloro che hanno richiamato l’importanza di ritrovare oggi l’orgoglio di essere europei. L’Unione europea – lo ricordo – ha vinto pochi anni fa il premio Nobel per la pace. Jeremy Rifkin l’additava come un esempio politico da imitare anche per altre realtà politiche, come gli Stati Uniti. Penso che non si debba ricordare l’Europa solo come un fattore di pace. Certo, è stato anche questo e lo testimoniano tutte le realtà di conflitto e di guerra che sono intorno all’Unione europea: Ucraina, Yemen, Iraq, Siria, Libia. Ovunque gettiamo lo sguardo troviamo realtà di conflitto, di guerra, di sofferenza. Ma l’Unione europea è qualcosa di più: è stata l’idea, il sogno di una società aperta, tollerante, plurale, laica, multiculturale, multireligiosa.
Vorrei leggere brevemente gli articoli 2 e 3 del Trattato sull’Unione europea: «L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini». «L’Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli. L’Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l’asilo, l’immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest’ultima».
Questi sono i valori che, tramite l’Unione europea, noi cittadini europei cerchiamo di conseguire; di questi non dobbiamo vergognarci, ma dobbiamo richiamarci a essi in questo momento di difficoltà e di crisi. Se torneremo a questi valori, l’Unione europea riprenderà slancio; se l’Unione europea rimarrà, invece, rinchiusa in una visione minimalistica, asettica, burocratica, non avremo un grande futuro.
È vero che oggi i cittadini mostrano stanchezza nei confronti di una Unione europea di questo tipo perché è una Unione in cui non si possono riconoscere.
È paradossale, Presidente, che siano proprio le forze di centro-destra che per diverse legislature hanno sostenuto le commissioni che hanno portato avanti quelle politiche – ricordo la legislatura vigente durante la Commissione Barroso e anche durante la Commissione Juncker – oggi siano le più accese nella critica all’Unione europea. Sono loro che hanno condotto in questa direzione l’Unione europea e oggi se ne lamentano. Mi pare un po’ paradossale.
È anche vero, però, che oggi questi valori sono messi in discussione da chi costruisce muri, da chi stende il filo spinato. Personalmente non posso che condividere lo sgomento espresso dal presidente Napolitano per le parole che abbiamo sentito ieri sera, per le immagini che abbiamo visto e per quello che oggi può sembrare facilmente dicibile e che una volta ci saremmo persino vergognati di pensare, non soltanto di dire a voce alta. Ci sono anche fra di noi alcuni epigoni di questi politici che in alcuni Paesi stranieri promuovono valori che, secondo me, sono contrari all’Unione europea e che anche oggi hanno espresso critiche fondate spesso su una visione piuttosto moralistica. Mi riferisco, ad esempio, alle espressioni usate dal senatore Centinaio che ha stigmatizzato – con il garbo e l’eleganza che contraddistingue sempre suoi interventi – il fatto che vi siano alcuni esponenti politici che rubano lo stipendio. Mi domando a chi si riferisse in questo momento perché abbiamo presenti alcuni esponenti anche del suo partito che sono noti per essere scarsi frequentatori delle aule del Parlamento. Mi domando se essere assenteisti permanenti al Parlamento europeo li faccia rientrare nella critica espressa dal senatore Centinaio. Ricordo, inoltre, gli esponenti di altre forze politiche che normalmente invocano l’onestà e la sobrietà e dopo si scopre che hanno favorito, con i contributi europei, i propri parenti, i fidanzati e le badanti, cosa che certamente non contribuisce alla credibilità né delle istituzioni, né del Parlamento europeo e fa ben capire che c’è una doppia moralità, una certa ipocrisia che sta dietro questo tipo di critiche.
Signor Presidente, arrivo velocemente alla conclusione perché il vero tema politico, oggi, sono le proposte di riforma che vengono presentate a livello europeo per rilanciare l’azione dell’Unione. Mi sembra che siano sostanzialmente due. La cancelliera Angela Merkel ha proposto al consiglio informale di Malta un’Europa a due velocità o a più velocità. In realtà, l’Unione europea già oggi si muove con diverse velocità. Poi ci sono le proposte del presidente Juncker contenute nel Libro bianco che illustra cinque scenari. A mio parere quelli verosimili sono soltanto lo scenario n. 3, cioè quello che consente a chi vuole avanzare, a chi vuole fare di più, di fare di più, e lo scenario n. 4 che permette di fare di meno ma in modo più efficiente.
