25 aprile, una ricorrenza per ricordare il passato o una occasione per dare ancora linfa alle idee , ai sogni, alle passioni di coloro che dettero la vita per la nostra libertà e democrazia? proprio dalle ceneri della prima e della seconda guerra mondiale che avevano dilaniato il nostro continente con decine di milioni di vite spezzate nacque il progetto di un continente europeo senza più confini, barriere, conflitti e fare dell’Europa intera una sola patria. Un progetto che si è affermato, poco a poco in mezzo a mille difficoltà, avversato da tutti coloro che non rinunciano agli egoismi, ai nazionalismi ai sovranismi di ogni genere e colore e che hanno come tratto in comune una politica fondata sull’astio e la paura verso gli altri, verso chi è differente da noi, verso chi proviene da altri paesi, verso chi ha convinzioni o una religione diversa dalla nostra. E’ la politica di chi, incapace di proporre soluzioni realistiche ai problemi che ci accomunano, preferiscono essere sempre contro, gettare discredito, delegittimare, trovare un nemico al quale attribuire tutte le colpe se le cose non vanno bene. Ecco perché oggi, marciare a testa alta e con il sorriso sulle labbra a favore dell’Europa, la nostra prima Patria, pensare ad un progetto e ad un cammino comune, dà tanto fastidio ai seminatori di disperazione. Ecco perché oggi è tanto importante farlo, segno di una nuova resistenza mai domina verso gli sfascismi e i violenti.
Le diverse tappe della campagna che sto conducendo a sostegno della mozione Renzi Martina per le elezioni del nuovo segretario del PD sono per me una magnifica occasione per soffermarmi su alcuni temi centrali della politica che è stata realizzata (a dire il vero proprio grazie alla spinta riformatrice di Matteo renzi) durante questa legislatura. Uno dei provvedimenti più attesi e importanti è quello sul reddito di inclusione approvato a marzo dal Senato. Ne abbiamo parlato a Bernareggio con Laura Barzaghi, una brava consigliera regionale del PD, nel corso di un incontro organizzato a Bernareggio da Gianni Bresciani e Francesco Gerli. Devo dire, innanzitutto, che sono sempre ammirato dalla competenza ed esperienza dimostrata dai partecipanti a questi incontri che spesso arricchiscono con i loro commenti e osservazioni il dibattito dei relatori. Anche questa volta è andata così.
Il punto che ho ritenuto di mettere in evidenza è stato quello relativo alla filosofia di fondo di questo provvedimento che si distacca dal reddito di cittadinanza promosso da M5S non solo per una più realistica dotazione finanziaria (circa 2 miliardi di Euro) ma anche per i principi a cui si ispira. Il punto di partenza infatti è che la lotta alla povertà non si fa staccando semplicemente un assegno a chi si trova in difficoltà ma mettendo in essere una serie di misure che mirino a riportare nel circuito lavorativo e sociale (dunque a includere) chi ne è rimasto fuori. La fragilità di chi è ai margini non è solo economica ma è spesso legata a fattori più complessi, come la difficoltà ad accedere a dei servizi, alla carenza di formazione, al divario culturale, alla mancanza di una rete di prossimità potremmo dire alla mancanza di un vero progetto di inserimento nel circuito lavorativo. Come ha detto nella sua relazione in aula la senatrice Annamaria Parente “Si tratta di una misura di contrasto della povertà intesa come impossibilità di disporre dell’insieme dei beni e dei servizi necessari a condurre un livello di vita dignitoso, nonché una misura di contrasto dell’esclusione sociale. La misura deve consistere in un beneficio economico e in una componente di servizi alla persona, assicurati dalla rete dei servizi e degli interventi sociali, mediante un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa, e deve essere garantita uniformemente in tutto il territorio nazionale. Nella definizione del beneficio si terrà conto della condizione economica del nucleo familiare e della sua relazione con una soglia di riferimento per l’individuazione dello stato di povertà.
