Il mio viaggio nel Baden-Württemberg procede grazie a Flavio Venturelli e in compagnia di Cecilia Mussini. Bello sperimentare questa amicizia che si consolida chilometro dopo chilometro. Arriviamo a Ludwigshafen importante centro industriale, sede della BASF e di altre aziende multinazionali nella quale sono impiegati migliaia di lavoratori italiani e stranieri. Sono circa 6.000 i cittadini italiani residenti in questa città abitata in larga misura anche da turchi, greci e molti altri provenienti dall’Est Europa e dal sud del Mediterraneo.
Prima sosta nel mitico circolo CIAO, luogo non solo di aggregazione ma anche di cultura e di dibattito politico. Sono stato davvero contento di vedere il grande lavoro di animazione di persone come Ercole Mingrone, Baldo Martorana, Giuseppe Mangiapane e Francesco Cummaudo. Forte la domanda di non essere dimenticati, di sentirsi ancora parte della comunità nazionale e frustrazione per una politica che in nome dei tagli alle spese e al rigore finanziario riduce gli istituti di cultura italiana, le sedi consolari e mantiene l’IMU sulla casa che essi possiedono in Italia considerandola una seconda casa. C’è anche grande consapevolezza che la leadership di Matteo Renzi in Europa abbia fatto recuperare prestigio e dignità ai lavoratori italiani all’estero che scontano più di altri i pregiudizi nei confronti del nostro Paese. Attraverso le vie della città e il mercato coperto con Antonio Priolo, il sindaco di una delle municipalità che compongono Ludwigshafen (Ortsvorsteher Nordliche Innenstadt) che mi illustra con meritato orgoglio il grande lavoro svolto a favore dell’integrazione non solo degli italiani ma di tutte le comunità di stranieri che hanno con il loro lavoro fatto crescere questo importante centro tedesco. Peccato dover partire di corsa ma il viaggio prosegue ora verso il Lussemburgo.
Mi sono chiesto più volte se la scintilla che ha dato vita alla Europa come Comunità sia ancora viva e ardente, se sia ancora linfa capace di nutrire l’animus europeo dei propri cittadini. La crisi di immagine e di identità che l’Europa sta attraversando adesso, esige uno sforzo di creatività, di immaginazione, di speranza e di coraggio intellettuale che vada al di là di quelle che sono semplicemente forme e funzioni inglobate nei Trattati.
Oggi il tema dell’identità europea non è legato semplicemente al riconoscimento delle istituzioni e del loro funzionamento, subordinato anche a fattori contingenti, bensì proprio all’idea di Unione Europea in sé, dell’intera comunità europea. Quando si è scelto di cambiare il nome da Comunità ad Unione Europea è stato fatto un errore: non si è semplicemente cambiata una denominazione ma si è costruita la percezione di un’Europa fredda, istituzionale, distaccata dal sogno europeo che aveva l’aveva resa prima di tutto comunità nell’animo dei propri cittadini. L’Europa degli apparati, della burocrazia, l’Europa dei palazzi, non confligge con l’europeismo, ma non può da sola bastare a rinsaldare la connessione sentimentale tra i cittadini e la propria identità, non riesce a divenire prossima alla vita concreta dei suoi cittadini.
L’Europa è un grande sogno che arriva da lontano, caricandosi di pathos sulle note della 9 Sinfonia di Beethoven e dell’Inno alla Gioia di Shiller, come di una forza morale ed ideale che oggi con fatica riusciamo a ricordare. La scintilla, figlia degli Elisei, della quale parla Shiller nell’Inno alla Gioia, ha bisogno di essere riaccesa, oggi. L’Europa che ha abbattuto muri e conflitti non può oggi costruire muri tra i propri cittadini. Non possiamo lasciare che quella scintilla accenda il fuoco della discordia tra gli Stati membri.
