No Duty? No Scouting
E’ uscito da poco l’ultimo quaderno di RS Servire sul tema “Duty to God”. Questo il mio contributo.
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“Prometto di compiere il mio dovere verso Dio e verso il mio Paese”. Così recita la promessa scout nella formulazione che è adottata (con lievi varianti) un po’ dovunque nel mondo.
La prossima conferenza Mondiale dello scautismo, che si terrà in Azerbaijan nel 2017, sarà chiamata a pronunciarsi sul tema del “Duty to God” cioè la possibilità per le varie associazioni scout nazionali, di adottare un testo alternativo e più precisamente un testo che non contenga alcun riferimento a Dio sostituendolo con un riferimento a determinati valori oppure sopprimendolo del tutto.
Si tratta in realtà di una di una strada sulla quale si sono già incamminate alcune associazioni (prevalentemente europee) e in merito alla quale il Comitato Mondiale WOSM ha già dato un parere favorevole. Il caso più noto è quello della UK Scout Association, che dopo un ampio dibattito interno, ha introdotto, sotto forma di opzione in alternativa alla versione classica che rimane pur sempre possibile, una formula che impegna al “rispetto dei valori scout”. Prima degli inglesi altre associazioni sono state ancora più radicali: gli Scouts del Belgio, per esempio, hanno tolto ogni riferimento a Dio sia nella Promessa che nella Legge e così, sembra si apprestino a fare gli scout della Catalogna e quelli irlandesi.
A sostegno della posizione che per semplicità definirò “abolizionista” viene portato il principio di non discriminazione: secondo i suoi sostenitori, infatti, in tal modo si permetterebbe anche a coloro che non hanno alcuna credenza o fede di partecipare alle attività scout e di beneficiare del bene che esse portano a chi le pratica. Mantenere il riferimento a Dio nella Promessa precluderebbe la possibilità ai figli degli atei, degli agnostici, degli indifferenti di vivere la magica avventura dello scautismo che Baden-Powell aveva pensato aperta a tutti e specialmente a chi è maggiormente ai margini della società.
L’introduzione di un riferimento ai “valori scout” in luogo di quello a Dio implica la convinzione che essi abbiano una portata più universale di quelli religiosi e dunque più condivisibili da chiunque.
Ovviamente la posizione abolizionista non vieta, almeno per il momento, la professione all’interno delle attività scout di una Fede o di una religione. Inevitabilmente però questa diventa il frutto di una scelta individuale anziché collettiva. Questo punto necessiterebbe un approfondimento ma in queste righe non ho lo spazio per farlo.
Se la questione potesse essere riassunta solo in questi termini io ritengo che non si potrebbe fare altrimenti che appoggiare la proposta abolizionista: nessuno di noi infatti se la sentirebbe di discriminare altri sulla base di un credo religioso e a maggior ragione se si tratta di bambini o giovani. Ho avuto modo di guardare un video preparato dal Bureau Mondiale a sostegno della posizione abolizionista in cui si vedeva un bambino dallo sguardo dolcissimo che diceva: “mio papà non ha la fortuna di credere, per piacere lasciatemi giocare con voi…”. Non c’è dubbio che se verrà proiettato alla Conferenza in Azerbaijan avrà un impatto emotivo molto forte.
La questione però non mi pare debba essere affrontata solo da un punto di vista emotivo e dovrebbe essere invece una occasione per ragionare su cosa sono in definitiva questi valori scout o se preferite che cosa è lo scautismo .
E’ indubbio che vi sono almeno due modi di guardare alla vita scout: il primo, riconducibile alla tradizione anglosassone, ne mette in risalto il fatto di essere una serie di attività che rafforzano il carattere, la forza fisica, l’abilità manuale, la capacità di socializzazione, la competenza e il senso di responsabilità. Insomma un metodo educativo straordinario e ricco che grazie alle intuizioni del fondatore fa del ragazzo il protagonista della sua stessa crescita e lo rende un buon cittadino. Non si può negare che tutto questo sia assolutamente positivo e forse ci sarebbero abbondanti motivi per essere più che soddisfatti già così.
C’è però anche un secondo modo di intendere lo scautismo che oltre scuola di carattere e di buona cittadinanza è visto nella sua potenzialità di essere una strada attraverso la quale i ragazzi possono avvicinarsi a riflettere, interiorizzare e comprendere non solo il come ma anche il perché della loro esistenza, il senso ultimo della vita, il perché della sofferenza, della speranza, dell’amore, della paura della morte, del silenzio del creato. Insomma una esperienza che oltre ad essere uno straordinario metodo educativo disvela il mistero del legame invisibile che lega ciascuno di noi alla natura, a coloro che ci hanno preceduto o che verranno dopo di noi, agli altri uomini e donne che abitano la Terra e ci rende responsabili gli uni degli altri. Se ciò è possibile è perché si presuppone la nostra appartenza ad una sola famiglia, al di là delle differenze – in certi casi persino religiose – che sembrando dividerci; insomma il fatto di essere tutti fratelli implica di avere un medesimo Padre, il fatto di amarci presuppone di essere a nostra volta radicalmente amati, il fatto di perdonare di essere stati a nostra volta perdonati e salvati. Se si accede a questa seconda visione dello scautismo non si può fare a meno di considerare che esso abbia una natura intrinsecamente religiosa ma non nel senso di essere esso stesso una nuova religione bensì di essere una porta aperta, un ponte lanciato verso, un trampolino che ci permette di saltare più in alto e di cogliere con lo sguardo quel mantello misterioso che avvolge l’umanità e il creato e che noi chiamiamo esperienza religiosa. Religiosa, si badi bene, non solo spirituale, perché la Fede non ci impegna solo in una dimensione di interiorità, di intima relazione, di personale diaologo con Dio ma ci impegna invero con tutto il nostro essere e dunque anche il nostro corpo, con le nostre scelte, con il nostro comportamento a testimoniare ciò in cui crediamo. Ci impegna non solo individualmente ma tutti insieme come grande famiglia umana. A costo di usare un linguaggio antico, apocalittico e forse anche demodé (ma guardando a ciò che succede oggi con i migranti, le guerre, le violenze all’ambiente, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo è un linguaggio non del tutto inattuale) mi sentirei di dire che ancora oggi la luce si trova a lottare contro le tenebre e che ciascuno di noi si trova quotidianamente chiamato a decidere da che parte stare.
