Il 17 settembre sono intervenuto nella discussione generale sulla Riforma del Senato. E’ un momento difficile, certamente storico, al quale molti italiani guardano con grandi aspettative qualcuno anche con apprensione. Riusciremo a trovare un accordo che renda ampiamente condivisa la riforma’ quali sono i motivi per cui essa appare così necessaria? quali sono i punti salienti e le novità rispetto al passato? A queste domande ho cercato di dare delle risposte.
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qui di seguito il testo.
COCIANCICH (PD). Signor Presidente, per me è davvero un onore – lo dico senza retorica – intervenire in questo dibattito su un tema così rilevante ed importante per la vita democratica ed il futuro del nostro Paese.
Un dibattito e una discussione generale che, come ha ricordato questa mattina la Presidente della Commissione affari costituzionali, senatrice Finocchiaro, è stato assai lungo e ricco di interventi, di riflessioni e di contributi da parte della migliore dottrina costituzionalistica italiana. Più di trenta professori costituzionalisti sono intervenuti solo in questa fase di terza lettura in Commissione affari costituzionali. Essi hanno fatto seguito a tutti i dibattiti che ci sono stati in prima e seconda lettura al Senato e alla Camera. Un dibattito arricchito di interventi di notevole spessore in Commissione affari costituzionali tanto che proprio la senatrice Finocchiaro ha ricordato come più di trenta colleghi senatori abbiano dato già una valutazione importante sui contenuti di questo provvedimento.
Sono trascorsi ormai due anni e mezzo da quando è iniziata la discussione all’interno del Parlamento sulla riforma costituzionale perché questo iter,va ricordato, è stato anche preceduto inizialmente da un Comitato istituito dal Presidente della Repubblica e successivamente dalla Commissione istituita dal Governo Letta con alcuni esperti che hanno prodotto riflessioni e contributi. Dunque di questo provvedimento, cioè della riforma della Parte II della nostra Costituzione, credo si possa dire tutto tranne che non sia stato sufficientemente indagato, esaminato, discusso e approfondito.
Andrebbe anche ricordato, anche se non voglio spingermi troppo indietro nel tempo, quanto questa riforma sia stata preceduta da dibattiti che risalgono piuttosto indietro negli anni. In realtà fin dall’Assemblea costituente si ipotizzavano soluzioni che permettessero di superare il bicameralismo paritario. È stato opportunamente ricordato come in quella sede, alla fine dei lavori, prevalse la scelta del bicameralismo paritario solo come ripiego perché in realtà i padri costituenti erano perfettamente consapevoli della necessità e dell’opportunità di consentire una effettiva governabilità ed estensione della democrazia coinvolgendo le istituzioni territoriali nell’iter legislativo e nel dibattito politico e parlamentare a livello nazionale.
Quindi la riforma odierna ha l’ambizione non di chiudere gli spazi di democrazia, ma di ampliarli, coinvolgendo le rappresentanze delle istituzioni territoriali e segnatamente le Regioni, i Comuni e, laddove possibile, anche le aree metropolitane di recente istituzione. È evidente che si allarga piuttosto che restringersi la platea dei soggetti che intervengono nel dibattito politico parlamentare. In questo modo, infatti, le Regioni che fino ad oggi hanno avuto un ruolo marginale, tutto sommato, circoscritto e confinato alla Conferenza Stato-Regioni, diventerebbero dei primi attori a livello parlamentare, interloquendo con la Camera depositaria e titolare del rapporto fiduciario nei confronti del Governo e avrebbero la possibilità di far prevalere o far comunque presente la posizione dell’entità territoriale che essi rappresentano nel dibattito che oggi, invece, è circoscritto soltanto alle forze politiche di maggioranza e opposizione.
Non deve sorprendere, quindi, che sia stato proposto che lo statuto dell’opposizione venga riservato, in futuro, al dibattito all’interno della Camera dei deputati perché la logica che dovrebbe sottendere la dinamica interna del Senato non dovrebbe essere più quella di maggioranza e opposizione bensì di rappresentanza di interessi territoriali e quindi di capacità di rappresentare interessi che non sono identificabili con quelli dei partiti che oggi dominano la scena politica.
Si tratta di una visione profondamente diversa da quella che oggi abbiamo del ruolo e delle funzioni del Senato e forse proprio la difficoltà di comprendere questa diversa logica è alla base di perplessità, opposizioni e resistenze verso la nuova proposta di riforma dell’assetto costituzionale. Io credo che si debba cercare di uscire da questa logica che qualcuno prima ha definito conservatrice cercando di vedere quali sono gli aspetti positivi.
La proposta di riforma prevede che la Camera dei deputati sia fondamentalmente espressione del corpo elettorale e del popolo, mentre il Senato delle istituzioni territoriali.