Io credo che l’Italia sia uno dei pochi Paesi che possa e debba, adesso, adempiere al compito di realizzare il progetto dei Trattati attraverso una forte iniziativa politica e culturale sul piano dell’ideale europeo, rafforzando l’identità dello spirito europeo, dello spirito di fratellanza, di una comunione che si fa comunità per un’Europa vicina ai suoi cittadini con delle azioni concrete.
I cittadini non possono appassionarsi ad un’Europa capace solo di imporre manovre restrittive e regole che incidono sulle disponibilità finanziarie di un Paese: non dobbiamo rassegnarci all’idea di un’Europa così fredda. Abbiamo davanti un’occasione che non possiamo sprecare, la possibilità di riportare l’attenzione sullo spirito e sul sentimento europeo.
Sono intervenuto mercoledì 18 marzo nel dibattito sui temi del Consiglio Europeo straordinario dedicato ai temi della politica per fronteggiare l’emergenza migrazione. Questo è il resoconto del mio discorso.
Signor Presidente, desidero ringraziare il Presidente del Consiglio, per la sua comunicazione. La questione migratoria rappresenta per l’Italia e per l’Unione europea una grande minaccia e, al tempo stesso, una grande opportunità. La minaccia è quella di consentire alle forze politiche che hanno un progetto contrario e opposto a una più forte integrazione degli Stati membri di approfittare e strumentalizzare una grande tragedia umanitaria dalle dimensioni planetarie, per attaccare, corrodere, disgregare, spezzettare le istituzioni europee, far crescere nuovi steccati, erigere muri e filo spinato e, soprattutto, reintrodurre barriere commerciali, ostacoli al libero scambio delle merci e alla libera circolazione delle persone, riattivare politiche economiche protezionistiche e barriere doganali, nella convinzione che dalla crisi si possa uscire meglio da soli, magari ripristinando una valuta nazionale e facendo leva sulla scorciatoia di una svalutazione, come ai tempi della lira. In altre parole, si vuole tentare la strada della competizione internazionale non attraverso la solidità di un impianto produttivo, della qualità intrinseca delle merci e dei prodotti che produciamo, dell’efficienza dell’apparato amministrativo e giudiziario, ma attraverso la politica “dopata” della svalutazione artificiosa della moneta e, dunque, dei prezzi. Questo è il vero obiettivo politico che viene perseguito dalle forze antieuropeiste, che non a caso sono le stesse che oggi si oppongono, con argomenti fondati sulla paura e sul risentimento, a qualunque politica che miri a regolare i flussi migratori. Per loro vale il detto «tanto peggio, tanto meglio», in quanto appaiono loro chiari i dividendi a breve termine di una speculazione politica, che consente di lucrare consenso, facendo leva proprio sui sentimenti di smarrimento e di legittima preoccupazione, che sentono tanti nostri connazionali, di fronte ad una tragedia umanitaria di così vaste proporzioni. Non stupisce che siano le stesse forze politiche che negli anni passati, governando da destra le istituzioni dell’Unione europea, ne abbiano indebolito la capacità di reazione, ne abbiano favorito la sclerosi burocratica, ne abbiano ridotto all’osso il bilancio; in altre parole ne abbiano favorito e persino determinato l’apparente paralisi decisionale e la miopia sulla visione strategica da adottare, per affrontare una situazione così complessa, come quella delle migrazioni e dei disequilibri macroeconomici tra le diverse aree del Nord e del Sud del mondo.
Il calcolo di queste forze politiche, che come abbiamo visto anche oggi affidano la loro propaganda soprattutto all’insulto, al dileggio, all’offesa personale, ad espressioni truci e volgari, è un calcolo miope, che danneggia gli interessi del nostro Paese. Esse si rendono alleate, non so fino a che punto consapevoli, di quelle forze politiche e finanziarie, ben collocate in alcuni distretti industriali nordeuropei, che vorrebbero assegnare ai Paesi della sponda mediterranea, come l’Italia, la Spagna e la Grecia e alcuni Paesi balcanici, una mera funzione di filtro, un vasto territorio destinato semplicemente a trattenere e disperdere le ondate di migranti provenienti dai Paesi del Maghreb e del Nord Africa. In altre parole, si vuole trasformare l’Italia, che verrebbe ovviamente esclusa dalle zone euro e Schengen, in una specie di Turchia o di Libia; insomma in una zona cuscinetto, atta a proteggere le ben funzionanti e ricche economie dei Paesi nordeuropei.
