10 aprile. E’ stata ancora una volta una grande gioia avere il privilegio di dialogare con Patrizia Toja, capogruppo della delegazione del PD al Parlamento Europeo al bell’incontro organizzato dai Comitati Renzi a Bruxelles. Una bella occasione per discutere delle proposte della Mozione Renzi-Martina in vista dell’elezione del prossimo segretario del PD in merito al ruolo dell’Italia in Europa, della crescita, del debito, della sicurezza e dei migranti. Molto interessanti gli interventi dei partecipanti, molti dei quali autentici protagonisti in prima linea del nostro Paese nelle istituzioni europee. Una bella occasione anche per darsi appuntamento al 28 aprile quando verrà Matteo Renzi proprio nella capitale belga per chiudere nel segno europeo la campagna per le primarie e portare avanti il cammino che conduca l’Italia ad essere protagonista della rinascita del sogno comunitario. Grazie a Niccolò Querci e a Lanfranco Fanti e a tutti i fantastici ragazzi dei Comitati Renzi per l’impegno profuso in questa iniziativa e complimenti per il suo successo!
“Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di ispirare. Esso ha il potere di unire le persone in un modo che poche altre cose fanno. Parla ai giovani in una lingua che comprendono. Lo sport può portare speranza dove una volta c’era solo disperazione“. Sono parole di Nelson Mandela, premio Nobel per la Pace nel 1993.
Ogni anno il 6 aprile si celebra la “Giornata Internazionale ONU dello Sport per lo Sviluppo e per la Pace”, istituita in memoria delle prime Olimpiadi svoltesi ad Atene nel 1896 proprio il 6 aprile (oggi sono 121 anni).
Lo Sport è considerato valore tanto fondante tra quelli promossi dall’ONU e dai suoi stati membri che è stato inserito nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Al paragrafo 37, si riconosce: “il crescente contributo dello sport alla realizzazione dello sviluppo e della pace nella sua promozione della tolleranza e del rispetto e il contributo che apporta al rafforzamento delle capacità delle donne e dei giovani, degli individui e delle comunità, nonché alla salute, l’istruzione e gli obiettivi di inclusione sociale”.
La foto che ho scelto ritrae Murtaza Ahmadi, il bimbo afghano che si era creato una maglia numero 10 dell’Argentina con una busta di plastica e che ha poi coronato il suo sogno incontrando il famoso calciatore.
Nel video, una canzone dedicata al grandissimo Gino Bartali, che tra il 1943 e il 1944, con la sua amata bicicletta, salvò oltre 800 ebrei dai campi di concentramento.
Signor Presidente, cari colleghi, vorrei condividere con voi il ricordo e la tristezza per la scomparsa di Giancarlo Lombardi, avvenuta il 31 marzo a Milano. Aveva settantanove anni.
Spero che nel parlare non mi faccia velo la lunga amicizia che ho avuto il privilegio di intessere con lui per quasi trent’anni. Molti in quest’Aula lo hanno conosciuto, lo hanno stimato e sanno dunque che per lui l’amicizia era fatta di franchezza esigente e a volte burbera, ma che essa era soprattutto un sentimento pulito, mai interessata o di convenienza. Era la scelta di condividere un cammino per giungere insieme ad una meta.
Giancarlo Lombardi è stato Ministro della pubblica istruzione dal 1995 al 1996 con il Governo Dini. Fu anche deputato, eletto nella XIII legislatura nelle liste del Partito Popolare Italiano, e militò nella Margherita. Fu imprenditore, presidente di Federtessile, vice presidente di Confindustria con delega all’istruzione, membro di numerosi consigli di amministrazione di società, associazioni, enti, delle università LUISS e Cattolica e, da ultimo, del Collegio di Milano, che aveva contribuito a fondare.
Presentando se stesso si definiva innanzitutto uno scout; come diceva: «Lo scoutismo è la seconda cosa più importante della mia vita dopo la famiglia». Ha avuto tre figli, Andrea, Marco e Paolo, e una compagna di vita, Ninetta, di straordinaria finezza, sempre al suo fianco con coraggio e con il sorriso, anche nei momenti più difficili e bui della loro esistenza. Tra questi, la morte del figlio Andrea fu certamente il più tragico.