Di certo non possiamo restare oggi così come ci troviamo perché questa situazione comporta un distacco sempre maggiore da parte dei cittadini. Dobbiamo quindi andare avanti verso una svolta. In ogni caso, credo che saranno da riprendere quelle priorità strategiche contenute nel programma della Commissione presentato a settembre che consistono nel raddoppiare la capacità finanziaria del Fondo europeo per gli investimenti strategici, cioè il FEIS, che secondo il piano di Juncker sarebbe capace di generare 500 miliardi e replicare l’esperienza del FEIS nella cooperazione internazionale tramite un piano europeo per gli investimenti esterni. Questo sarebbe molto importante perché questa sarebbe la vera risposta alle sfide dell’immigrazione: investire nei Paesi africani, consentire loro di generare un reddito che consenta livelli di vita che prevengano il fenomeno migratorio, almeno nei numeri così elevati che abbiamo oggi, e di rafforzare il pacchetto dell’economia circolare e le proposte di regolamento e di revisione intermedia del quadro finanziario pluriennale. Tutte proposte volte anche a dare maggiore flessibilità alle nostre istituzioni europee.
Con queste indicazioni annuncio il voto favorevole del Gruppo del PD sulla risoluzione presentata dal senatore Zanda e da altri Senatori.“
Ho avuto l’onore di intervenire in Aula al Senato in rappresentanza dei Senatori del Partito Democratico per la dichiarazione di voto sul DL 2583 “Minori stranieri non accompagnati” . Questo è il mio intervento:
“COCIANCICH (PD). Signora Presidente, credo che sarebbe giusto affrontare questo dibattito senza usare toni emotivi. È stata più volte invocata, anche delle opposizioni, una moderazione e sono d’accordo, perché basterebbero le cifre disponibili per commentare cosa intende fare il disegno di legge. Certo, sorprende non poco sentire coloro che hanno fatto appello a non usare toni emotivi, poi, rappresentare in quest’Assemblea quella che a me sembra più una sceneggiatura di film da Oscar. Abbiamo sentito poc’anzi sostenere addirittura che ogni dodici minuti un minore straniero uccide un italiano. Non so da dove vengano fuori queste cifre: 268 violenze sessuali, ogni giorno dieci reati nei confronti degli italiani; queste sono le cifre riportate poc’anzi.
Vorrei riportare un minimo di razionalità in questo dibattito citando, invece, le cifre ufficiali dell’UNICEF, da cui dobbiamo partire per capire chi sono questi minori non accompagnati. Poco giorni fa, nel febbraio 2017, l’UNICEF ha pubblicato il rapporto «Un viaggio mortale per i bambini» («A deadly journey for children») e, partendo dal presupposto che ci sono 50 milioni di migranti nel mondo, riferisce che ce ne sono 256.000 che hanno attraversato l’anno scorso il deserto della Libia. Di questi, il 9 per cento erano bambini non accompagnati, che hanno subìto violenze, maltrattamenti, la carcerazione nei centri di detenzione istituiti in Libia.
Tra i 181.436 arrivi in Italia, 28.233 erano bambini, nove decimi dei quali non erano accompagnati. 4.759 è il numero dei morti nel Mediterraneo, di cui 700 erano bambini, che qualcuno vuole descrivere come persone che vengono qui a uccidere gli italiani e a fare rapine. (Applausi dal Gruppo PD). Questo è il percorso che hanno fatto questi bambini. (Applausi dal Gruppo PD).
Io invoco innanzitutto il rispetto, il rispetto, il rispetto per queste persone! Non possiamo insultarle, basta! (Applausi dal Gruppo PD.).
Ci sono 7.700 migranti in Serbia, 10 per cento dei quali sono bambini. Secondo il rapporto di Migrantes, questi bambini si prostituiscono per 2.000 dinari al giorno (17 dollari) per sopravvivere, non certo per cercare piacere.
Qualcuno ha citato i bambini non accompagnati come se fossero scolaretti in gita, che si sono forse un po’ persi o hanno perso i genitori; è stato detto che dobbiamo ricongiungerli ai genitori, prima di accettarli in Italia. (Applausi dal Gruppo PD). Questi sono ragazzi, ragazze, bambini o adolescenti, coloro che hanno la fortuna di sopravvivere ai naufragi, costretti a prostituirsi per cercare di sopravvivere, perché non hanno di che vivere e di che mangiare. Questa è la situazione che noi vogliamo affrontare con questo disegno di legge.