Non sono stati pochi coloro che hanno intrapreso, grazie allo scautismo, un cammino di scelte radicali che li ha portati in certi casi persino a mettere a rischio e sacrificare la propria vita come dono agli altri.
Esiste, a mio modo di vedere, una potenzialità intrinseca nello scautismo, una capacità di suscitare nel cuore di un ragazzo che contempla le stelle davanti al fuoco di una veglia, o mentre porge le mani per bere ad una fonte, dicevo esiste nello scautismo una capacità di suscitare un desiderio di grandezza, di purezza, di bellezza che può ispirare tutta l’esistenza. Ritengo che tutti noi, nella nostra vita di Capi, abbiamo incontrato almeno una volta uno di quegli sguardi, sentito quella attesa e compreso che malgrado la nostra piccolezza eravamo parte di un Gioco misterioso in cui la Vita lancia sorridente la sua sfida alla morte. “Io prevarrò” dice la vita e lo fa attraverso quegli sguardi.
Per me il Dovere verso Dio è mantenere vivo questo sguardo, questo Gioco, questo contesto denso di significati, questa fiamma che ci arde in cuore, questa possibilità offerta a tutti i nostri ragazzi di incamminarsi su un sentiero fatto non solo di buio e di terra ma anche di stelle. Insomma detto in altre parole il dovere verso Dio consiste nel testimoniare che non che non siamo nati per morire ma per vivere. Per quanto mi riguarda mai come nelle attività scout ne ho provato sulla pelle la certezza.
Dunque torniamo alla domanda: è questa una dimensione essenziale dello scautismo o solo una sua opzione? Io propendo per la prima ipotesi e ne concludo che senza questa dimensione il torto viene fatto non alla religione ma allo scautismo. Difendere il “Duty to God” significa per me difendere un’idea alta di scautismo e farlo nell’interesse dei nostri ragazzi, di tutti i ragazzi anche di coloro che appartengono a famiglie di non credenti. Una responsabilità che porto non da solo ma con tutti coloro che nell’alba della loro vita hanno un giornato pronunciato le fatiche parole “Con l’aiuto di Dio, prometto sul mio onore…”
Fino a qui mi sono espresso senza alcun riferimento specifico alla Fede cattolica consapevole che nello scautismo sono presenti anche tante altre religioni e ho quindi cercato di sviluppare un ragionamento di natura non confessionale e che ritengo possa essere accettato anche da un protestante, un ebreo, un mussulmano o un buddista… Ancor più incisivo e forte potrebbe però essere il mio discorso se lo legassi alla figura di Gesù, per noi l’Unico Maestro, maestro di strada, di semplicità, di generosità le cui parole e gesti hanno intriso e ispirato per oltre cent’anni le attività degli scout cattolici. Quante Messe, quanto meditazioni, quanti servizi, quanti pellegrinaggi con coloro che soffrono. Quanta storia vissuta e tramandata tra generazioni. Era davvero opzionale? Lo è diventata ora? Con questa nuova (possibile) alternativa stiamo guadagnano o perdendo qualcosa?
Io non credo che la religione e soprattutto la religione cattolica sia un fattore di discriminazione nello scautismo e sono testimone, al contrario, di tante esperienze in cui proprio nei suoi valori si sono fondate delle scelte da parte gruppi scout di accoglienza e solidarietà verso chi portava tradizioni e credenze diverse. Anche a livello mondiale sto sperimentando, come presidente della CICS (Conferenza Internazionale Cattolica dello Scautismo) , un impegno comune da parte di tutti i leader delle altre organizzazioni scout a denominazione religiosa a sviluppare con passione un dialogo interreligioso e interconfessionale che attesti quanto nello scautismo le religioni sono un fattore di amicizia, comprensione, rispetto reciproco. Trovo quindi ingiusto che si attribuisca alle religioni un ruolo di discriminazione e di divisione che non solo non hanno avuto ma contro il quale sono fortemente impegnate. Proprio i grandi conflitti che oggi si combattono pretestuosamente nel nome delle religioni ci dovrebbe vedere impegnati a non banalizzarle o caricaturalizzarle ma svelarne il vero volto che è quello dell’amore e della pace. Oggi il mondo ha bisogno soprattutto di questo.
Il mio invito comunque è di non drammatizzare la questione che per quanto importante non deve essere esasperata. Il sole sorgerà anche il giorno dopo la chiusura della Conferenza in Azerbaijan, qualunque sia l’esito di questo dibattito che sta appassionando tanti in tutto il mondo. Lo scautismo e le religioni saranno ancora lì, qualunque sia la decisione che verrà presa. Cerchiamo di sorridere anche nei momenti difficili, soprattutto di sorridere gli uni agli altri, con simpatia e desiderio di volere il bene dell’altro. Sorridere sarà già un modo per incamminarci insieme verso il superamento delle difficoltà.
Roberto Cociancich