Dunque innanzitutto uno scout… Giancarlo Lombardi promosse e realizzò la fusione tra l’Associazione scout cattolica maschile (ASCI) e quella femminile (AGI), dando vita, nel 1974, all’Associazione guide e scout cattolici italiani (AGESCI). Una fusione che a quel tempo fece storcere il naso ad alcuni esponenti del mondo cattolico e delle gerarchie ecclesiali, suscitando critiche e riserve anche aspre. Giancarlo difese con fermezza quella scelta, rivendicando, in linea con il Concilio Vaticano II, la sfera di autonomia di laici e credenti: cristiani adulti. In realtà fu il coraggio di aprire una strada, di stare sulla frontiera e di contribuire a cambiare il costume della nostra società e il modo di essere dei laici nella Chiesa.
Fu anche presidente dell’AGESCI dal 1976 al 1982, anni in cui si assistette al raddoppio degli iscritti, che diventarono in breve quasi 200.000, a conferma della felicità della sua intuizione. Per molti anni svolse attività di formazione con i campi scuola nell’amatissima Val Codera, sopra Colico, luogo di selvaggia bellezza, teatro delle imprese delle Aquile randagie, quei gruppi di scout che avevano continuato le attività in forma clandestina durante gli anni del fascismo e che avevano accompagnato tanti ricercati, tanti ebrei, tanti perseguitati politici a riparare in Svizzera. Giancarlo è stato giustamente considerato il miglior erede e interprete di quell’esperienza di libertà e impegno.
Coniugare la serietà meticolosa negli impegni assunti e uno spirito libero, una visione utopistica e persino un po’ ribelle della vita è stata una delle caratteristiche che lo hanno fatto tanto amare da generazioni di giovani capi scout e non solo, che si sono formati alla sua scuola. Ha scritto sulla rivista «RS-Servire», di cui è stato per tanti anni direttore, a proposito del coraggio dell’utopia: «La parola “utopia” non significa affatto una cosa bella ma impossibile o peggio ancora un sogno irrealizzabile e irresponsabile, ma al contrario vuole indicare una meta da cercare e perseguire perché possibile, di un cammino forse difficile ma fattibile».
Dopo la laurea in ingegneria al Politecnico di Milano, si recò per un periodo di volontariato in Africa, dove conobbe e collaborò con Albert Schweitzer, il celebre medico alsaziano, premio Nobel per la pace, che aveva fondato a Lambaréné un centro per la cura della lebbra.
Tornato in Italia, andò dapprima a lavorare all’Olivetti e poi presso l’azienda di famiglia, la Filatura di Grignasco, che sviluppò e fece crescere fino a farla diventare un gruppo con oltre 1.500 dipendenti e 150 miliardi di lire di fatturato. Era considerato un imprenditore idealista, impegnato nella tutela dell’ambiente, nel rinnovamento dei settori di depurazione delle acque di lavorazione, delle relazioni industriali, dei rapporti con il personale, dell’introduzione dell’informatica di avanguardia. Soprattutto – e fu anche criticato per questo – egli metteva al centro il lavoratore, la sua dignità, il rafforzamento delle sue capacità e la sua formazione, individuando nel lavoro un fattore di promozione e sviluppo della persona.
Il contrasto alla dispersione scolastica e l’interrelazione tra studio e lavoro come chiave per la maturazione della persona sono stati anche al centro del suo progetto di riforma della scuola, alla cui preparazione dedicò grandi energie, passione e intelligenza, e che cominciò a realizzare durante l’esperienza ministeriale del Governo Dini. Con una scelta abbastanza inconsueta anche ai giorni nostri, rifiutò il posto di Ministro dell’università e della ricerca (a quel tempo distinto da quello della pubblica istruzione), offertogli nel Governo Prodi, perché non gli sembrava serio occupare un posto per il quale non si sentiva adeguatamente preparato. Egli visse con un sentimento di grande amarezza il non poter dare seguito a quella riforma scolastica per la quale si era tanto speso.