È proprio l’impegno, che si concretizza nel progetto personalizzato, a fare di questa misura uno strumento che supera la visione assistenzialista – radicata troppo spesso, purtroppo, nel nostro Paese – per mettere al centro la persona nel rispetto della sua dignità. Il progetto deve essere predisposto da una équipe multidisciplinare, costituita dagli ambiti territoriali, in collaborazione con le amministrazioni competenti sul territorio in materia di servizi per l’impiego, la formazione, le politiche abitative, la tutela della salute e l’istruzione, sulla base di una valutazione del bisogno, di una piena partecipazione dei beneficiari alla predisposizione dei progetti, di un’attenta definizione degli obiettivi e di un monitoraggio degli esiti, valutati periodicamente”.
Il dibattito che ne è seguito ha messo in evidenza proprio la necessità che le tante misure oggi disponibili ma parcellizzate in una pluralità di procedure e da diversi enti erogatori trovino una razionalizzazione che questo provvedimento mira a realizzare progressivamente. E’ previsto un periodo di verifica con il coinvolgimento di tutti i principali attori non solo istituzionali ma anche del terzo settore. Dunque un approccio pragmatico anche se relativo ad una misura dal forte valore – non solo simbolico – di prendersi cura di chi è rimasto indietro. Molti ne hanno parlato, noi lo abbiamo cominciato a fare concretamente.
Questa bella giornata di confronto si è poi conclusa in serata al circolo PD Open Bocconi con un incontro organizzato da Salvatore Bonfante durante il quale, oltre a seguire con trepidazione l’andamento delle elezioni presidenziali in Francia – abbiamo passato in rassegna i grandi temi che rimangono ancora da affrontare.
Devo essere davvero grato a Don Domenico Cambareri che mi ha spinto a confrontarmi con le bellissime pagine di “Lettere ad una professoressa” scritte con uno stile inimitabile (rigoroso, feroce, appassionato, commuovente…) da Don Milani, il parroco di Barbiana. una lettera che ha cambiato per sempre il modo con il quale la scuola italiana ha pensato e progettato se stessa. L’occasione è stata quella di un incontro con gli studenti delle scuole medie superiori di Castenaso, con i loro insegnanti e molti genitori. Un bellissimo momento di incontro e di dialogo, per me anche emozionante proprio nel momento in cui appariva chiaro di come anche la storia di emancipazione della mia famiglia e il lungo cammino compiuto da chi mi ha preceduto e mi ha messo in condizione di essere ciò che oggi sono possa riconoscersi nelle idee e nei principi espressi da Don Milani. Il punto è che nessuno di noi deve ( e neppure è autorizzato a pensare di essere tagliato fuori, di non avere un ruolo da giocare, di avere una chance di contribuire a rendere migliore il mondo nel quale viviamo. Per riuscirci è però necessari impegnarsi a studiare, ad aumentare le nostre conoscenze e consapevolezze, ad alzarci e farci valere quando tutto rimangono acquattati e si rassegnano, a mettere in gioco le proprie competenze e i propri talenti per un bene non solo personale ma collettivo. E’ insieme agli altri che possiamo contribuire a migliorare la società, non certo da soli. Farlo è un’azione politica di cui Don Milani aveva una opinione altissima e che era per lui il contrario dell’avarizia. Educazione e politica non sono in antitesi ma azioni complementari anche se distinte. Ancora oggi, a qualunque età abbiamo tante occasioni per misurarci con questo impegno che si apre davanti a noi: per esempio nel lottare contro le discriminazioni e il cyberbullismo o nell’accoglienza degli immigrati, una battaglia tanta impopolare quanto necessaria per caratterizzare in modo dignitoso i tempi in cui viviamo. “I care“, mi prendo cura: non sono solo parole scritte in un libro ma sono una linea di condotta che ciascuno di noi deve cercare di seguire. Nel farlo la nostra stessa vita acquisterà un senso più nobile, meriterà di essere vissuta fino in fondo.
Insomma una giornata bellissima allietata anche dall’amicizia e dalle belle discussioni che ho avuto la possibilità di fare con Benedetta Renzi, Angelo Rispoli, Pietro Pirro e Pier Francesco Prata. Buon lavoro e buona strada a tutti.
PS
Proprio in questi giorni anche Papa Francesco ha sottolineato l’importanza del ruolo di Don Milani annunciando una visita sulla sua toma per il 20 giugno prossimo. Parole bellissime quelle del Pontefice che ripropongo qui di seguito insieme al video dell’intervento.
