Un discorso pieno di passione civile ed entusiasmo, quello di Matteo Renzi ieri a Imola. Giusto ricordare le tante cose fatte sia sul lato economico che su quello dei diritti civili e al tempo stesso esprimere la voglia di guardare avanti e continuare un impegno a migliorare il nostro Paese creando lavoro, lavoro, lavoro. Senza lavoro (ma anche fatica, intelligenza, creatività, cooperazione) non abbiamo futuro e l’Italia finirà ad avere un ruolo sempre più marginale in mano a chi ha solo parole becere invece che di speranza. Abbiamo rimesso l’Italia in cammino facendola uscire dalla crisi, ora dobbiamo farla avanzare a grandi passi , leader in Europa e protagonista nel mondo.
Tenendo fede ad una promessa fatta a Marco Onorato circa 10 giorni fa a Bruxelles eccomi giunto nel Granducato di Lussemburgo, sempre condotto dal mitico Flavio Venturelli. Prima di giungere a destinazione passiamo affianco alla cittadina di Schengen così importante per il trattato sulla libera circolazione interna alla UE che ha cambiato la vita a milioni di europei e che oggi alcuni euroscettici vorrebbero rimettere in discussione.
L’incontro con il circolo di Lussemburgo è all’insegna di una grande cordialità, un dialogo fatto di intensi scambi di opinioni sulle priorità europee e sui grandi temi legati al debito, alla crescita, al pluralismo culturale, la sicurezza, i migranti… insomma un giro d’orizzonte a 360 gradi. Grazie a Paolo Fedele e tutti i valorosi componenti del circolo per una serata così bella e ricca. Grazie a loro apparso chiaro che il futuro dell’Italia, la soluzione dei numerosi problemi che sfidano il nostro Paese presuppone il riconoscimento di una più forte credibilità nei confronti dei nostri partner politici e degli investitori finanziari. Occuparsi di questi temi non significa dimenticarsi dei problemi sociali e degli ultimi ma porre le condizioni per le quali quei temi possano essere affrontati in modo strutturale e con adeguatezza di risorse. Oggi l’Italia è schiacciata dal peso del debito, dalla crescita insufficiente, dalla disoccupazione , tutti frutti malati di una instabilità politica e da una incapacità di mettere in cantiere riforme strutturali che esigono del tempo per essere compiute. Prendersi cura degli ultimi significa anche creare le condizioni grazie alle quali gli interventi non siano solo estemporanei e di facciata. L’esperienza tedesca in materia di immigrazione da questo punto di vista è una grande lezione con la quale confrontarsi. Ci sono delle ombre ma anche tante luci frutto di un lavoro certosino e concreto che a volte manca alle nostre latitudini.
Il progetto di riforma costituzionale è stata una grande occasione mancata ed è davvero paradossale che coloro che hanno maggiormente contribuito ad affossarlo oggi lamentino la mancata soluzione di quei problemi che se invece il referendum fosse stato approvato avrebbero trovato una strada per essere risolti. Ma siamo in cammino, cercheremo un’altra strada perché l’urgenza e la grandezza dei problemi è tale che non c’è spazio per la rassegnazione. Un grazie particolare a Marco Onorato che si è speso con grande passione su temi difficili come quelli di natura finanziaria e poi si è persino sobbarcato la fatica di riportarmi a notte fonda Francoforte per consentirmi di ripartire la mattina presto per Bologna ed intervenire ad un bella iniziativa su Don Milani.
Il mio viaggio nel Baden-Württemberg procede grazie a Flavio Venturelli e in compagnia di Cecilia Mussini. Bello sperimentare questa amicizia che si consolida chilometro dopo chilometro. Arriviamo a Ludwigshafen importante centro industriale, sede della BASF e di altre aziende multinazionali nella quale sono impiegati migliaia di lavoratori italiani e stranieri. Sono circa 6.000 i cittadini italiani residenti in questa città abitata in larga misura anche da turchi, greci e molti altri provenienti dall’Est Europa e dal sud del Mediterraneo.