Oggi, però, molte delle sue intuizioni e idee si sono comunque affermate e rappresentano il meglio delle esperienze innovative che vengono sperimentate nel nostro Paese.
Giancarlo Lombardi è stato un uomo di grande cultura e vastissimi interessi e curiosità, ossessionato dal mettere qualità e attenzione anche nelle piccole cose (le piccole cose che a volte fanno il tutto) e nel cercare di vivere con grande rettitudine. In questo egli era esigente con sé, così come con gli altri, specialmente coloro ai quali voleva maggiormente bene.
Signor Presidente, ricordo che Giancarlo Lombardi venne a trovarmi poco tempo dopo l’inizio della legislatura e ci sedemmo nel corridoio dietro l’Aula, dove ci sono le poltroncine azzurre. Pensavo che volesse parlarmi di politica, invece era venuto per dirmi che non bisogna mai essere gretti, nemmeno con gli avversari politici, e per ammonirmi a non lasciarmi tentare dalle frivolezze della vita romana.
Giancarlo Lombardi è stato un grande amico della comunità di Bose e del suo fondatore, fratel Enzo Bianchi. Egli si interessava di ecumenismo e dialogo interreligioso, conosceva a fondo le opere di Karl Barth e amava citare Martin Buber. Soprattutto, egli amava Dietrich Bonhoeffer, il teologo tedesco protestante impiccato nel campo di Flossenbürg nell’aprile 1945. Ha scritto Bonhoeffer: «Non di geni, né di cinici, né di gente che disprezza gli uomini, né di tattici raffinati abbiamo bisogno, ma di uomini aperti, semplici, diritti. Ci sarà rimasta tanta forza di resistenza interiore (…), tanta spietata sincerità verso noi stessi da poter ritrovare la strada della semplicità e della rettitudine?» È più da furbi essere pessimisti: si dimenticano le delusioni, si sta in faccia alla gente senza compromettersi. Così l’ottimismo è passato di moda presso i furbi. Nella sua essenza l’ottimismo è una forza della speranza dove gli altri si sono rassegnati, la forza di tenere alta la testa anche quando tutto sembra fallire, la forza di reggere i colpi, la forza che non lascia mai il futuro all’avversario, ma lo reclama per sé. Si tratta di parole che Giancarlo ha citato tante volte e soprattutto testimoniato con la sua esistenza. Larger than life, direbbero gli anglosassoni, ossia più grande della vita. Questo è stato Giancarlo Lombardi, un uomo che ha tenuto fede alla promessa di lasciare il mondo un po’ migliore di come lo ha trovato.
(Applausi dai Gruppi PD,Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE e Misto-SI-SEL, del senatore Carraro e dai banchi del Governo).
Oggi sono intervenuto in Aula in Senato per ricordare l’ingiusta carcerazione della Senatrice filippina Leila De Lima, rea di essersi opposta al regime di terrore di Rodrigo Duterte. Di seguito, il testo ed il video.
Signor Presidente, colleghi Senatori, intervengo quest’oggi per richiamare l’attenzione dell’Aula su un fatto molto grave, che mi pare fatichi a trovare nel panorama politico internazionale e sui media lo spazio e l’attenzione adeguati.
Lo scorso 23 febbraio è stata arrestata, con l’accusa di narcotraffico, la senatrice filippina Leila De Lima, membro del partito liberale d’opposizione, attivista dei diritti umani e principale oppositrice della campagna antidroga promossa dal presidente delle Filippine Rodrigo Duterte.
Nel mese di agosto del 2016 la De Lima, allora Presidente della Commissione giustizia e diritti umani del Senato filippino, aveva indagato sulle esecuzioni extragiudiziali di circa 1.000 presunti autori di reati legati alla droga, che sarebbero state commesse a Davao (la seconda città delle Filippine) all’epoca in cui il presidente Duterte era sindaco della città. A partire da quel momento si sono susseguiti i fatti che hanno poi portato al mandato di arresto nei confronti della senatrice: prima, per l’esattezza il 25 dello stesso mese di agosto, il presidente Duterte l’ha accusata di aver fatto entrare droga all’interno di uno dei più grandi carceri del Paese quando era Ministra della giustizia; successivamente, il 19 settembre 2016, la De Lima è stata rimossa dall’incarico con l’accusa di voler distruggere il Presidente. Oggi la senatrice, che Amnesty International ha dichiarato prigioniero di coscienza, è in carcere in attesa di giudizio e, in caso di condanna, rischia da 12 anni di reclusione all’ergastolo.
