Di seguito trovate il testo dell’intervista al Presidente del Consiglio Matteo Renzi sul Sole 24 Ore di oggi.
Presidente Renzi, nel caso di un default greco, i mercati cercheranno di assicurarsi contro i rischi nazionali. In prima linea ci sono il Portogallo, la Spagna e, purtroppo, l’Italia. Ha un’idea su come togliere il nostro Paese dalla linea del fuoco?
L’Italia è già fuori dalla linea del fuoco. Abbiamo iniziato un percorso coraggioso di riforme strutturali, l’economia sta tornando alla crescita e l’ombrello della Bce ci mette al riparo: tre caratteristiche che rendono questa crisi diversa da quella di quattro anni fa. La questione greca è preoccupante perché l’Europa non ha una visione politica di lungo periodo che da tempo manca. E può avere ripercussioni economiche soprattutto per i rischi di contagio con altri Paesi extraeuropei debitori del Fondo monetario internazionale. La mia preoccupazione dunque non è per ciò che potrebbe accadere all’Italia, ma per gli scenari globali di difficoltà che si potrebbero aprire.
Lo scudo degli acquisti della Bce sta garantendo, anche in queste ore, il contenimento degli effetti della crisi sui tassi dei titoli di Stato e sullo spread. Senza quello scudo che cosa sarebbe successo? E, soprattutto, per quanto tempo questo strumento potrà fare argine, è possibile difendersi solo con la leva della Bce?
L’anomalia era il passato, non il presente. La cosa strana era affrontare crisi come queste senza l’ombrello di una Banca centrale. Adesso che grazie all’azione intelligente di Mario Draghi finalmente abbiamo un margine d’azione per la Bce, lo spread non è più il problema drammatico di qualche anno fa. E il Qe sarà utilizzato per tutto il tempo necessario.
Il caso Grecia dimostra che l’Europa degli Stati nazionali e della moneta, come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi, non basta più. Quando si tratta di discutere della Grecia, vanno Hollande e la Merkel, mi scusi, ma lei dov’è? E l’Italia?
Francia e Germania hanno una consolidata relazione da sempre, dai tempi di Kohl e Mitterrand. I due Paesi procedono insieme ovunque: per la crisi Ucraina, per la Grecia, per il riassetto dell’Eurozona, per l’immigrazione. Che poi queste proposte funzionino o meno lo dirà il tempo. Noi ce li ricordiamo nel sorrisino di Cannes di Sarkozy quando sul banco degli imputati avevano messo noi. Qual è il nostro posto? Il nostro posto in passato era tra i problemi, adesso è tra quelli che provano a risolvere i problemi. Che l’Europa debba cambiare lo diciamo da mesi e qualcosa sta finalmente accadendo. Ma purtroppo un’organizzazione così burocratica si cambia con la logica dei piccoli passi, non con le rotture. Quanto ai vertici ristretti non ho mai partecipato, nonostante gli inviti a farlo. E non inizierò adesso. I luoghi dove si fanno le trattative non sono quelli a favore di telecamere. Nel merito l’Italia ha tentato fino all’ultimo di riportare buon senso e ragionevolezza, contribuendo all’ultima proposta della Commissione, quella più favorevole alla Grecia. Il no di Alexis e dei suoi mi è sembrato inutilmente ostinato.
Ha condiviso la decisione della Ue di interrompere i negoziati con la Grecia dopo la scelta di Tsipras di affidarsi a un referendum?
I negoziati li ha interrotti Varoufakis, purtroppo. Ma il problema non è su chi ha sbagliato per primo, questo non è l’asilo. Il punto è che la Grecia può ottenere condizioni diverse ma deve rispettare le regole. Altrimenti non c’è più una comunità. Scusi, noi abbiamo fatto la riforma delle pensioni: ma non è che abbiamo tolto le baby pensioni agli italiani per lasciarle ai greci eh! Noi abbiamo fatto la riforma del lavoro, ma non è che con i nostri soldi alcuni armatori greci possono continuare a non pagare le tasse. Potrei continuare. Aggiungo che se c’è il tana libera tutti sulle regole, che succede in Spagna a ottobre? E in Francia tra un anno e mezzo? Una cosa è chiedere flessibilità nel rispetto delle regole. Un’altra è pensare di essere il più furbo di tutti, essere cioè quello che le regole non le rispetta. Noi vogliamo salvare la Grecia. Ma devono volerlo anche i greci. Altrimenti non funziona.
Le responsabilità del governo greco sono sotto gli occhi di tutti, ma da parte dell’Unione europea non si poteva fare di più e meglio per non arrivare a questo punto? C’è una responsabilità della Germania e di Angela Merkel in particolare?