Da questo punto di vista, discendono alcune conseguenze sul tema della composizione del Senato: è evidente che, se gli attori e i protagonisti del dibattito parlamentare in Senato sono le Regioni, dovranno essere queste, intese in senso istituzionale (quindi i Consigli regionali) ad esprimere e indicare i propri rappresentanti. Sarebbe peculiare, strano e, a mio avviso, incoerente che fossero altri i soggetti, per esempio gli elettori, anche a livello regionale, ad indicare quali sono i propri senatori: sarebbe come privare i Consigli regionali e le forze politiche, che, in base alle leggi elettorali regionali, si sono affermate nelle competizioni elettorali, della possibilità di esprimere le proprie rappresentanze e di portare avanti le istanze dei territori che sono istituzionalmente chiamate a rappresentare; mi sembrerebbe sostanzialmente una contraddizione che forse non dev’essere esasperata.
So che esiste un dibattito importante anche all’interno del nostro Gruppo parlamentare, che vede alcuni di noi fortemente impegnati a sottoscrivere la necessità che comunque gli elettori abbiano la possibilità di incidere sulla designazione dei senatori. Si tratta di una contrapposizione che forse potrebbe essere superata anche con modalità tecniche, individuando preferenze, in modo tale che i lettori possano indicare al Consiglio regionale quali sono i candidati che meglio di altri potrebbero rivestire questo ruolo, lasciando poi in definitiva la possibilità di eleggerli formalmente al Senato, dal punto di vista della designazione, da parte dei Consigli regionali. Le due posizioni non mi sembra che debbano necessariamente essere poste in alternativa l’una all’altra. Credo che una soluzione tecnica possa essere trovata, se vi è buona volontà, come credo vi sia da parte di tutti noi oggi per dare compiutezza al principio fondamentale di espressione della rappresentanza territoriale.
Vi è però un punto che dev’essere tenuto ben presente: non possiamo permetterci il rischio di avere un Senato eletto sulla base di un sistema proporzionale e una Camera dei deputati eletta con un sistema elettorale che invece prevede un premio di maggioranza, perché in questo modo insinueremmo permanentemente il dubbio che una delle due Camere, segnatamente la Camera dei deputati, non rispecchi in modo effettivo la geografia politica del Paese. Il Senato rischierebbe cioè di diventare permanentemente una sorta di monito della mancanza di legittimazione politica della Camera, perché la maggioranza emersa proporzionalmente in Senato differirebbe da quella della Camera e sarebbe una sorta di legittimazione a memoria futura della Camera dei deputati o di inquinamento e di avvelenamento dei pozzi.
Trovo che questo sia un danno per la nostra democrazia del futuro e un danno che oggi ben viviamo, perché sperimentiamo tutta la fatica del nostro dibattito proprio per il fatto che molto spesso non siamo capaci di discutere il merito delle questioni, ma ci rifugiamo sempre nella delegittimazione dell’avversario politico, che è una scorciatoia per non affrontare il merito dei problemi. È una questione di tipo culturale: la grande rivoluzione che dovremmo fare, innanzi tutto, è quella di accettare la legittimazione dell’altro, anche se è diverso da noi, anzi, proprio in quanto tale e perché pensa in maniera diversa da noi. Tutto quello che c’è di diverso ci arricchisce, per cui dovremmo essere orgogliosi di una democrazia delle diversità, che esprime diversità. Continuiamo invece a risolvere i nostri conflitti in termini di delegittimazione reciproca, come dimostrano tutti gli insulti e le caterve di cattiverie pronunciati nel corso di questo dibattito, ahimè, anche oggi, per fortuna non da parte di tutti, in quanto da una parte e dall’altra degli schieramenti, a mio avviso, ci sono stati anche interventi pregevoli e utili. Ma purtroppo si cade spesso nella tentazione di una delegittimazione che poi si riverbera spesso sul piano personale. Allora, si attaccano il Presidente del Consiglio e i suoi predecessori, come se il solo problema fosse la persona. Si dice che non sono stati eletti e sostanzialmente si insinua sempre il dubbio che sia lì il problema. Uno non ha il diritto di governare e, quindi, tutto va azzerato e tutto va completamente distrutto.