Forse non è a conoscenza di tutti che dal 30 giugno 2016, giorno dell’insediamento del presidente delle Filippine Rodrigo Duterte, sono state segnalate oltre 7.000 uccisioni commesse dalla polizia e dai miliziani nel corso della campagna antidroga che il Presidente, che si autodefinisce the punisher, cioè il castigatore, si è impegnato a portare avanti fino alla fine del suo mandato presidenziale.
Mi rincrescere ripetere alcune oscenità che sono state riportate dai giornali, ma per descrivere il presidente Duterte, che da troppi anni, come sindaco prima e come Capo di Stato oggi, semina terrore e morte, non credo esista modo migliore che ascoltare alcune frasi da lui pronunciate.
Da sindaco, durante la campagna elettorale, disse: «Se Dio vuole mettermi là» – ossia alla Presidenza della Repubblica, dove poi è stato eletto – «attenzione, perché i 1.000 uccisi» – nella città di Davao – «diventeranno 100.000. Vedrete i pesci ingrassare nella baia di Manila perché sarà là che getterò i vostri corpi». E ancora: «Le pompe funebri saranno piene: fornirò io i cadaveri. Quando sarò Presidente, darò ordine alla polizia di cercare quella gente e ammazzare tutti».
Da Presidente neoeletto, disse: «Hitler ha ucciso tre milioni di ebrei. Qui abbiamo tre milioni di tossicodipendenti, sarei felice di sgozzarli tutti». «Se avete un coltello e vedete uno spacciatore o un drogato per strada, uccidetelo. Vi darò una medaglia». Vi risparmio le parole asperrime ed oscene pronunciate da Duterte in risposta alle critiche provenienti dalia conferenza episcopale filippina e, in generale, contro la Chiesa cattolica, contro Papa Francesco e contro l’Unione Europea.
Questo appena descritto, dunque, è il quadro in cui si inserisce l’incarcerazione della senatrice De Lima. Ad inizio mese è stato promosso dall’Associazione Luca Coscioni, Non c’è pace senza giustizia e Radicali italiani un appello per la liberazione della senatrice filippina, sottoscritto anche da tanti parlamentari italiani a Bruxelles e a Roma (tra cui diversi senatori, compreso il collega Lo Giudice del Gruppo del Partito Democratico).
Concludo, signor Presidente. Lo scorso 15 marzo, con una risoluzione, l’Unione europea ha invitato il Presidente filippino a contenere i metodi di guerra alla droga. Ma nessuna iniziativa intrapresa ha finora avuto un qualche effetto. Mi faccio oggi portavoce di tutti coloro che chiedono a gran voce alle istituzioni del nostro Paese, a quelle dell’Unione europea e alle Nazioni Unite di agire, con tutti gli strumenti necessari a livello politico e diplomatico, per ottenere l’immediata liberazione della senatrice De Lima, e perché le sia garantita un’adeguata sicurezza finché resterà in carcere e un equo processo.
Ricordo, a tal proposito, che esistono relazioni diplomatiche, culturali e politiche di lunga data sia tra il nostro Paese e le Filippine, sia tra le Filippine e l’Unione europea, e che quanto sta accadendo oggi in questo Paese costituisce una violazione di diritti universalmente sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e dal Patto internazionale dei diritti civili e politici, tale da giustificare il ricorso alla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità.’
Il risultato delle elezioni nei Paesi Bassi permette all’Europa di tirare un sospiro di sollievo ma ora più che mai deve cambiare e superare schemi tecnocratici che allontanano i cittadini.
