Visita al carcere di San Vittore.

Sono stato in visita stamane al carcere di San Vittore. Ho potuto apprezzare la grande professionaità e cortesia delle guardie penitenziarie che mi hanno accompagnato nei diversi raggi in cui si articola questa struttura imponente che sta nel cuore della città. Con il direttore del carcere dott. Siciliano abbiamo ampiamente discusso dei rapporti tra città e carcere, dei progetti che possono essere realizzati anche per dare effettività al principio costituzionale della funzione rieducativa della pena. Ho visitato i laboratori di sartoria dove le detenute acquisiscono competenze professionali che potranno aiutarle in un reinserimento all’interno della società una volta espiata la pena. Abbiamo parlato di sovraffollamento, di suicidi (sono stato nel reparto “psichici” e in quello di sorveglianza a vista per chi compie atti di autolesionismo). Ho partecipato ad una messa in una piccola cappella vicino all’ottagono e ho sentito i detenuti pregare per le piccole figlie del carabiniere che ieri a Latina ha distrutto la sua famiglia; ho incontrato volontari, suore, persone che spendono una parte importante della loro vita per portare umanità, speranza in un luogo di grande sofferenza. Nel rientrare, molto meditabondo e scosso, sono passato da via Gian Giacomo Mora. I milanesi lo sanno, quella è la via della Colonna Infame, la via dove nel 1600, ai tempi della peste, abitava un uomo, GianGiacomo Mora per l’appunto, ingiustamente condannato, torturato e ucciso soprattutto a causa dell’isterismo e dell’ignoranza popolare. C’è una targa che commemora quel terribile episodio. Oggi la peste non c’è più ma quando si parla di colpa e di espiazione, mi spiace dirlo, un po’ di isterismo lo si ritrova ancora fra tutti noi.