Assassinio in Tribunale
Ecco il video del mio intervento in Senato per ricordare l’assassinio di un giudice, di un avvocato e di un cittadino nel Tribunale di Milano
qui il testo dell’intervento:
COCIANCICH (PD). Signor Presidente, ieri a Milano, in un pomeriggio straordinariamente accaldato, in un clima di particolare compostezza e mestizia, si sono svolti i funerali di Stato del giudice Fernando Ciampi e dell’avvocato Lorenzo Claris Appiani e, poco prima, a Monza, quelli di Giorgio Erba, cui lei, signor Presidente, molto opportunamente ha ritenuto di voler partecipare: dunque un giudice, un avvocato e un cittadino.
Tutto intorno la città girava con la frenesia e l’agitazione di sempre. Milano è una città – la mia città, che ho tanto amato – che cerca di sopravvivere alle sue tragedie, alle sue angosce, alle sue contraddizioni e tristezze con un soprassalto di vitalità, e che celebrava il Salone del mobile, che ospita così tanti cittadini, investitori e visitatori. Certe volte Milano cerca di sopravvivere con una vitalità che sconfina quasi nell’indifferenza.
Dentro, nella penombra della cattedrale, stavano le autorità, i massimi rappresentanti delle istituzioni, della magistratura, dell’avvocatura, le famiglie e gli amici.
Non parlerò della vita spezzata del giovane collega, l’avvocato Claris Appiani, perché l’ha già fatto con parole bellissime sua madre due giorni dopo, ricordando, in particolare, quanto egli avesse a cuore il giuramento di avvocato, che recita: «Consapevole della dignità della professione forense e della sua funzione sociale, mi impegno ad osservare con lealtà, onore e diligenza i doveri della professione di avvocato». Proprio per tenere fede a questa promessa, l’avvocato Claris Appiani è caduto in un’aula di tribunale.
Non parlerò neanche del giudice Ciampi, che ha speso l’intera sua vita in quel tribunale. Si è detto che egli fosse solo. In realtà, il magistrato è sempre solo – lo dice la nostra Costituzione – in compagnia esclusivamente della legge, che egli cerca di interpretare seconda scienza e coscienza. Questo è ciò che ha fatto il giudice Ciampi per tutta la vita, e credo sia il motivo per il quale egli merita il nostro profondo rispetto e la nostra riconoscenza.
Non parlerò di Giorgio Erba, un cittadino, un imprenditore travolto, con il suo stesso assassino, in una vicenda economica di successi che poi si rivelano fallimenti, di speranze che si riducono a disperazione, di amicizie che diventano odio. Di questo è anche fatta la vita quotidiana di tanti nostri concittadini che cercano di tenere la testa fuori dall’acqua in un tempo in cui il problema di molti è riuscire a stare a galla.
Non parlerò neppure del tema della sicurezza, su cui il Ministro già si è intrattenuto, certamente fondamentale. Le parole del presidente della corte d’appello, dottor Canzio, sono state sufficienti. Egli però ha sottolineato una cosa importante: che non si debba consentire che il tribunale divenga un fortino corazzato; il palazzo di giustizia è la casa di tutti i cittadini. Molti sforzi sono stati compiuti recentemente dal tribunale di Milano per rendere questo luogo di celebrazione della giustizia un luogo aperto alla cittadinanza.
Il ministro Orlando pochi giorni ha aperto l’Ufficio relazioni con il pubblico del palazzo di giustizia di Milano, un’iniziativa importante che consente di mantenere aperto questo dialogo permanente con la cittadinanza, ed è importante che tale vicenda non ci faccia arretrare su questo sforzo, su questo tentativo di mantenere un dialogo, un colloquio, una capacità di sentirci cittadini attivi anche in questo luogo così sacro dove si celebra la giustizia.
Vorrei soltanto fare una brevissima riflessione, signor Presidente, che è anche il motivo per il quale ritengo che questa vicenda ci riguardi tutti. Non possiamo rassegnarci al fatto che ci siano due città: una dentro la cattedrale, l’altra fuori per le strade; una silenziosa dinanzi a quelle bare e a quelle toghe, l’altra fuori alla ricerca di un futuro migliore, che tarda sempre a venire.
Noi, magistrati, avvocati, politici, cittadini, siamo tutti accomunati da un medesimo destino; insieme dobbiamo avere la capacità e la volontà di trovare la strada. Ed è un peccato che anche in questa circostanza ci sia chi ha cercato di vendere la propria merce politica e di farne un battagepubblicitario, che questa vicenda non meritava. (Applausi dal Gruppo PD e dei senatori Buemi e Bruno).
È stato scritto:
«Erano i giorni migliori,
erano i giorni peggiori,
era un’epoca di saggezza,
era un’epoca di follia,
era un tempo di fede,
era un tempo di incredulità,
era una stagione di luce,
era una stagione di tenebre,
era la primavera della speranza,
era l’inverno della disperazione,
ogni futuro era di fronte a noi,
e futuro non avevamo,
diretti verso il paradiso,
eravamo incamminati nella direzione opposta».
Signor Presidente, io spero che questa vicenda ci aiuti a trovare, tutti insieme, la strada per costruire una città più abitabile, più giusta, dove non vi sia la paura. (Applausi dal Gruppo PD e del senatore Buemi. Congratulazioni).