Prima sosta nel mitico circolo CIAO, luogo non solo di aggregazione ma anche di cultura e di dibattito politico. Sono stato davvero contento di vedere il grande lavoro di animazione di persone come Ercole Mingrone, Baldo Martorana, Giuseppe Mangiapane e Francesco Cummaudo. Forte la domanda di non essere dimenticati, di sentirsi ancora parte della comunità nazionale e frustrazione per una politica che in nome dei tagli alle spese e al rigore finanziario riduce gli istituti di cultura italiana, le sedi consolari e mantiene l’IMU sulla casa che essi possiedono in Italia considerandola una seconda casa. C’è anche grande consapevolezza che la leadership di Matteo Renzi in Europa abbia fatto recuperare prestigio e dignità ai lavoratori italiani all’estero che scontano più di altri i pregiudizi nei confronti del nostro Paese. Attraverso le vie della città e il mercato coperto con Antonio Priolo, il sindaco di una delle municipalità che compongono Ludwigshafen (Ortsvorsteher Nordliche Innenstadt) che mi illustra con meritato orgoglio il grande lavoro svolto a favore dell’integrazione non solo degli italiani ma di tutte le comunità di stranieri che hanno con il loro lavoro fatto crescere questo importante centro tedesco. Peccato dover partire di corsa ma il viaggio prosegue ora verso il Lussemburgo.
Ho avuto l’onore di intervenire in Aula al Senato in rappresentanza dei Senatori del Partito Democratico per la dichiarazione di voto sul DL 2583 “Minori stranieri non accompagnati” . Questo è il mio intervento:
“COCIANCICH (PD). Signora Presidente, credo che sarebbe giusto affrontare questo dibattito senza usare toni emotivi. È stata più volte invocata, anche delle opposizioni, una moderazione e sono d’accordo, perché basterebbero le cifre disponibili per commentare cosa intende fare il disegno di legge. Certo, sorprende non poco sentire coloro che hanno fatto appello a non usare toni emotivi, poi, rappresentare in quest’Assemblea quella che a me sembra più una sceneggiatura di film da Oscar. Abbiamo sentito poc’anzi sostenere addirittura che ogni dodici minuti un minore straniero uccide un italiano. Non so da dove vengano fuori queste cifre: 268 violenze sessuali, ogni giorno dieci reati nei confronti degli italiani; queste sono le cifre riportate poc’anzi.
Vorrei riportare un minimo di razionalità in questo dibattito citando, invece, le cifre ufficiali dell’UNICEF, da cui dobbiamo partire per capire chi sono questi minori non accompagnati. Poco giorni fa, nel febbraio 2017, l’UNICEF ha pubblicato il rapporto «Un viaggio mortale per i bambini» («A deadly journey for children») e, partendo dal presupposto che ci sono 50 milioni di migranti nel mondo, riferisce che ce ne sono 256.000 che hanno attraversato l’anno scorso il deserto della Libia. Di questi, il 9 per cento erano bambini non accompagnati, che hanno subìto violenze, maltrattamenti, la carcerazione nei centri di detenzione istituiti in Libia.
Tra i 181.436 arrivi in Italia, 28.233 erano bambini, nove decimi dei quali non erano accompagnati. 4.759 è il numero dei morti nel Mediterraneo, di cui 700 erano bambini, che qualcuno vuole descrivere come persone che vengono qui a uccidere gli italiani e a fare rapine. (Applausi dal Gruppo PD). Questo è il percorso che hanno fatto questi bambini. (Applausi dal Gruppo PD).
Io invoco innanzitutto il rispetto, il rispetto, il rispetto per queste persone! Non possiamo insultarle, basta! (Applausi dal Gruppo PD.).