Ecco il testo integrale:
“Non mi ribellerò mai alla Chiesa perché ho bisogno più volte alla settimana del perdono dei miei peccati, e non saprei da chi altri andare a cercarlo quando avessi lasciato la Chiesa” Così scrisse don Lorenzo Milani, priore di Barbiana, il 10 ottobre 1958. Vorrei proporre questo atto di abbandono alla Misericordia di Dio e alla maternità della Chiesa come prospettiva da cui guardare la vita, le opere ed il sacerdozio di don Lorenzo Milani. Tutti abbiamo letto le tante opere di questo sacerdote toscano, morto ad appena 44 anni, e ricordiamo con particolare affetto la sua “Lettera ad una professoressa”, scritta insieme con i suoi ragazzi della scuola di Barbiana, dove egli è stato parroco. Come educatore ed insegnante egli ha indubbiamente praticato percorsi originali, talvolta, forse, troppo avanzati e, quindi, difficili da comprendere e da accogliere nell’immediato. La sua educazione familiare, proveniva da genitori non credenti e anticlericali, lo aveva abituato ad una dialettica intellettuale e ad una schiettezza che talvolta potevano sembrare troppo ruvide, quando non segnate dalla ribellione. Egli mantenne queste caratteristiche, acquisite in famiglia, anche dopo la conversione, avvenuta nel 1943 e nell’esercizio del suo ministero sacerdotale. Si capisce, questo ha creato qualche attrito e qualche scintilla, come pure qualche incomprensione con le strutture ecclesiastiche e civili, a causa della sua proposta educativa, della sua predilezione per i poveri e della difesa dell’obiezione di coscienza.
Il messaggio di Papa Francesco a “Tempo di libri” su don Lorenzo Milani
La storia si ripete sempre. Mi piacerebbe che lo ricordassimo soprattutto come credente, innamorato della Chiesa anche se ferito, ed educatore appassionato con una visione della scuola che mi sembra risposta alla esigenza del cuore e dell’intelligenza dei nostri ragazzi e dei giovani. Con queste parole mi rivolgevo al mondo della scuola italiana, citando proprio don Milani: “Amo la scuola perché è sinonimo di apertura alla realtà. Almeno così dovrebbe essere! Ma non sempre riesce ad esserlo, e allora vuol dire che bisogna cambiare un po’ l’impostazione. Andare a scuola significa aprire la mente ed il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni. E noi non abbiamo diritto ad aver paura della realtà! La scuola ci insegna a capire la realtà. Andare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni. E questo è bellissimo! Nei primi anni si impara a 360 gradi, poi piano piano si approfondisce un indirizzo e infine ci si specializza. Ma se uno ha imparato ad imparare, ha imparato ad imparare, – è questo il segreto, imparare ad imparare! – questo gli rimane per sempre, rimane una persona aperta alla realtà! Questo lo insegnava anche un grande educatore italiano che era un prete: Don Lorenzo Milani” Così mi rivolgevo all’educazione italiana, alla scuola italiana, il 10 maggio 2014. La sua inquietudine, però, non era frutto di ribellione ma di amore e di tenerezza per i suoi ragazzi, per quello che era il suo gregge, per il quale soffriva e combatteva, per donargli la dignità che, talvolta, veniva negata. La sua era un’inquietudine spirituale, alimentata dall’amore per Cristo, per il Vangelo, per la Chiesa, per la società e per la scuola che sognava sempre più come “un ospedale da campo” per soccorrere i feriti, per recuperare gli emarginati e gli scartati. Apprendere, conoscere, sapere, parlare con franchezza per difendere i propri diritti erano verbi che don Lorenzo coniugava quotidianamente a partire dalla lettura della Parola di Dio e dalla celebrazione dei sacramenti, tanto che un sacerdote che lo conosceva molto bene diceva di lui che aveva fatto “indigestione di Cristo”.
Il Signore era la luce della vita di don Lorenzo, la stessa che vorrei illuminasse il nostro ricordo di lui. L’ombra della croce si è allungata spesso sulla sua vita, ma egli si sentiva sempre partecipe del Mistero Pasquale di Cristo, e della Chiesa, tanto da manifestare, al suo padre spirituale, il desiderio che i suoi cari “vedessero come muore un prete cristiano”.