Questo progetto politico, nemmeno tanto velatamente propugnato da forze che, anche a causa della debolezza e inanità di nostri precedenti Governi, in tutt’altre faccende affaccendati, hanno metodicamente preso il controllo di tutte le leve di controllo e di governo delle istituzioni europee, oggi trova inaspettato appoggio in quelle forze politiche nazionali, che non essendo riuscite a dividere l’Italia, vorrebbero dividere l’Europa; una specie di quinta colonna, gli utili sciocchi che volentieri si prestano ad aiutarle a fare del nostro Paese una realtà politica insignificante e marginale.
Se dunque oggi ci opponiamo a questa politica che vuole disgregare l’Europa, che intende strumentalizzare la tragedia dei migranti per disarticolare le istituzioni europee e reintrodurre le frontiere, non è per ingenuo buonismo, ma perché siamo profondamente convinti che il rafforzamento dell’Unione europea e l’attribuzione ad essa di un ruolo centrale nella politica migratoria corrisponda ad un rafforzamento degli interessi nazionali e dei nostri concittadini. Siamo noi che intendiamo difendere gli italiani, con politiche serie e di lungo raggio e non a colpi di slogan ad effetto più o meno truculenti.
Come dicevo, signor Presidente, la questione migratoria è una grave minaccia, ma anche una grande opportunità per l’Italia e l’Unione europea: quella di dimostrare la perdura
nte vitalità e forza dei valori sui quali esse sono state fondate e sono cresciute, valori che hanno consentito non solo il più lungo periodo di pace di cui abbia mai beneficiato nella sua storia il nostro continente, ma anche il più alto livello di sviluppo economico mai raggiunto.
Oggi vediamo con un certo sgomento verificarsi la profezia di Albert Camus che, parlando metaforicamente della peste ma alludendo all’intolleranza e alla violenza, scriveva: «Egli sapeva, infatti, quello che ignorava la folla e che si può leggere nei libri, ossia che il bacillo della peste non muore né scompare mai, che può restare per decine di anni addormentato nei mobili e nella biancheria, che aspetta pazientemente nelle camere e che forse sarebbe venuto il giorno in cui la peste avrebbe svegliato i suoi topi per mandarli a morire in una città felice».
L’Europa è stata per molto tempo questa città felice e noi non possiamo permettere che i bacilli del razzismo, dell’intolleranza, della xenofobia, della segregazione, della discriminazione tornino a insudiciare il nostro continente. Segnali preoccupanti giungono anche dai risultati elettorali dei giorni e delle settimane scorse ed è necessario che chiunque abbia animo democratico e amore per la libertà sia vigilante. L’Italia e l’Europa devono essere all’altezza dei loro valori fondativi: unità ne
la diversità è il motto europeo; sono parole scritte con il sudore e con il sangue di tanti cittadini europei che si sono dovuti mettere in cammino e attraversare frontiere in cerca di una esistenza migliore: penso ad esempio ai morti di Marcinelle, dove sessant’anni fa morirono 262 minatori in gran parte italiani. Dovremmo ricominciare da quella memoria per ritrovare il senso del nostro futuro.
L’Europa deve dotarsi non solo di una politica per l’immediato, ma sviluppare una strategia di più ampio respiro, mirata non solo a contenere o regolare l’ondata migratoria ma a normalizzare e governarne i flussi. Occorre innanzitutto abbandonare l’impostazione della legge Bossi-Fini che rende qualunque migrante un clandestino: come si può oggi entrare legalmente in Italia? È praticamente impossibile ed è dunque da ipocriti distinguere tra chi è presente legalmente e chi è clandestino perché è la legge stessa a rendere tutti clandestini.