Il Papa ha scritto che tra i migranti i bambini costituiscono il gruppo più vulnerabile, perché, mentre si affacciano alla vita, sono invisibili e senza voce. La precarietà li priva di documenti. L’assenza di adulti che li accompagnano impedisce che la loro voce si alzi e si faccia sentire. Io credo che oggi tutti i senatori e le senatrici che voteranno a favore di questo provvedimento vogliano alzare la loro voce per far sentire la voce di questi bambini. (Applausi dal Gruppo PD).
In tal modo i minori migranti finiscono facilmente nei livelli più bassi del degrado umano, dove illegalità e violenza bruciano in una fiammata il futuro di troppi innocenti, mentre la rete dell’abuso è dura da spezzare. In realtà, signora Presidente, si pensa sempre a questi bambini con accezioni negative: sono non adulti, non italiani, non accompagnati. Cioè li definiamo per ciò che non sono. Noi dovremmo guardare a loro come si guarda ad ogni bambino, come si guarda ad ogni giovane e ad ogni persona all’alba della sua vita, cioè come speranze di un mondo nuovo e migliore, come risorse, come persone che, se avessero una chance, potrebbero diventare risorse strategiche di una società tollerante, dialogante, rispettosa e curiosa delle reciproche differenze. Questo richiede un atteggiamento di accoglienza, cioè di accudimento e di protezione di queste vite in erba. Questo è ciò che si propone di realizzare questo disegno di legge.
Ciò corrisponde non soltanto all’interesse dei minori, di questi individui, di queste persone, ma anche ad esigenze di tutela della società, che, creando condizioni di maggiore giustizia ed equità, pone le condizioni per una maggiore legalità e una maggiore sicurezza anche per i nostri cittadini. Chi si oppone alla cultura dell’accoglienza sospinge questi giovani verso una clandestinità più oscura, li consegna nelle mani delle organizzazioni criminali, li obbliga a vivere di espedienti per sopravvivere e alimenta i traffici illeciti. Chi si oppone alla cultura dell’accoglienza, avvalendosi magari di argomenti cavillosi e pretestuosi (come quelli che abbiamo sentito oggi sull’articolo 5, sulle procedure per il riconoscimento della minore età), ebbene costoro, magari cianciando di suggerire un capovolgimento dell’onere della prova su quella che è la presunzione ex lege della minore età in caso di dubbio, creano le condizioni per nuove forme di emarginazione, di rabbia e di rivolta.
Abbiamo già visto, nelle periferie di Parigi, nel quartiere di Moelenbeck a Bruxelles o nei sobborghi di Londra, dove portano queste politiche miopi ed egoiste. Noi respingiamo con forza tutte le accuse che sono state rivolte in modo becero al Partito Democratico nel corso di questo dibattito. Noi rivendichiamo il merito di una politica che, delineando un percorso organico di tutela, tocca tutti i punti critici di questo problema, cioè la procedura per stabilire la minore età, l’attivazione di una banca dati e di una cartella sociale, il diritto all’istruzione e alla salute, il diritto all’ascolto e all’assistenza legale, il diritto al ricongiungimento e le procedure di rimpatrio. La differenza che c’è tra noi e coloro che hanno agitato questi spettri è che noi dietro il volto di un bambino vediamo una speranza di vita, mentre voi dietro il volto di un bambino vedete una minaccia, voi vedete il terrorista Amri.(Applausi dal Gruppo PD).
Noi vogliamo che i terroristi come Amri vengano fermati, arrestati, condannati, espulsi. Pensiamo però che non sia tollerabile estendere, per causa di Amri, una presunzione di delinquenza a tutti i minori non accompagnati.(Applausi dal Gruppo PD). Questo è imposto dai nostri principi, dai nostri valori e anche dalla nostra Costituzione. Un respingimento generalizzato non corrisponde a garantire la sicurezza, ma la compromette, perché non ci può essere sicurezza senza giustizia, giustizia tra le genti e tra gli uomini.
Signora Presidente, vado a concludere. Noi dobbiamo approvare questo disegno di legge, ma non dobbiamo dimenticare che dobbiamo agire sulle cause. Quindi dobbiamo innanzitutto impegnarci in futuro a non vendere armi alle fazioni in conflitto e cominciare a fare una seria politica di pacificazione nelle aree da cui provengono i rifugiati.(Applausi dal Gruppo PD).