Ci sono 7.700 migranti in Serbia, 10 per cento dei quali sono bambini. Secondo il rapporto di Migrantes, questi bambini si prostituiscono per 2.000 dinari al giorno (17 dollari) per sopravvivere, non certo per cercare piacere.
Qualcuno ha citato i bambini non accompagnati come se fossero scolaretti in gita, che si sono forse un po’ persi o hanno perso i genitori; è stato detto che dobbiamo ricongiungerli ai genitori, prima di accettarli in Italia. (Applausi dal Gruppo PD). Questi sono ragazzi, ragazze, bambini o adolescenti, coloro che hanno la fortuna di sopravvivere ai naufragi, costretti a prostituirsi per cercare di sopravvivere, perché non hanno di che vivere e di che mangiare. Questa è la situazione che noi vogliamo affrontare con questo disegno di legge.
Il Papa ha scritto che tra i migranti i bambini costituiscono il gruppo più vulnerabile, perché, mentre si affacciano alla vita, sono invisibili e senza voce. La precarietà li priva di documenti. L’assenza di adulti che li accompagnano impedisce che la loro voce si alzi e si faccia sentire. Io credo che oggi tutti i senatori e le senatrici che voteranno a favore di questo provvedimento vogliano alzare la loro voce per far sentire la voce di questi bambini. (Applausi dal Gruppo PD).
In tal modo i minori migranti finiscono facilmente nei livelli più bassi del degrado umano, dove illegalità e violenza bruciano in una fiammata il futuro di troppi innocenti, mentre la rete dell’abuso è dura da spezzare. In realtà, signora Presidente, si pensa sempre a questi bambini con accezioni negative: sono non adulti, non italiani, non accompagnati. Cioè li definiamo per ciò che non sono. Noi dovremmo guardare a loro come si guarda ad ogni bambino, come si guarda ad ogni giovane e ad ogni persona all’alba della sua vita, cioè come speranze di un mondo nuovo e migliore, come risorse, come persone che, se avessero una chance, potrebbero diventare risorse strategiche di una società tollerante, dialogante, rispettosa e curiosa delle reciproche differenze. Questo richiede un atteggiamento di accoglienza, cioè di accudimento e di protezione di queste vite in erba. Questo è ciò che si propone di realizzare questo disegno di legge.
Ciò corrisponde non soltanto all’interesse dei minori, di questi individui, di queste persone, ma anche ad esigenze di tutela della società, che, creando condizioni di maggiore giustizia ed equità, pone le condizioni per una maggiore legalità e una maggiore sicurezza anche per i nostri cittadini. Chi si oppone alla cultura dell’accoglienza sospinge questi giovani verso una clandestinità più oscura, li consegna nelle mani delle organizzazioni criminali, li obbliga a vivere di espedienti per sopravvivere e alimenta i traffici illeciti. Chi si oppone alla cultura dell’accoglienza, avvalendosi magari di argomenti cavillosi e pretestuosi (come quelli che abbiamo sentito oggi sull’articolo 5, sulle procedure per il riconoscimento della minore età), ebbene costoro, magari cianciando di suggerire un capovolgimento dell’onere della prova su quella che è la presunzione ex lege della minore età in caso di dubbio, creano le condizioni per nuove forme di emarginazione, di rabbia e di rivolta.
Abbiamo già visto, nelle periferie di Parigi, nel quartiere di Moelenbeck a Bruxelles o nei sobborghi di Londra, dove portano queste politiche miopi ed egoiste. Noi respingiamo con forza tutte le accuse che sono state rivolte in modo becero al Partito Democratico nel corso di questo dibattito. Noi rivendichiamo il merito di una politica che, delineando un percorso organico di tutela, tocca tutti i punti critici di questo problema, cioè la procedura per stabilire la minore età, l’attivazione di una banca dati e di una cartella sociale, il diritto all’istruzione e alla salute, il diritto all’ascolto e all’assistenza legale, il diritto al ricongiungimento e le procedure di rimpatrio. La differenza che c’è tra noi e coloro che hanno agitato questi spettri è che noi dietro il volto di un bambino vediamo una speranza di vita, mentre voi dietro il volto di un bambino vedete una minaccia, voi vedete il terrorista Amri.(Applausi dal Gruppo PD).