La sofferenza, le ferite subite, la Croce, non hanno mai offuscato in lui la luce pasquale del Cristo Risorto, perché la sua preoccupazione era una sola, che i suoi ragazzi crescessero con la mente aperta e con il cuore accogliente e pieno di compassione, pronti a chinarsi sui più deboli e a soccorrere i bisognosi, come insegna Gesù (cf Lc 10, 29-37), senza guardare al colore della loro pelle, alla lingua, alla cultura, all’appartenenza religiosa. Lascio la conclusione, come l’apertura, ancora a don Lorenzo, riportando le parole scritte ad uno dei suoi ragazzi, a Pipetta, il giovane comunista che gli diceva “se tutti i preti fossero come Lei, allora …”, Don Milani rispondeva: “il giorno che avremo sfondato insieme la cancellata di qualche parco, istallato la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordati Pipetta, quel giorno ti tradirò, quel giorno finalmente potrò cantare l’unico grido di vittoria degno di un sacerdote di Cristo, beati i poveri perché il regno dei cieli è loro.
Quel giorno io non resterò con te, io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio Signore crocifisso” (Lettera a Pipetta, 1950) Accostiamoci, allora, agli scritti di don Lorenzo Milani con l’affetto di chi guarda a lui come a un testimone di Cristo e del Vangelo, che ha sempre cercato, nella consapevolezza del suo essere peccatore perdonato, la luce e la tenerezza, la grazia e la consolazione che solo Cristo ci dona e che possiamo incontrare nella Chiesa nostra Madre”.
Tenendo fede ad una promessa fatta a Marco Onorato circa 10 giorni fa a Bruxelles eccomi giunto nel Granducato di Lussemburgo, sempre condotto dal mitico Flavio Venturelli. Prima di giungere a destinazione passiamo affianco alla cittadina di Schengen così importante per il trattato sulla libera circolazione interna alla UE che ha cambiato la vita a milioni di europei e che oggi alcuni euroscettici vorrebbero rimettere in discussione.
L’incontro con il circolo di Lussemburgo è all’insegna di una grande cordialità, un dialogo fatto di intensi scambi di opinioni sulle priorità europee e sui grandi temi legati al debito, alla crescita, al pluralismo culturale, la sicurezza, i migranti… insomma un giro d’orizzonte a 360 gradi. Grazie a Paolo Fedele e tutti i valorosi componenti del circolo per una serata così bella e ricca. Grazie a loro apparso chiaro che il futuro dell’Italia, la soluzione dei numerosi problemi che sfidano il nostro Paese presuppone il riconoscimento di una più forte credibilità nei confronti dei nostri partner politici e degli investitori finanziari. Occuparsi di questi temi non significa dimenticarsi dei problemi sociali e degli ultimi ma porre le condizioni per le quali quei temi possano essere affrontati in modo strutturale e con adeguatezza di risorse. Oggi l’Italia è schiacciata dal peso del debito, dalla crescita insufficiente, dalla disoccupazione , tutti frutti malati di una instabilità politica e da una incapacità di mettere in cantiere riforme strutturali che esigono del tempo per essere compiute. Prendersi cura degli ultimi significa anche creare le condizioni grazie alle quali gli interventi non siano solo estemporanei e di facciata. L’esperienza tedesca in materia di immigrazione da questo punto di vista è una grande lezione con la quale confrontarsi. Ci sono delle ombre ma anche tante luci frutto di un lavoro certosino e concreto che a volte manca alle nostre latitudini.
Il progetto di riforma costituzionale è stata una grande occasione mancata ed è davvero paradossale che coloro che hanno maggiormente contribuito ad affossarlo oggi lamentino la mancata soluzione di quei problemi che se invece il referendum fosse stato approvato avrebbero trovato una strada per essere risolti. Ma siamo in cammino, cercheremo un’altra strada perché l’urgenza e la grandezza dei problemi è tale che non c’è spazio per la rassegnazione. Un grazie particolare a Marco Onorato che si è speso con grande passione su temi difficili come quelli di natura finanziaria e poi si è persino sobbarcato la fatica di riportarmi a notte fonda Francoforte per consentirmi di ripartire la mattina presto per Bologna ed intervenire ad un bella iniziativa su Don Milani.
