Le nuove “Staffette”

Durante la seduta dello scorso 19 settembre, sono rimasto molto colpito dall’intervento pronunciato dalla Senatrice Mattesini,  in tema di femminicidio. Mentre ascoltavo il suo intervento, ho pensato al 1967 e alla parola “R-E-S-P-E.C-T” scandita da Aretha Franklin nel riadattamento della canzone di Otis Redding. E il 1967 e in America i movimenti per diritti civili si stanno saldando tra loro per chiedere rispetto. Siamo nel 2017, che ne è stato di quel rispetto e di quelle lotte? La cronaca degli ultimi giorni ci consegna racconti di morte e di violenza contro le donne, uccise per mano di assassini che ancora oggi i media stentano a definire come tali. Non è un ‘fidanzatino’, non è un marito, non è un padre, non è uomo quello che per mezzo della propria mano uccide una donna. E’ un assassino.

Il  femminicidio non è l’espiazione della colpa di una donna ma il reato commesso da un uomo vigliacco. Non c’è colpa nelle vittime, ma dolo negli assassini. Il linguaggio è importante, sempre: non può il linguaggio giustificare un’azione.

 

“MATTESINI (PD). Signor Presidente, con questo intervento di fine seduta continua oggi, qui in Senato, la staffetta con cui, insieme a tante senatrici e a tanti senatori, ricordiamo ogni donna che viene uccisa per mano di un uomo a cui è o è stata legata da relazione amorosa. Lo faremo sino a che sarà necessario ricordare al Parlamento e al Paese tutto l’urgenza di arginare la violenza nei confronti delle donne.

Sono ad oggi 79 le donne che abbiamo ricordato e, dal 2 luglio, data del nostro ultimo intervento, sono state uccise altre 10 donne. Le ricordo: il 31 luglio Alba Chiara Baroni, di ventiquattro anni, è stata uccisa in provincia di Trento dal proprio compagno, che poi si è suicidato. Sempre 31 luglio a Palmanova, in provincia di Udine, Nadia Orlando, di ventuno anni, è stata strangolata dal suo fidanzato, che ha poi vagato tutta la notte con il suo corpo accasciato sul sedile del passeggero.

Il 4 agosto a Ferrara, Mariella Mangolini, di settantasette anni, è stata uccisa con un colpo di pistola dal marito, che ha poi ucciso allo stesso modo il figlio di quarantotto anni.

Il 17 agosto, a Dogaletto di Mira, in provincia di Venezia, Sabrina Panzonato, di cinquantadue anni, dopo essere stata ferita con una coltellata al fianco, è fuggita in strada, dove l’ha raggiunta il marito e l’ha uccisa con un colpo alla testa, per poi suicidarsi. La coppia lascia soli due figli.

Il 21 agosto, a Bressanone, in provincia di Bolzano, Marianna Obrist, di trentanove anni, è stata uccisa a coltellate dal compagno, mentre faceva il bagno. Laura Pirri, di trentuno anni, è invece morta in ospedale il 25 marzo scorso, dopo diciotto giorni di agonia, per ustioni gravi su tutto il corpo. Ma non si trattava di un incidente domestico: il 6 settembre il marito è stato arrestato con l’accusa di omicidio, per avere dato fuoco volontariamente alla moglie, come ultimo atto di una lunga serie di maltrattamenti e violenze nei suoi confronti. Decisiva è stata la testimonianza del figlio di dieci anni.

Il 3 settembre, a Specchia, in provincia di Lecce, Noemi Durini, di sedici anni, è stata uccisa dal fidanzato di diciassette anni. Il ragazzo era stato denunciato alla procura dalla mamma di Noemi per violenze nei confronti della figlia. Erano, infatti, in atto due procedimenti, uno penale e uno civile, nei suoi confronti.

L’8 settembre, il gip del tribunale di Napoli Nord ha convalidato l’arresto dell’ex fidanzato di Alessandra Madonna, di ventiquattro anni, accusato di averne provocato la morte, trascinandola con l’auto nel parco in cui risiede, a Mugnano di Napoli. Il 9 settembre a Donoratico, in provincia di Cagliari, Joelle Demontis, di cinquantotto anni, è stata uccisa a coltellate nella sua abitazione. La donna portava ancora i segni di percosse probabilmente subite nei giorni precedenti la morte. Per l’omicidio sono stati arrestati il compagno della donna e una ragazza di ventisei anni che abitava con loro.