Noi vogliamo che i terroristi come Amri vengano fermati, arrestati, condannati, espulsi. Pensiamo però che non sia tollerabile estendere, per causa di Amri, una presunzione di delinquenza a tutti i minori non accompagnati.(Applausi dal Gruppo PD). Questo è imposto dai nostri principi, dai nostri valori e anche dalla nostra Costituzione. Un respingimento generalizzato non corrisponde a garantire la sicurezza, ma la compromette, perché non ci può essere sicurezza senza giustizia, giustizia tra le genti e tra gli uomini.
Signora Presidente, vado a concludere. Noi dobbiamo approvare questo disegno di legge, ma non dobbiamo dimenticare che dobbiamo agire sulle cause. Quindi dobbiamo innanzitutto impegnarci in futuro a non vendere armi alle fazioni in conflitto e cominciare a fare una seria politica di pacificazione nelle aree da cui provengono i rifugiati.(Applausi dal Gruppo PD).
Ha detto Don Milani: «Voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri e allora – e io faccio mie queste parole, e credo che con me tutto i senatori del Partito Democratico le facciano proprie – io reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi, da un lato, e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri».
Annuncio pertanto il voto favorevole del Partito Democratico a questo disegno di legge.(Lunghi e prolungati applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).”
Cominciamo, quindi, il cammino che ci porta al Congresso. Sarà una straordinaria occasione di confronto, dibattito e di scelte. Sarà soprattutto un’occasione per rilanciare le speranze ed il progetto in autentico riformismo che renda migliore e più giusto il nostro Paese.
Buona strada a chi durante questo cammino saprà guardarsi indietro per aspettare gli ultimi, saprà guardare avanti per non perdere di vista l’obiettivo;buona strada a chi saprà guardarsi intorno per ricordarsi di esser parte di qualcosa di più grande.
Buona strada anche a Matteo Renzi che, dopo aver fatto alcuni difficili passi indietro sarà chiamato anche a presentare le sue proposte per consentire a tutti di fare dei passi in avanti.
Mi fa piacere, dunque, che Matteo abbia deciso di recarsi per alcuni giorni negli Stati Uniti a visitare alcune realtà aziendali innovative, tecnologiche ed ecologiche. Nel momento in cui il paradigma internazionale inneggia al protezionismo e alla chiusura delle frontiere, è nostro dovere aprirci al confronto e alla voglia di migliorarci. Dobbiamo cominciare ad imparare da chi può insegnarci qualcosa, dobbiamo imparare a rendere l’Italia fucina delle migliori idee di sviluppo e di crescita. Il Mondo corre, non cammina e noi vogliamo camminare insieme agli altri senza lasciare nessuno indietro.
Potremo farlo, insieme : ascoltando, proponendo e partecipando.
Contrasto al cyberbullismo: il mio intervento in discussione generale.
Vi propongo il video e di seguito il testo dell’intervento che ho fatto nella seduta antimeridiana dello scorso giovedì durante la discussione generale sul provvedimento in tema di contrasto al cyberbullismo. Questo pomeriggio procederemo con le dichiarazioni finali e il voto.
COCIANCICH(PD). Signor Presidente, vorrei formulare un ringraziamento non formale al relatore che, a mio giudizio, ha svolto un’introduzione appropriata, ricca di informazioni e importante, un ringraziamento da estendere anche a tutti i colleghi che, fino ad oggi, si sono espressi con considerazioni che io condivido ampiamente. Questo mi permette di fare alcune riflessioni – per non ripetere cose già dette – che forse sono di natura più generale, ma che credo siano comunque importanti.