Rispetto ad Angela Merkel ho una visione diversa sugli ultimi dieci anni di storia europea. Considero un fallimento aver basato tutto sull’austerity e sul rigore. Sono stato il primo ad aver combattuto una battaglia dentro il Consiglio Europeo per tornare a parlare di crescita e investimenti. E domani a Berlino tornerò a discutere con lei sul futuro del nostro continente. Ma dare la colpa alla Germania di ciò che sta avvenendo in Grecia è un comodo alibi che non corrisponde alla realtà. Dare sempre la colpa ai tedeschi non può essere una politica. Può tirare su il morale, ma non tira su l’economia. La Merkel ha provato davvero a trovare una soluzione. Credo che la mossa del referendum l’abbia spiazzata. Lei era in prima fila in Germania per fare un accordo anche contro la sua opinione pubblica. Ma adesso il rischio è che il referendum si trasformi in Merkel contro Tsipras. Sarebbe un errore ed è quello che vuole Alexis. Che non a caso ha vinto le elezioni parlando più contro la Merkel che per la Grecia. Ecco perché credo che abbia sbagliato il mio amico Juncker a lanciare la campagna elettorale del «sì». Questo non è un referendum tra leader europei. Questo è un ballottaggio: euro o dracma. I greci non devono dire se amano più il loro premier o il presidente della commissione europea. Ma se vogliono restare nella moneta unica o no.
Che cosa succederà se vinceranno i no?
Se vincono i no, a mio giudizio, la Grecia va verso l’abbandono dell’euro. Torna alla dracma. E sarebbe un dramma innanzitutto per i greci. Ma a questo punto devono decidere loro: i leader europei rispettino il volere di Atene, senza impicciarsi. Vogliono andarsene? Deciderà il loro popolo. Democrazia è una parola inventata ad Atene: Bruxelles la deve rispettare. Dal canto loro i greci devono avere chiare le conseguenze della loro scelta.
Anche nel rapporto dei cinque presidenti si procede a piccoli passi. Avanti sull’Europa bancaria, passetti sulla politica di bilancio comune, ma perché non si può avere un’Europa con una vera, unica, politica fiscale e di bilancio? Perché non si può avere un’Europa che gestisca una difesa comune?
Manca una dimensione più politica dell’Europa. Ecco perché abbiamo fatto una battaglia sull’immigrazione, sulla banda larga, sugli investimenti. Ma vedo ancora troppo egoismo nazionale per immaginare la politica di difesa comune.
Il terrorismo è dietro l’angolo, entra nelle case dei cittadini europei, la risposta interroga la politica e le coscienze, ma perché l’Europa non può avere nemmeno un’unica agenzia antiterrorismo come quella americana?
Il problema del terrorismo è epocale, non si risolve certo con una agenzia antiterrorismo. L’11 settembre c’è stato nonostante la Cia. E non è l’intelligence comune che metterà fine a uno scontro epocale che vede oggi l’intero pianeta in guerra contro il terrorismo. L’Europa ha molti limiti, ma se un cittadino francese decide di farsi saltare in aria che facciamo? Diamo la colpa a Bruxelles? È in corso un’offensiva senza precedenti di una parte del mondo estremista contro l’Occidente, i suoi valori, i suoi musei, le sue scuole, le sue sinagoghe. La risposta è molto più ampia di una intelligence comune. Dobbiamo convivere con la minaccia globale, ma non rinunciare ai nostri valori e alla nostra idea di libertà: questo è il compito dell’Europa. Vivere la nostra identità. Poi le agenzie di sicurezza già collaborano, magari fosse questo il punto.
All’inizio le chiedevo se poteva bastare l’intervento della Bce, glielo chiedevo perché sul fronte delle riforme l’Italia resta sotto osservazione. Lei ha portato a casa una buona riforma del mercato del lavoro, accompagnata da un importante alleggerimento fiscale e contributivo sul lavoro, ma la pressione fiscale (43,5%) resta a livelli record e anche sulle semplificazioni i risultati non si sono visti.
Abbiamo anche su questo una visione molto diversa. L’Italia è sotto osservazione per la sua bellezza, forse. E anche per i cambiamenti così rapidi, ai quali nessuno credeva un anno fa, neanche lei se ricordo i suoi editoriali. Fino alla settimana scorsa la Borsa di Milano ha registrato la migliore performance dall’inizio anno rispetto alle concorrenti. Le principali crisi occupazionali sono state risolte. Il mercato del lavoro è ripartito anche se avrà ancora alti e bassi per tutto l’anno, ma è stabilmente col segno più. Lo scontro sull’articolo 18 ormai è alle spalle. In un anno il Parlamento ha licenziato una legge elettorale, norme più dure contro la corruzione, l’operazione 80 euro che la Banca d’Italia certifica decisivi per il rilancio dei consumi, come senz’altro lei sa avendo ascoltato la relazione del Governatore Visco. Siamo in fase di approvazione finale su scuola, pubblica amministrazione e riforma costituzionale. Si stanno riducendo i tempi del processo civile e quando guardo gli inserti economici del lunedì sui quotidiani è un fiorire di buone notizie per l’economia reale, trainata dall’export nonostante i rallentamenti di Oriente, Russia e Sud America. L’Italia c’è. Forse se smettessimo di parlarne male per primi noi che ci autoflagelliamo e ci definiamo costantemente un Paese sotto osservazione saremmo anche più credibili all’estero. Una parte dei problemi dell’Italia, caro direttore, è anche il racconto che offre di lei la sua classe dirigente. O presunta tale.