Il 15 settembre, a Casale Monferrato, in provincia di Alessandria, Elena Seprodi, di quarantotto anni, è stata uccisa a coltellate dall’ex marito nella sua abitazione al culmine di un litigio. La donna lascia un figlio.

Mi sono sempre chiesta cosa succede nella testa di quell’uomo che trasforma quasi in una sagoma di cartone, contro cui scagliare la propria furia omicida, la donna con cui ha condiviso passione, amore, sogni, progetti e magari ha generato figli. Questa domanda è importante, ma è bene ricordare che noi donne siamo persone, non semplici cose di cui disporre a proprio piacimento.

Abbiamo buone leggi: il Governo e il Parlamento, nel corso del tempo, hanno fatto molto e molto stanno facendo. Sto pensando al rafforzamento della rete delle case rifugio, all’introduzione del congedo retribuito per le donne lavoratrici, comprese quelle autonome, quando devono allontanarsi da casa, per la loro sicurezza. Sto pensando all’educazione di genere inserita nella legge sulla buona scuola. E dovremo sicuramente lavorare per fare ancora di più sul versante della certezza della pena. E l’auspicio che faccio è che il Parlamento e il Governo rafforzino, anche nella prossima legge di stabilità, risorse importanti utile alla lotta della violenza sulle donne. Allo stesso modo, spero che approveremo rapidamente il disegno di legge sugli orfani di femminicidio.

Le leggi, quindi, sono importanti, ma tutto questo non basta, perché il problema è culturale. Il problema sono quegli uomini, sempre più numerosi, che, non essendo capaci di ritrovare dentro se stessi un nuovo equilibrio, scelgono di uccidere piuttosto che accettare la fine di una relazione amorosa. Il problema sono quelli uomini che di fronte – ad esempio – agli stupri e alle violenze, dicono che le donne devono essere più caute. Quando una relazione amorosa finisce, può aprirsi il baratro dell’abbandono e si deve sicuramente imparare ad andare avanti lo stesso, anche se talvolta può essere doloroso e può sembrare impossibile. Ma tutto questo dolore non può assolutamente giustificare mai la violenza e mai la violenza omicida. È davvero drammatico che tanti uomini oggi non riescano ancora a capirlo né a farsene una ragione, arrogandosi il diritto di strappare alla vita chi da quella relazione vuole uscire. E allora l’impegno e la battaglia sono sicuramente quelli che ho detto prima, ma devono essere anche sul piano culturale ed è su questo piano che dobbiamo lavorare tutti insieme, uomini e donne.

Da questo ramo del Parlamento, dal Senato, io mi sento di rivolgere un appello in modo forte in via principale agli uomini dicendo loro: prendete parola, anche autonomamente; organizzatevi; dite no alla violenza sulle donne; raccontate agli altri uomini, voi che siete quella parte capace di apprezzare la differenza e di stare in modo paritario e rispettoso all’interno di una relazione, quanto sia bello essere persone libere; amateci per quello che siamo, e cioè persone libere capaci di rispetto anche all’interno di una relazione amorosa. Ditelo, perché l’amore è sicuramente l’energia più potente, ma così, come ci si innamora in modo naturale, è altrettanto naturale e normale che quell’amore sfumi, senza che ci siano vinti o vincitori. La violenza non è una variante dell’amore: è violenza e basta. Nasce, si sviluppa e si nutre dentro una cultura o sottocultura che ancora oggi ha come contesto lo svantaggio sociale per le donne.

Per tutto questo, ripropongo il nostro appello a tutto il Paese e ai media dico: smettete di giustificare, anche solo con un linguaggio sbagliato, gli assassini. Smettete di chiamarli, come ad esempio in tutte le trasmissioni televisive in cui si parla di Noemi, «il fidanzatino». Non sono fidanzatini o altro: sono assassini. E smettete di colpevolizzare le donne.

Al Paese tutto dico di avere un sussulto, ma non temporaneo, di indignazione e di sdegno permanente, perché sono davvero troppe le donne che vengono uccise. Ormai è una strage che non possiamo più accettare.