In questo disegno di legge che oggi andiamo ad approvare è stata messa in evidenza la necessità di porre l’accento non sull’aspetto sanzionatorio-punitivo per affrontare il problema, ma sull’aspetto educativo. Io credo che educare e non punire sia la giusta strategia per fenomeni di questo tipo; ma per educare è anche necessario comprendere. Bisogna comprendere almeno tre aspetti: anzitutto, le dimensioni del fenomeno. Da questo punto di vista, molti elementi sono già stati evidenziati; io stesso vorrei attrarre l’attenzione dei colleghi anche sul dossier predisposto dagli uffici, che mette in evidenza dati davvero drammatici. Risulta, infatti, che più di uno su due giovani italiani, tra gli undici e i diciassette anni, è stato in qualche modo oggetto di comportamenti offensivi: stiamo parlando di una media nazionale di oltre il 52 per cento. Questo dà la sensazione di un fenomeno tanto grande quanto, per certi aspetti, sconosciuto.
Le dimensioni sono elevatissime e sono da rapportarsi alla crescita e alla diffusione degli strumenti tecnologici oggi disponibili: PC, tablet, cellulari, che evidentemente fino a pochi anni fa non c’erano, che oggi vengono utilizzati in un modo che non era forse facilmente prevedibile, ma che di fatto sono diventati strumenti di comportamenti di offesa e di aggressione reciproca.
Il disegno di legge all’esame mette in evidenza, all’articolo 1, quali sono questi comportamenti: atteggiamenti che inducono una o più vittime ad avere sentimenti di ansia, di timore, di isolamento, di emarginazione; comportamenti vessatori, pressioni o violenze fisiche e psicologiche; l’istigazione al suicidio o all’autolesionismo, minacce o ricatti; furti o danneggiamenti; offese o derisioni per ragioni di lingua, di etnia, di religione, di orientamento sessuale, per l’aspetto fisico, la disabilità o altre condizioni personali e sociali della vittima. È un elenco terrificante: è inquietante sapere che la metà della popolazione giovanile italiana si trova sistematicamente a contatto con comportamenti di questo genere.
Credo che non possiamo esimerci dal domandarci quale sia la società che stiamo, poco per volta, costruendo: quali saranno le donne e gli uomini del domani, se passano attraverso questa fornace di violenza, di intolleranza, di terribile aggressione reciproca? Del resto, è necessario comprendere che gli autori delle intimidazioni sono a loro volta, il più delle volte, dei minori: quindi, il fenomeno non è riconducibile alla visione dell’orco contro la giovane vittima. Spesso sono giovani che usano violenza nei confronti di altri giovani, minori che aggrediscono altri minori. Questo deve indurci a un terzo sforzo di comprensione, oltre a quello della dimensione e della natura di queste aggressioni: comprendere le ragioni di questa situazione.
Credo che, per quanto si possa stigmatizzare – ed è doveroso farlo – un utilizzo tanto violento della rete, un uso terribile di questi strumenti, dobbiamo rifuggire da un mero approccio moralistico che metta da una parte i buoni e dall’altra i cattivi, perché non è un approccio sufficiente e adeguato. In realtà, credo che le radici di questa situazione siano più profonde e trovino la propria linfa in una cultura della violenza profondamente diffusa nella nostra società, che viene oggi considerata in qualche modo normale.
A mio avviso, dovrebbe esserci una chiamata a un’assunzione di responsabilità collettiva e non si può soltanto imputare agli autori materiali di questi atti di intimidazione, di cyberbullismo, una responsabilità che gravi solo su di loro. In realtà, purtroppo, in parte è una responsabilità di tutti noi. Dovremmo avere l’onestà intellettuale di capire che tutti siamo compartecipi del problema e quindi dobbiamo essere compartecipi anche della soluzione. Se noi – e dico noi come politici, operatori culturali e dei media e attori dell’educazione – fossimo capaci di diventare operatori di una cultura diversa e di promuoverla, allora forse sarebbe possibile introdurre nella nostra società elementi correttivi e anticorpi nei quali poter trovare una via di salvezza.