Soprattutto è necessario ridurre gli enormi squilibri macroeconomici tra le diverse aree del mondo. Nei mesi scorsi a Malta, nel corso del summit a La Valletta, l’Unione europea ha stretto accordi con i Paesi africani da cui fugge o transita la maggior parte dei migranti che dal Continente nero si dirigono verso l’Europa.
Con questo accordo si è voluto compiere un salto di qualità importantissimo nelle relazioni con gli Stati dell’Africa sub-sahariana per una cooperazione rafforzata e più efficace nella lotta contro l’emigrazione irregolare e la tratta di persone nel Mediterraneo. Si sta tentando di creare una sorta di cintura di sicurezza sulle rott
dei Paesi di origine e di transito dei flussi migratori che hanno come destinazione l’Europa: la Horn of Africa migration route, ovvero Djibouti, Egitto, Eritrea, Etiopia, Kenya, Somalia, Sud Sudan, Sudan e Tunisia. Forse proprio su questo fronte converrebbe concentrare sforzi e impegno, piuttosto che insistere esclusivamente sull’accordo con la Turchia.
Il processo di Khartoum, di cui l’Italia ha sin dall’inizio avuto la regia, oltre a fornire il quadro di riferimento che mancava per una politica strutturata ed un confronto operativo tra l’Unione europea ed i Paesi del Corno d’Africa, ha strutturato un percorso ambizioso teso ad affrontare le cause profonde dell’immigrazione di massa, evidenziando lo stretto legame tra quest’ultima e l’assenza di prospettive di sviluppo. Di fatto la EU-Horn of Africa migration route initiative si propone di controllare questi flussi attraverso intese che prevedono piena collaborazione dagli Stati africani a fronte di investimenti in cooperazione.
Qui però c’è un punto dolente. Governi, o meglio regimi, che sono ritenuti inaffidabili dalle organizzazioni non governative per i diritti umani e che, nonostante il supporto – anche
economico – dell’Unione europea, non sono riusciti a mettere in atto processi di democratizzazione e di inclusione sociale al propr
io interno, possono davvero fermare i flussi migratori? Quali garanzie possono fornire sul rispetto dei diritti dei profughi e su eventuali forme di corruzione nella gestione dei campi?
In conclusione, è necessario prevedere forme di monitoraggio per assicurarsi che gli accordi vengano di fatto rispettati e al tempo stesso operare affinché essi evolvano verso pratiche più rispettose dei fondamentali diritti civili e democratici di quei popoli; un’impresa difficile che solo l’Europa unita può conseguire.
Infine, signor Presidente, mi lasci dire che proprio questa mattina i giornali hanno pubblicato un documento che è stato ritrovato nel quattrocentesimo anniversario della morte di William Shakespeare, il più grande scrittore di tragedie e di commedie del nostro tempo. Shakespe
are scrive come segue (e sembra che lo faccia esattamente per noi): «Se il Re vi bandisse dall’Inghilterra dov’è che andreste? Che sia in Francia o Fiandra, in qualsiasi provincia germa ica, in Spagna o Portogallo, anzi, ovunque non rassomigli all’Inghilterra, orbene, vi troverete per forza a essere degli stranieri. Vi piacerebbe allora trovare una nazione d’indole cosi barbara che, in un’esplosione di violenza e di odio, non vi conceda un posto sulla terra, affili i suoi detestabili coltelli contro le vostre gole, vi scacciasse come cani, quasi non foste figli e opera di Dio, o che gli elementi non siano tutti appropriati al vostro benessere, ma appartenessero solo a loro? Che ne pensereste di essere trattati così? Questo è ciò che provano gli stranieri. Questa è la vostra disumanità». (Applausi dai Gruppi PD e Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE).
Il Consiglio europeo ha approvato la richiesta dell’eurogruppo di prestare subito ad Atene 7 miliardi che permettano al paese di pagare entro lunedì 3,5 miliardi alla Banca centrale europea (Bce) e di restituire gli 1,5 miliardi che non era riuscita a dare il 30 giugno al Fondo monetario internazionale.