Ha detto Don Milani: «Voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri e allora – e io faccio mie queste parole, e credo che con me tutto i senatori del Partito Democratico le facciano proprie – io reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi, da un lato, e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri».
Annuncio pertanto il voto favorevole del Partito Democratico a questo disegno di legge.(Lunghi e prolungati applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).”
Contrasto al cyberbullismo: il mio intervento in discussione generale.
Vi propongo il video e di seguito il testo dell’intervento che ho fatto nella seduta antimeridiana dello scorso giovedì durante la discussione generale sul provvedimento in tema di contrasto al cyberbullismo. Questo pomeriggio procederemo con le dichiarazioni finali e il voto.
COCIANCICH(PD). Signor Presidente, vorrei formulare un ringraziamento non formale al relatore che, a mio giudizio, ha svolto un’introduzione appropriata, ricca di informazioni e importante, un ringraziamento da estendere anche a tutti i colleghi che, fino ad oggi, si sono espressi con considerazioni che io condivido ampiamente. Questo mi permette di fare alcune riflessioni – per non ripetere cose già dette – che forse sono di natura più generale, ma che credo siano comunque importanti.
In questo disegno di legge che oggi andiamo ad approvare è stata messa in evidenza la necessità di porre l’accento non sull’aspetto sanzionatorio-punitivo per affrontare il problema, ma sull’aspetto educativo. Io credo che educare e non punire sia la giusta strategia per fenomeni di questo tipo; ma per educare è anche necessario comprendere. Bisogna comprendere almeno tre aspetti: anzitutto, le dimensioni del fenomeno. Da questo punto di vista, molti elementi sono già stati evidenziati; io stesso vorrei attrarre l’attenzione dei colleghi anche sul dossier predisposto dagli uffici, che mette in evidenza dati davvero drammatici. Risulta, infatti, che più di uno su due giovani italiani, tra gli undici e i diciassette anni, è stato in qualche modo oggetto di comportamenti offensivi: stiamo parlando di una media nazionale di oltre il 52 per cento. Questo dà la sensazione di un fenomeno tanto grande quanto, per certi aspetti, sconosciuto.
Le dimensioni sono elevatissime e sono da rapportarsi alla crescita e alla diffusione degli strumenti tecnologici oggi disponibili: PC, tablet, cellulari, che evidentemente fino a pochi anni fa non c’erano, che oggi vengono utilizzati in un modo che non era forse facilmente prevedibile, ma che di fatto sono diventati strumenti di comportamenti di offesa e di aggressione reciproca.
Il disegno di legge all’esame mette in evidenza, all’articolo 1, quali sono questi comportamenti: atteggiamenti che inducono una o più vittime ad avere sentimenti di ansia, di timore, di isolamento, di emarginazione; comportamenti vessatori, pressioni o violenze fisiche e psicologiche; l’istigazione al suicidio o all’autolesionismo, minacce o ricatti; furti o danneggiamenti; offese o derisioni per ragioni di lingua, di etnia, di religione, di orientamento sessuale, per l’aspetto fisico, la disabilità o altre condizioni personali e sociali della vittima. È un elenco terrificante: è inquietante sapere che la metà della popolazione giovanile italiana si trova sistematicamente a contatto con comportamenti di questo genere.
Credo che non possiamo esimerci dal domandarci quale sia la società che stiamo, poco per volta, costruendo: quali saranno le donne e gli uomini del domani, se passano attraverso questa fornace di violenza, di intolleranza, di terribile aggressione reciproca? Del resto, è necessario comprendere che gli autori delle intimidazioni sono a loro volta, il più delle volte, dei minori: quindi, il fenomeno non è riconducibile alla visione dell’orco contro la giovane vittima. Spesso sono giovani che usano violenza nei confronti di altri giovani, minori che aggrediscono altri minori. Questo deve indurci a un terzo sforzo di comprensione, oltre a quello della dimensione e della natura di queste aggressioni: comprendere le ragioni di questa situazione.
Credo che, per quanto si possa stigmatizzare – ed è doveroso farlo – un utilizzo tanto violento della rete, un uso terribile di questi strumenti, dobbiamo rifuggire da un mero approccio moralistico che metta da una parte i buoni e dall’altra i cattivi, perché non è un approccio sufficiente e adeguato. In realtà, credo che le radici di questa situazione siano più profonde e trovino la propria linfa in una cultura della violenza profondamente diffusa nella nostra società, che viene oggi considerata in qualche modo normale.