Nessuna autoflagellazione, solo il coraggio di dire la verità. Questo è il dovere dell’informazione. Mi scusi, presidente, ma lei come giudicherebbe un Paese che tassa gli impianti che le imprese comprano per produrre e dare lavoro? Questo Paese è il suo, il nostro, può prendere l’impegno di abolire la tassa sugli imbullonati?
La tassa sugli imbullonati è stupida e abbiamo già detto che la cambieremo dal prossimo anno. La pressione sugli immobili è troppo alta. Dopo di che lei sta parlando con il primo ministro di un Governo che ha tolto la tassa più stupida in assoluta: la componente Irap sul costo del lavoro. Ancora più stupida degli imbullonati. Una promessa che tutti i Governi hanno fatto agli imprenditori, ma che solo un Governo ha mantenuto. E siamo partiti di lì, non dalle tasse sulla casa. Siamo partiti dal reddito dei lavoratori dipendenti perché agevolare il loro potere d’acquisto è giusto. E utile dal punto di vista dei consumi. Che non a caso sono tornati a crescere. Poco, ma hanno invertito la rotta. Siamo il primo Governo che abbassa le tasse: dovevamo partire dalla casa? Forse. Ma io preferisco abbassare le tasse sul lavoro.
In questo Paese la mafia non è più presente solo al Sud, ma anche al Nord e al Centro, e la tassa occulta di reputazione e di molto altro la pagano le imprese sane, quelle che vivono di mercato e lottano ogni giorno nel mondo per vendere il made in Italy. Lotta alla corruzione e certezza del diritto: dovete fare molto di più e, soprattutto, molto meglio, non crede?
Fare di più? Abbiamo introdotto regole più dure contro la corruzione, allungato i termini di prescrizione, indurito il falso in bilancio e introdotto l’autoriciclaggio. Abbiamo anche introdotto il reato ambientale. E poi responsabilità civile dei magistrati e nuova norma sulla custodia cautelare. Fare di più mi sembra difficile, specie in un anno. Poi certo ci sarà sempre chi ruba. L’importante è che chi ruba paghi tutto fino all’ultimo centesimo, fino all’ultimo giorno. Mai più patteggiamenti vecchio stile.
La riforma del catasto è stata rinviata, la casa resta tassata pesantemente – anche la prima casa -, le imprese possono dedurre solo in piccola parte l’imposta pagata sui capannoni. Come si fa a rilanciare la fiducia con questi macigni sulle spalle degli italiani?
Ho personalmente bloccato la riforma del catasto perché era una buona norma in teoria ma non potevo garantire gli effetti fiscali. Per cui le ho già risposto. No, non ero in grado di assicurarlo e dunque l’ho bloccata.
Il settore dell’edilizia resta cruciale per la ripresa. Non pensa che queste zavorre fiscali siano un freno di troppo?
Il settore costruzioni, come senz’altro non le sfugge, è forse l’unico che ha avuto incentivi fiscali. Strabenedetti peraltro. E tuttavia è fermo, inchiodato, ancora. Mancano soprattutto i cantieri pubblici, mancano i permessi in tempi certi, manca la possibilità di finire i lavori senza che un Tar dia la sospensiva, manca il credito alle piccole imprese in sofferenza. Manca questo. Se parla con qualcuno che conosce il mondo dell’edilizia si renderà conto, caro Direttore, che la zavorra non è fiscale come dice lei, ma burocratica e bancaria. Abbiamo dato una prima, parzialissima risposta con lo Sblocca Italia. Insufficiente, ancora. Adesso il nostro obiettivo è sbloccare venti miliardi di cantieri nei prossimi diciotto mesi lavorando a stretto contatto con Ance. E l’operazione che abbiamo fatto al fine di disincagliare i crediti in sofferenza è fondamentale per liberare risorse di qualità. Certo: se questa cosa l’avessero fatta prima come in altri Paesi sarebbe stato meglio. Ma a differenza di altri sono qui per risolvere i problemi, non per lamentarmi.