Io credo che questa sia una malattia dalla quale noi dovremmo cercare di guarire, altrimenti, qualunque sia la riforma che saremo capaci di approvare, comunque non verremo fuori da un clima di conflittualità, che è quello che frena pesantemente il nostro Paese, che avrebbe tante risorse e possibilità di progredire, di essere anche leader all’interno del mondo nuovo che stiamo vedendo realizzarsi sotto i nostri occhi. Tutto questo per le capacità, la creatività, l’entusiasmo e l’intelligenza dei nostri concittadini che meriterebbero di avere davanti a loro delle istituzioni capaci di rappresentare questa intelligenza e questa forza che essi esprimono nel momento in cui lavorano, studiano, fanno cultura, in cui producono progetti e fanno attività di internazionalizzazione. Su questo punto vorrei anche sottolineare come questo mondo che cambia oggi esige delle istituzioni capaci di reagire in maniera più celere, efficiente ed efficace. La critica che viene fatta sistematicamente alla classe politica è quella di essere sempre in ritardo, di andare sempre ad inseguire le soluzioni dei problemi dopo che i problemi si sono ampiamente incancreniti e manifestati e che, quindi, la politica sia sempre sostanzialmente incapace di affrontarli, di prevenire e di guidare lo sviluppo del Paese. Effettivamente è vero che oggi ci sono forze economiche e anche politiche a livello mondiale capaci di orientare le scelte dei grandi gruppi di investimento e di delocalizzazione, che incidono sulle possibilità di trovare lavoro, di avere spazi di democrazia, che vanno al di là delle istituzioni parlamentari. Basti pensare semplicemente alle istituzioni europee di cui noi ci siamo dotati e che non esistevano quando la Costituzione nel 1948 venne varata. Noi con orgoglio siamo stati cofondatori dell’Unione europea, ma questo ha anche comportato un trasferimento di sovranità. Oggi di fatto abbiamo tre livelli di tipo parlamentare. Il nostro è un “tricameralismo”, se mi si consente l’espressione un po’ forzata. Esiste un livello europeo ed uno nazionale. Tutti noi sappiamo che la legislazione europea ha influenza per oltre il 70 per cento – alcuni parlano addirittura dell’80 per cento – sulla legislazione nazionale. Non si può non tenere conto di questo fatto nuovo, del fatto che esiste la BCE, che esistono delle istituzioni finanziarie. Non si può non tenere conto del fatto che ci sono delle istituzioni anche private come la borsa di New York e quella di Shanghai che hanno la possibilità di influenzare e incidere sulle condizioni economiche del mercato, sul prezzo dei prodotti in modo assai più incisivo e immediato di come una qualunque Commissione, che si voglia riunire con i nostri riti e Regolamenti parlamentari, potrebbe mai immaginare di poter fare. La necessità di snellire, di asciugare, di dare più efficacia alle nostre istituzioni democratiche porterà come conseguenza quella di rafforzarle, innanzitutto per una questione di coscienza di fronte ai cittadini, che le vedranno più capaci di reagire e di incidere in merito alle varie questioni e meno propense a discutere di problemi che sono sempre visti come autoreferenziali.
Tutto il grande dibattito cui accennavo prima sull’elettività dei senatori appare un dibattito in cui noi parliamo solo di noi stessi. Il pensiero che siano questo conflitto e questa discussione a bloccare un percorso di riforme credo sia francamente terrificante. È raccapricciante pensare che sia il meccanismo di elezione dei senatori e non temi di natura sociale o economica a fermare una riforma. Noi dobbiamo dimostrarci capaci di rispondere alle grandi sfide che oggi il nostro tempo pone. Diffondendo la democrazia e attribuendo effettivamente al Parlamento e al Governo che essa eleggerà (perché, comunque, questa riforma non incide sul fatto che ci sarà un Governo che dovrà ottenere la fiducia della Camera), questa riforma darà – ne sono convinto – più credibilità alla nostra classe politica. Darà ad essa soprattutto maggior senso di responsabilità, perché verranno meno gli alibi che per troppo tempo e per troppi anni hanno sempre circondato l’azione politica. Le scelte non erano chiare, perché non si sapeva bene chi le faceva, in quanto erano sostanzialmente frutto di compromessi e di mediazioni, a volte mediazioni estreme, confuse e grigie. Ebbene, laddove non c’era la titolarità della scelta, mancava anche la responsabilità.
Questo tipo di riforma, congiuntamente alla riforma della legge elettorale, invece identificherà con precisione chi avrà la responsabilità del Governo, cioè chi avrà la responsabilità dei successi o degli insuccessi, e darà quindi la possibilità ai cittadini di decidere, alle elezioni successive, se premiare o punire chi ha assunto la guida del Paese.
Credo quindi che sia giusto andare verso una democrazia governante, che non sia solo una democrazia della mediazione. Credo sia importante far passare questa mentalità, che oggi purtroppo non è ancora completamente diffusa. Ciò è anche la causa di grandi fenomeni di malaffare, perché, laddove non vi è chiarezza su chi decide, laddove vi sono delle aree grigie, lì si insinuano il malaffare e chi ha interessi differenti da quelli dichiarati. Abbiamo visto come proprio quelle situazioni in cui ci sono magari piccoli gruppi politici (non necessariamente partiti, ma anche semplicemente componenti politiche), che possono decidere da sole se una determinata forza di Governo può continuare o meno nella propria esperienza amministrativa, diventano il punto debole e il ventre molle della democrazia, dove si attaccano più facilmente le forze di natura eversiva e criminosa. Credo invece che vadano rafforzate la trasparenza e la capacità di governare e di farlo in maniera assolutamente cristallina.