Sono estremamente preoccupato, perché vedo che in questa vicenda si confrontano due, forse tre grandi fragilità. La prima è quella degli stessi componenti del branco: il cyberbullismo, infatti, si pratica in gruppo; non si ha semplicemente un individuo contro un altro, ma spesso un gruppo di persone che si accanisce contro il soggetto percepito come l’elemento più debole. A loro volta, però, tutti i membri del branco sono una sommatoria di fragilità, che si appoggiano l’una all’altra con atteggiamenti di violenza e di aggressività nei confronti di un altro, per riuscire a trovare una forza che in realtà è mancante. Quando si va poi a intervistare, interrogare e sentire i protagonisti di queste violenze, si scoprono fragilità individuali, immaturità e inconsapevolezze che sono altrettanto sbalorditive. Questo è un fenomeno di cui non possiamo non occuparci nel momento in cui parliamo del cyberbullismo, perché anche costoro – che non voglio definire vittime, parola che mi sembra inappropriata – sono parte della malattia di cui ci stiamo occupando.
Vi è poi l’aspetto della vittima che subisce queste aggressioni: mi colpisce molto il tema del silenzio, perché la vittima subisce in silenzio e, come abbiamo visto, non trova la forza di ribellarsi, se non con la ribellione estrema, di un atto di autolesionismo, che può arrivare addirittura al suicidio. Credo che questa sia la dimostrazione di un gesto estremo di rivolta nei confronti di un sistema che si pensa di non poter in alcun modo cambiare. Chi giunge alla conclusione che non c’è altra soluzione se non quella di togliersi la vita lo fa, credo, anche come un atto di accusa nei confronti non soltanto dei persecutori diretti, ma anche di quel mondo adulto che non è in grado di accorgersi di quel dramma né di intraprendere alcuna misura di sostegno o alcun tipo di aiuto, di ascolto, di promozione o di accoglienza nei confronti di chi sta vivendo una tragedia individuale, che viene vissuta personalmente senza essere manifestata, se non nelle lettere drammatiche e inquietanti che ci vengono lasciate.
Credo che il disegno di legge in esame abbia questo, di importante: offre una prospettiva, un safe harbour, un porto sicuro nel momento in cui mette a disposizione un percorso e un gruppo di riflessione; rinuncia alla prospettiva veramente sanzionatoria, come abbiamo detto, ma prospetta invece un lavoro di persone che si mettono insieme e prevedono una programmazione.
Sotto questo profilo, mi piace ricordare che pochissimi giorni fa anche la Regione Lombardia ha introdotto una nuova norma regionale, che individua nella relazione un punto, a mio avviso, importante: «Si deve intervenire attraverso una programmazione complessa e strutturata a lungo termine, che preveda necessariamente la partecipazione attiva della famiglia, della comunità scolastica e delle istituzioni del territorio, in una prospettiva di corresponsabilità, co-progettazione e condivisione dello sfondo valoriale».
Credo che sia questa la strada da intraprendere e che si debba fare appello certamente agli operatori della scuola, alle famiglie e anche alle associazioni, al mondo del volontariato e ai giovani stessi, che devono essere chiamati a diventare protagonisti di una società diversa, facendo appello alle loro migliori forze, energie e intelligenze.
Quindi, i giovani sono anche loro parte della soluzione e tutti noi non possiamo tirarci fuori dalla questione approvando questa legge perché non basta e dobbiamo cercare di mettere insieme, come ho accennato nel mio discorso, tutta una serie di elementi che creino una cultura diversa, dell’accettazione, del gusto della differenza e dell’accoglienza reciproca. Senza questo, temo che anche questa norma rischi di essere una soluzione estremamente parziale per quanto assolutamente necessaria. (Applausi dal Gruppo PD).