(PD). Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, lei oggi viene in Senato a chiedere la fiducia in un momento di grande difficoltà e trepidazione per il futuro, non solo dell’Italia ma anche di quel grande Continente, antico e sempre nuovo, che De Gasperi chiamò «Europa-Patria». A questo tema lei ha dedicato energia e ampio spazio nel suo intervento e questo è motivo di grande soddisfazione.
Proprio nell’anno in cui si terranno le elezioni europee e verranno rinnovate le principali istituzioni, quali la Commissione e il Parlamento europeo, nell’anno in cui prenderanno avvio strategie e programmi fondamentali per il rilancio di una economia che sia al tempo stesso intelligente, solidale e sostenibile, come il programma Europa 2020, vediamo dappertutto segnali di progressivo disincanto, di disamoramento, di crescente scetticismo sulle sorti, il ruolo, l’ampiezza dei poteri, il destino dell’Unione europea. Forze populiste, nazionaliste e iper localiste trovano oggettiva convergenza e interesse a indicare nell’Unione Europea la causa delle nostre difficoltà anziché la strada per fuoriuscirne.
La ruggine della discordia e della diffidenza si diffonde nelle relazioni tra i principali Paesi dell’Unione e nei confronti delle istituzioni europee. A questo ha contribuito certamente un eccesso di burocrazia e di ipertrofia normativa da parte comunitaria e la sensazione diffusa che l’Italia non sia stata sempre trattata in modo equanime da parte dei nostri partner europei. In particolare, che ciò che è stato consentito ad altri (ad esempio lo sforamento del limite del 3 per cento nel rapporto tra deficit e PIL) sia stato invece irragionevolmente negato a noi, nonostante le politiche di rigore e i sacrifici a cui si è pazientemente sottoposto il popolo italiano.
Eppure, a ben guardare, non ha molto senso dare la colpa di questa situazione agli altri, al destino cinico e baro, e neppure ai numerosi pregiudizi che pur sono spesso diffusi nelle cancellerie europee nei confronti del nostro Paese. La causa di questo atteggiamento a noi sfavorevole sta nel giudizio, purtroppo spesso fondato, di mancanza di credibilità politica dei nostri Governi, di instabilità, di incoerenza tra le dichiarazioni entusiasticamente e acriticamente europeiste e i comportamenti concreti. Basti pensare che ancora oggi l’Italia detiene il poco invidiabile record del più alto numero di violazioni del Trattato: sono oltre 100!
L’Italia lamenta un trattamento deteriore sul piano economico, ma poi si è dimostrata incapace di spendere bene, e tutti, i fondi che le vengono assegnati. Come non pensare alla vicenda inaccettabile dei fondi strutturali, dispersi e sminuzzati in decine di migliaia di piccoli rivoli e utilizzati soltanto in parte. Un grande spreco, tenuto anche conto che l’Italia è un contributore netto all’Europa.
Il compito che il suo Governo è chiamato a svolgere è dunque quello di riguadagnare quella credibilità e quel rispetto senza i quali non sarà possibile alcuna negoziazione in termini di flessibilità degli stretti parametri che rischiano di stringere l’Italia in una camicia di forza soffocante. Va peraltro dato atto che gli ultimi due Governi che hanno preceduto il suo, in particolare quello Letta, hanno lavorato con grande consapevolezza in questa direzione. Proprio la mancanza di autorevolezza e di considerazione a livello internazionale ha permesso che l’Italia venisse umiliata nell’affaire dei nostri marò in India, dalle parole del Segretario Generale delle Nazioni Unite, nel caso Battisti in Brasile. Questo non avvenga più.
C’è però un compito ancora più arduo che l’attende, signor Presidente. La crisi europea – che è una crisi economica, certo, ma anche una crisi di identità, di fiducia in se stessi, di visione sul futuro – esige oggi che l’Italia abbia una capacità di iniziativa e di forte leadership nel consesso europeo e che vi sia un controbilanciamento dei Paesi dell’area mediterranea e latina rispetto allo strapotere dei Paesi nordici. Molti Paesi guardano a quello che sta succedendo in Italia con curiosità, altri con grandi aspettative.
Con quell’allegra e sincera sfacciataggine, da autentico ribelle (come lei ebbe modo di ricordare il 15 dicembre scorso accettando la carica di Segretario del Partito Democratico), e per la quale molti di noi la stimano e la sostengono, lei ha annunciato di avere una sana e smisurata ambizione per le sorti del nostro Paese. Ebbene, di una ancora più grande ambizione oggi c’è bisogno, signor Presidente: l’ambizione di restituire un’anima e un destino all’Europa e ai suoi abitanti, siano essi di terza, di seconda o anche solo di prima generazione. Che l’Italia e l’Europa ritrovino insieme il loro cammino, la loro vocazione ad essere il terreno più avanzato delle conquiste civili e sociali, le patrie dell’arte e della cultura, delle cattedrali, un modello di tolleranza, di libertà e democrazia tra i popoli così diversi e pure così uniti.
PRESIDENTE. Senatore Cociancich, la invito a concludere.
COCIANCICH (PD). Signor Presidente, in tal caso chiedo alla Presidenza l’autorizzazione a consegnare il testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. La Presidenza l’autorizza in tal senso.
COCIANCICH (PD). In conclusione, vorrei soltanto ricordare che, di fronte a questa grande aspettativa, stanno anche molti uomini e molte donne che vengono da Paesi posti sulle sponde del Mediterraneo. Alcuni di loro sono finiti in fondo al mare, altri hanno le bocce cucite. Per rispetto a loro, per rispetto a noi, per rispetto ai nostri concittadini, io auguro che lei abbia il coraggio e l’audacia che oggi ha dimostrato nel suo intervento e che sia in grado di realizzare questo grande sogno europeo. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).