Concludo, signora Presidente, con alcune piccole osservazioni. Ci sono delle funzioni che erano state individuate in prima lettura nel dibattito al Senato e che sono state cancellate nel successivo dibattito che ha avuto luogo alla Camera. Pur avendo il massimo rispetto per i colleghi della Camera, ritengo però che alcune di queste funzioni meriterebbero di essere reintegrate e rafforzate. In modo particolare ne cito due, per mia memoria e per memoria di chi mi ascolta. La prima di tali funzioni sostanzialmente è il raccordo tra gli organi istituzionali dell’Unione europea, lo Stato e gli enti locali. Questo raccordo a me pareva una funzione importante, che oggi non viene svolta in maniera adeguata dalle Camere, perché queste hanno anche altri tipi di occupazioni. Proprio il fatto che all’interno del Senato vi siano le rappresentanze delle istituzioni territoriali attribuirebbe al Senato una competenza particolare e specifica, sapendo che oggi, in base al Trattato di Lisbona, le stesse Regioni possono essere interlocutrici sulle politiche europee. Quindi andrebbe rafforzato il tema del raccordo ed andrebbe rafforzato il ruolo del Senato nella fase ascendente, cioè nella fase propositiva. Per quanto riguarda la fase discendente, andrebbe valorizzata la valutazione dell’impatto delle politiche europee sul nostro territorio. Credo che ciò aiuterebbe a prevenire molti fenomeni di infrazione, che oggi sono riconducibili proprio ai livelli territoriali. Quindi l’Italia farebbe bene, trovando anche un coordinamento tra le diverse Regioni, ad avere una posizione comune rispetto alle istituzioni europee, capace di intervenire sull’attività legislativa o di formazione delle decisioni a livello europeo.
Una seconda funzione è la partecipazione alla decisione diretta alla formazione e all’attuazione degli atti, delle normative e delle politiche dell’Unione europea e alla valutazione del loro impatto. Su questo ho già commentato.
Un terzo punto è costituito dalla valutazione dell’attività delle pubbliche amministrazioni: anche questa è una funzione importante, che darebbe qualità alla nostra legislazione, che oggi invece manca e per la quale sarebbe opportuno che il Senato si dotasse anche di strutture e di capacità di valutazione, che sono eccellenti dal punto di vista giuridico, ma che secondo me sono carenti dal punto di vista della capacità di analisi economica dell’impatto delle politiche pubbliche.
Ci sono poi la verifica dell’attuazione delle leggi dello Stato, il controllo e la valutazione delle politiche pubbliche e il concorso nell’espressioni dei pareri sulle nomine di competenza del Governo nei casi previsti dalla legge.
Mi voglio collegare a quest’ultimo punto solo per un commento finale sulla questione dell’elezione del Presidente della Repubblica, perché da più parti si è rilevato come, forse, la formula che è stata approvata dalla Camera dei deputati non sia del tutto adeguata. Premesso che già oggi è possibile eleggere il Presidente della Repubblica a maggioranza assoluta e quindi il timore che in futuro una maggioranza politica possa eleggere da sé il Presidente della Repubblica è forse un po’ tardivo perché già da settant’anni funziona così, la formula volta a prevedere un meccanismo magari più elaborato – a tal proposito sono già stati discussi dei pareri nell’ambito della Commissione affari costituzionali – che possa consentire che il Presidente della Repubblica sia espressione di una maggioranza più ampia di quella di Governo, mi pare sicuramente una preoccupazione condivisibile.
Desidero dunque concludere il mio intervento su questo punto, salvo formulare un’ultima richiesta. Oggi ho ascoltato il senatore Bondi, che ha rivolto una domanda a coloro che avevano in un primo tempo votato la riforma in esame, chiedendo che cosa sia accaduto nel frattempo e perché da un consenso così largo ed espresso in maniera così convinta si sia passati oggi ad un’opposizione così radicale e viscerale. Ho ascoltato le riflessioni da parte dei colleghi di Forza Italia e di altri Gruppi, ma mi pare che questa domanda così semplice non abbia trovato risposta. Signor Presidente, mi consenta dunque di auspicare che dal prosieguo del dibattito si possa avere chiarezza anche su questo punto. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. Sono così esauriti gli iscritti a parlare in discussione generale nella seduta odierna.
Rinvio pertanto il seguito della discussione del disegno di legge in titolo ad altra seduta.