Il voto degli olandesi, chesi sono recati massicciamente alle urne con l’82% degli aventi diritto, ha decretato la netta sconfitta del partito nazionalista dell’euroscettico e islamofobo Wilders e un importante risultato dei Verdi di sinistra. Un voto di cittadini europei, stanchi di quell’antipolitica urlata che diffonde odio e paura e che dicono ‘no’ a populismi ed estremismi xenofobi e ‘sì’ ad una Europa democratica e tollerante.
Una buona notizia che dovrebbe scoraggiare anche chi nel nostro Paese sostiene le ondate di nazionalismi in Europa, come Grillo e Salvini.
Da assistenzialismo ad inclusione sociale, nasce il “reddito di inclusione”.
Questa mattina in Senato è stata votata la legge delega la legge delega sulla povertà assoluta collegata alla #stabilità2016 che obbligherà il Governo, entro sei mesi dalla sua entrata in vigore, ad adottare la prima misura nazionale di contrasto della povertà. Si tratta di una legge di portata storica che, con i fatti, interviene per far fronte ad alcune situazioni di estrema indigenza che, purtroppo, si verificano nel nostro Paese. Il reddito di inclusione, da questo punto di vista, rappresenta una misura rivoluzionaria perché per la la prima volta supera l’approccio assistenzialista alle problematiche sociali.
Ecco alcune pillole del contenuto della legge approvata, a cura del Gruppo Senatori Pd .
IL REDDITO DI INCLUSIONE
La prima misura nazionale di contrasto alla povertà assoluta si chiamerà ”reddito di inclusione”. Sarà condizionata “alla prova dei mezzi, effettuata attraverso l’indicatore della situazione economica equivalente (Isee)”. La misura consiste in un beneficio economico e in una componente di servizi alla persona, assicurati dalla rete dei servizi e degli interventi sociali, attraverso un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa, da garantire in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, finalizzato all’affrancamento dalla condizione di povertà. Si supera in questo modo un approccio assistenzialista alla condizione di estrema indigenza. Questi percorsi saranno predisposti da una équipe multidisciplinare.
RIORDINO DELLE MISURE ASSISTENZIALI
La legge delega prevede il riordino di tutte le misure assistenziali, escluse le pensioni. Il reddito di inclusione sarà dunque una misura unica: una volta a regime, cesseranno di esistere strumenti come la social card anziani e l’Asdi, l’Assegno di disoccupazione. E sarà anche una misura universale, destinata a tutte le persone e le famiglie che versano in condizioni di povertà assoluta.
I DESTINATARI DELLA MISURA
Il “reddito di inclusione” è destinato, a regime, a sostenere tutte le famiglie in povertà assoluta. L’obiettivo sarà raggiunto in modo progressivo, a partire da 400 mila persone entro il 2017, con priorità per i nuclei familiari con figli minori o con disabilità grave o con donne in stato di gravidanza accertata o con persone di età superiore a 55 anni in stato di disoccupazione.
FINANZIAMENTO
Il reddito di inclusione verrà erogato con le risorse del “Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale”, già finanziato dalla legge di stabilità 2016 con 600 milioni nel 2016 e 1, 180 miliardi per 2017, 1,204 per il 2018. Ulteriori risorse proverranno dal riordino delle misure attualmente in vigore contro la povertà, che il governo dovrà effettuare con i decreti attuativi. Il Fondo per la lotta alla povertà sarà rifinanziato ogni anno, con la legge di Bilancio. POSSIBILE RINNOVO E DECADENZA
Nei decreti attuativi, il governo dovrà specificare la durata e le cause di decadenza del beneficio. Il reddito di inclusione potrà essere rinnovabile, eventualmente dopo un periodo di sospensione, in seguito alla verifica della persistenza dei requisiti, con la definizione di un nuovo progetto personalizzato. DURATA MINIMA RESIDENZA ITALIA PER ACCEDERE A MISURA
Per beneficiare della misura occorrerà un “requisito di durata minima della residenza sul territorio nazionale nel rispetto dell’ordinamento dell’Unione europea”. Il governo sta già lavorando ai decreti attuativi, per una rapida entrata in vigore del reddito di inclusione.