A mio avviso, dovrebbe esserci una chiamata a un’assunzione di responsabilità collettiva e non si può soltanto imputare agli autori materiali di questi atti di intimidazione, di cyberbullismo, una responsabilità che gravi solo su di loro. In realtà, purtroppo, in parte è una responsabilità di tutti noi. Dovremmo avere l’onestà intellettuale di capire che tutti siamo compartecipi del problema e quindi dobbiamo essere compartecipi anche della soluzione. Se noi – e dico noi come politici, operatori culturali e dei media e attori dell’educazione – fossimo capaci di diventare operatori di una cultura diversa e di promuoverla, allora forse sarebbe possibile introdurre nella nostra società elementi correttivi e anticorpi nei quali poter trovare una via di salvezza.
Sono estremamente preoccupato, perché vedo che in questa vicenda si confrontano due, forse tre grandi fragilità. La prima è quella degli stessi componenti del branco: il cyberbullismo, infatti, si pratica in gruppo; non si ha semplicemente un individuo contro un altro, ma spesso un gruppo di persone che si accanisce contro il soggetto percepito come l’elemento più debole. A loro volta, però, tutti i membri del branco sono una sommatoria di fragilità, che si appoggiano l’una all’altra con atteggiamenti di violenza e di aggressività nei confronti di un altro, per riuscire a trovare una forza che in realtà è mancante. Quando si va poi a intervistare, interrogare e sentire i protagonisti di queste violenze, si scoprono fragilità individuali, immaturità e inconsapevolezze che sono altrettanto sbalorditive. Questo è un fenomeno di cui non possiamo non occuparci nel momento in cui parliamo del cyberbullismo, perché anche costoro – che non voglio definire vittime, parola che mi sembra inappropriata – sono parte della malattia di cui ci stiamo occupando.
Vi è poi l’aspetto della vittima che subisce queste aggressioni: mi colpisce molto il tema del silenzio, perché la vittima subisce in silenzio e, come abbiamo visto, non trova la forza di ribellarsi, se non con la ribellione estrema, di un atto di autolesionismo, che può arrivare addirittura al suicidio. Credo che questa sia la dimostrazione di un gesto estremo di rivolta nei confronti di un sistema che si pensa di non poter in alcun modo cambiare. Chi giunge alla conclusione che non c’è altra soluzione se non quella di togliersi la vita lo fa, credo, anche come un atto di accusa nei confronti non soltanto dei persecutori diretti, ma anche di quel mondo adulto che non è in grado di accorgersi di quel dramma né di intraprendere alcuna misura di sostegno o alcun tipo di aiuto, di ascolto, di promozione o di accoglienza nei confronti di chi sta vivendo una tragedia individuale, che viene vissuta personalmente senza essere manifestata, se non nelle lettere drammatiche e inquietanti che ci vengono lasciate.
Credo che il disegno di legge in esame abbia questo, di importante: offre una prospettiva, un safe harbour, un porto sicuro nel momento in cui mette a disposizione un percorso e un gruppo di riflessione; rinuncia alla prospettiva veramente sanzionatoria, come abbiamo detto, ma prospetta invece un lavoro di persone che si mettono insieme e prevedono una programmazione.
Sotto questo profilo, mi piace ricordare che pochissimi giorni fa anche la Regione Lombardia ha introdotto una nuova norma regionale, che individua nella relazione un punto, a mio avviso, importante: «Si deve intervenire attraverso una programmazione complessa e strutturata a lungo termine, che preveda necessariamente la partecipazione attiva della famiglia, della comunità scolastica e delle istituzioni del territorio, in una prospettiva di corresponsabilità, co-progettazione e condivisione dello sfondo valoriale».
Credo che sia questa la strada da intraprendere e che si debba fare appello certamente agli operatori della scuola, alle famiglie e anche alle associazioni, al mondo del volontariato e ai giovani stessi, che devono essere chiamati a diventare protagonisti di una società diversa, facendo appello alle loro migliori forze, energie e intelligenze.
Quindi, i giovani sono anche loro parte della soluzione e tutti noi non possiamo tirarci fuori dalla questione approvando questa legge perché non basta e dobbiamo cercare di mettere insieme, come ho accennato nel mio discorso, tutta una serie di elementi che creino una cultura diversa, dell’accettazione, del gusto della differenza e dell’accoglienza reciproca. Senza questo, temo che anche questa norma rischi di essere una soluzione estremamente parziale per quanto assolutamente necessaria. (Applausi dal Gruppo PD).