Se un imprenditore italiano va negli Stati Uniti c’è la gara tra i governatori a offrire le migliori condizioni per conquistare l’investimento. Qui, se tutto va bene, si aspettano anni. Non crede che la soluzione di tale problema dovrebbe essere il primo impegno di chi ha la responsabilità di governare questo Paese?
Lei mi ha intervistato – o se preferisce, visto il tono che continua a usare, interrogato – un anno fa. Le cito alcuni luoghi, che sono in Italia, non negli Stati Uniti. A Bologna Philip Morris ha fatto un investimento straordinario strappandolo alla Turchia. Restando in Emilia Romagna, l’Audi ha investito con il nuovo Suv qui e non a Bratislava dove pure spendeva meno. A Taranto l’Ilva ha ripreso il cammino, a Reggio Calabria i giapponesi continueranno a investire con Ansaldo Breda, a Gela l’occupazione si è rimessa in moto. A Melfi, Cassino, Grugliasco, Pomigliano l’intelligenza e la visione strategica di Sergio Marchionne consentono nuovi investimenti, aiutati anche dal Jobs Act. Carinaro non chiuderà e sembrava impossibile solo un mese fa. Piombino è ripartita, Terni è salva, i distretti del Nord sono ripartiti quasi ovunque, Olbia ha finalmente sbloccato l’investimento qatarino e puntiamo a risolvere velocemente la Meridiana. Potrei dirle di Electrolux, di Alitalia, della cantieristica ligure che finalmente ha un futuro grazie alla legge navale, di decine di aziende che dovevano chiudere e stanno ripartendo. Lei può citare i governatori americani che offrono incentivi, noi abbiamo dato il sangue per non chiudere le aziende. Adesso che finalmente la macchina si è rimessa in moto, valuteremo come attrarre investimenti. Ma temo che non sia chiaro nemmeno al Sole 24 Ore come l’impegno di quest’anno per salvare i posti di lavoro sia stato un’autentica rivoluzione per l’Italia. Mentre in tutte le città e nei talk venivo contestato dalla Fiom, il nostro giro d’Italia ha visto qualche risultato significativo, nonostante i tanti gran premi della montagna.
Tra due mesi dovrà fare una manovra che parte da circa 20 miliardi, tra clasuola di salvaguardia sull’Iva (16 miliardi), adeguamento delle pensioni (5-600 milioni), reverse charge (800 milioni), rinnovo del contratto del pubblico impiego (1,6 miliardi). Dove troverete queste risorse? E come potrete liberarne altre per ridurre le tasse?
Le clausole di salvaguardia non scatteranno. Certo, non sarà semplice. Ma noi siamo quelli che le tasse le abbassano, non le alzano. Nel 2016 scommetto su una ulteriore riduzione del carico fiscale. Ma ancora è presto per discuterne. Ne parleremo a settembre.
Di certo non si fa sviluppo creando una nuova Iri e facendo pasticci sulle nomine. Ci spiega finalmente perché avete cambiato i vertici della Cassa depositi e prestiti prima della scadenza assembleare? Qual è il mandato che hanno i nuovi amministratori? La Cdp diventerà una banca pubblica per lo sviluppo? Che cosa diventerà?
La missione di Cdp non cambia. Rimane la stessa con attori nuovi. Il che non mi sembra un dramma dopo cinque anni. Lo hanno spiegato molto bene Franco Bassanini e Giovanni Gorno Tempini, cui va la mia gratitudine per il loro lavoro. Se qualcuno pensa che sia un pasticcio nominare due professionisti come Claudio Costamagna e Fabio Gallia buon per lui. All’estero stanno notando come tanti privati si facciano tentare dal venire a dare una mano all’Italia. Il primo è stato Andrea Guerra, certo. Ma non sarà l’ultimo. Prossimo tassello l’Enit. Se questi sono pasticci, si prepari a gustarne molti altri. Credo che compito di un leader sia scegliere persone di qualità. Se guardo le performance delle aziende pubbliche italiane penso che i risultati di questi mesi parlino più di qualsiasi polemica. Poi a ognuno il suo. Per me la priorità è continuare a fare. E per questo dopo i decreti fiscali, adesso ripartiamo con l’assestamento e le riforme. Questo Paese è troppo bello per lasciarlo a chi sa solo criticare. E molto più forte di chi lo considera facile preda per gli speculatori.
Ultima domanda: è vero che è disposto a rimettere in discussione l’Italicum? È proprio convinto che il nuovo Senato delle Regioni debba rimanere così com’è ?
Cambiare l’Italicum? Non esiste. Abbiamo impiegato anni per avere una legge elettorale che garantisca governabilità e adesso che ce l’abbiamo rimettiamo tutto in discussione? L’Italicum funziona bene perché permetterà a chi vincerà di governare cinque anni. Questo è ciò che serve all’Italia.