Il mio viaggio nel Baden-Württemberg procede grazie a Flavio Venturelli e in compagnia di Cecilia Mussini. Bello sperimentare questa amicizia che si consolida chilometro dopo chilometro. Arriviamo a Ludwigshafen importante centro industriale, sede della BASF e di altre aziende multinazionali nella quale sono impiegati migliaia di lavoratori italiani e stranieri. Sono circa 6.000 i cittadini italiani residenti in questa città abitata in larga misura anche da turchi, greci e molti altri provenienti dall’Est Europa e dal sud del Mediterraneo.
Prima sosta nel mitico circolo CIAO, luogo non solo di aggregazione ma anche di cultura e di dibattito politico. Sono stato davvero contento di vedere il grande lavoro di animazione di persone come Ercole Mingrone, Baldo Martorana, Giuseppe Mangiapane e Francesco Cummaudo. Forte la domanda di non essere dimenticati, di sentirsi ancora parte della comunità nazionale e frustrazione per una politica che in nome dei tagli alle spese e al rigore finanziario riduce gli istituti di cultura italiana, le sedi consolari e mantiene l’IMU sulla casa che essi possiedono in Italia considerandola una seconda casa. C’è anche grande consapevolezza che la leadership di Matteo Renzi in Europa abbia fatto recuperare prestigio e dignità ai lavoratori italiani all’estero che scontano più di altri i pregiudizi nei confronti del nostro Paese. Attraverso le vie della città e il mercato coperto con Antonio Priolo, il sindaco di una delle municipalità che compongono Ludwigshafen (Ortsvorsteher Nordliche Innenstadt) che mi illustra con meritato orgoglio il grande lavoro svolto a favore dell’integrazione non solo degli italiani ma di tutte le comunità di stranieri che hanno con il loro lavoro fatto crescere questo importante centro tedesco. Peccato dover partire di corsa ma il viaggio prosegue ora verso il Lussemburgo.
Sveglia mattutina per volare a Francoforte dove mi attende all’aeroporto con gentilissima pazienza e un simpatico sorriso sornione Flavio Venturelli del PD di Karlsruhe; Flavio mi guiderà in questa breve ma intensa visita in terra di Germania dove sono davvero felice di andare ad incontrare tanti sostenitori di Matteo Renzi e Maurizio Martina alla leadership del Partito Democratico. Dopo un viaggio di circa un’ora in treno eccoci a Karlsruhe nella regione del Baden-Württemberg sede della Corte costituzionale tedesca che tanto ruolo ha nella definizione dell’assetto istituzionale non solo tedesco ma anche europeo. Proprio alla corte è infatti demandata la valutazione della compatibilità delle norme europee con la Legge Fondamentale tedesca, prerogativa che è stata più volte esercitata bloccando regolamenti e direttive di Bruxelles.
A Karlsruhe ho la gioia di ritrovare Cecilia Mussini di Monaco di Baviera e di incontrare altri nuovi amici tra i quali Pino Tabbi di Stoccarda. Nel corso dell’incontro mi viene spiegata la dura situazione in cui si vengono a trovare molti nostri connazionali dell’ultima ondata di immigrazione in Germania, molti dei quali attratti dalle sirene mediatiche che dipingono la Germania come la patria di un welfare generoso e aperto a tutti. La realtà è molto diversa: per chi va in Germania senza una adeguata qualifica professionale e una buona conoscenza della lingua tedesca si aprono soltanto le porte di lavori di infima categoria (magari in qualche pizzeria o ristorante), sottopagati e che non danno accesso né ai requisiti necessari per ottenere le prestazioni assistenziali del sistema tedesco né per una reale integrazione nella società tedesca. In pratica si pongono le premesse per una una nuova drammatica marginalizzazione di questi lavoratori e lavoratrici vittime di uno sfruttamento che prende persino le sembianze di una moderna forma di schiavitù. L’impegno dei circoli del PD è quello di cercare di sostenere queste nuove fragilità ma è un tentativo spesso frustrato proprio dalla scarsa consapevolezza dei nuovi arrivati o dai loro pregiudizi nei confronti della politica. Sono questioni complesse sulle quali bisognerebbe riflettere e agire insieme. Prendersi cura è il motto di Don Milani ed è anche il filo rosso che ispira la mozione di Matteo Renzi e Maurizio Martina. Ecco che nel Baden-Württemberg c’è un’occasione per mettere in atto concretamente queste parole.