Per un Senato dell’Europa e delle Autonomie

Per un Senato dell’Europa e delle Autonomie

Ecco il testo del mio intervento in Commissione Affari Costituzionali al Senato in merito alle proposte di modifica del bicameralismo paritario.

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Un Senato dell’Europa e delle Autonomie

Desidero svolgere questo mio intervento a partire da un aspetto apparentemente formalistico e marginale ma che io ritengo rivesta, al contrario, una rilevanza non secondaria nel dibattito in corso. Mi riferisco alla denominazione del Senato che attualmente è “Senato della Repubblica” (art. 55 Cost.) e che io  propongo assuma la denominazione di “Senato dell’ Europa e delle Autonomie” (nuovo art. 55 Cost.).

La questione non è esclusivamente nominalistica. Tutt’altro. E’ ben noto che il testo vigente della Costituzione prevede alla prima parte dell’art. 67 Cost. che “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione (…)”.  In alcuni progetti di riforma depositati in Commissione la rappresentanza della Nazione non è più una caratteristica di entrambe le Camere. Nel disegno di legge di origine governativa (A.S. 1429), ad esempio, è previsto  che la rappresentatività della Nazione sia prerogativa esclusiva dei membri della Camera dei Deputati (art.55 Cost. secondo comma) mentre il “Senato delle Autonomie rappresenta le Istituzioni territoriali” (nuovo art. 55. Cost. quarto comma).

Se da un lato ciò appare coerente con la diversa composizione delle due Camere, ed in particolare con la previsione che il Senato sia composto da esponenti eletti con un meccanismo di secondo grado dalle Regioni e dalle Autonomie locali dall’altro non si tratta di una conseguenza indefettibile e  necessaria di tale impostazione. Appare invece al sottoscritto assai opportuno che nel momento in cui gli eletti delle diverse Regioni ed Autonomie si riuniscono a livello nazionale, essi si sentano responsabili e portatori non solo degli interessi localistici dei territori da cui provengano ma che sappiano assumere anche la consapevolezza e la rappresentanza degli interessi nazionali. Non vi è infatti alcuna ragione per contrapporre gli interessi territoriali a quelli nazionali che a livello di Senato dovrebbero trovare piuttosto una equilibrata sintesi. Ciascun Senatore, a partire  dalle istanze particolari di cui è naturalmente portatore in forza della sua provenienza, sarà chiamato a contemperarle con quelle della collettività nazionale e delle altre regioni/autonomie locali contribuendo in tal modo ad un processo dinamico di più forte coesione nazionale la quale  non si fondi sulla imposizione dall’alto di una visione centralistica a scapito di quella localistica bensì su una armonizzazione  volontaria e un protagonismo diretto dei differenti livelli in cui si articola l’organizzazione del nostro Stato.  La stessa relazione accompagnatoria del disegno di legge governativo precisa che “ La composizione del senato delle Autonomie definisce in modo univoco il suo nuovo ruolo istituzionale  che è al contempo di raccordo tra lo stato e il complesso delle Autonomie ed equilibrio del sistema istituzionale”. Si realizzerebbe in tal modo una procedura di integrazione delle autonomie nella politica nazionale Ritengo che in tal modo si attribuirebbe al Senato un valore “federatore” delle specificità locali e una funzione ben più alta di quella attualmente svolta dalla Conferenza Stato-Regioni che troppo spesso si risolve in una mera contrattazione tra interessi contrapposti tra centro e periferia e che  non ha evitato in alcun modo il pesante contenzioso Stato Regioni dinanzi alla Corte Costituzionale.  La dimensione di rappresentanza “Nazionale” del futuro Senato legittimerebbe invece che le soluzioni e gli accordi raggiunti in Senato nelle materie di cui abbia competenza siano definitivamente vincolanti per   tutti i livelli istituzionali che vi hanno concorso e in particolare siano  preclusivi del  ricorso alla Corte Costituzionale da parte delle Regioni su tali materie oltre a legittimare il Senato stesso a ricorrere dinanzi alla Corte qualora la legislazione regionale vìoli i principi della legislazione nazionale nelle suddette materie.

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Un Senato luogo di sintesi  degli interessi  nazionali da una parte e regionali e locali,  dall’altra , dunque un  Senato certamente delle Autonomie ma anche, in questo senso,  “della Repubblica”, avrebbe  grande rilevanza anche in prospettiva europea.

Non c’è bisogno di ricordare la rilevanza che in questi anni ha assunto la produzione normativa Europea, in particolare per il tramite dei regolamenti e direttive oltre che per gli impegni assunti a livello di cooperazione rafforzata e in prospettiva per quelli che saranno  gli accordi di partenariato che la Commissione e i singoli Stati membri negozieranno in futuro su base individuale (già noti come contractual arrangements).

Secondo molti commentatori oltre il 60% delle disposizioni che hanno un impatto diretto sulla vita dei nostri concittadini ha origine europea e si può tranquillamente affermare che oggi l’Europarlamento, o meglio, il complesso sistema di codecisione attuato tramite il “Trilogo” (Commissione, Consiglio, Parlamento Europei) costituisca una vera e propria terza camera e che nel nostro ordinamento “materiale” sia vigente non tanto un sistema un sistema di “bicameralismo perfetto” bensì di “tricameralismo imperfetto”.

Si tratta ovviamente di un assetto istituzionale che è venuto formandosi successivamente alla promulgazione della nostra Costituzione nel 1947, dunque non presente alla mente dei Padri Costituenti,  e del quale l’Italia, a differenza di altri grandi Paese Europei (ad es. Germania, Francia, Regno Unito) non ha ancora preso atto a livello costituzionale.

Oggi il Trattato di Lisbona riconosce espressamente il ruolo dei Parlamenti nazionali nel processo di formazione della normativa europea (fase ascendente) e di sua attuazione ed implementazione a livello nazionale (fase discendente). Il medesimo Trattato attribuisce funzioni consultative anche alle Regioni e le riconosce destinatarie di particolari risorse allocate nell’ambito della programmazione economica  effettuata a livello europeo.

I regolamenti di Camera e Senato, per contro, hanno recepito almeno in parte il nuovo assetto istituzionale prevedendo l’istituzione delle Commissioni Affari Europei e attribuendo loro, in particolare con la legge 234/2012, specifiche funzioni e competenze. Oggi la 14ma Commissione del Senato prevede al proprio interno tre sottocommissioni, la prima per la fase ascendente, la seconda per quella discendente e la terza per l’esame degli atti di iniziativa regionale in materia europea.

Esiste dunque un nucleo di disposizioni normative che costituiscono il primo passo di un itinerario  che dovrebbe essere percorso con più determinazione. Anche le Regioni , o almeno alcune di esse, si sono attrezzate per interloquire a livello comunitario e hanno aperto, ad esempio , uffici di rappresentanza a Bruxelles tramite i quali viene svolta una attività di lobbying istituzionale.  In tutto questo non vi è nulla di censurabile salvo la constatazione che una rappresentanza così frammentata e parcellizzata, a volte persino contraddittoria nelle posizioni delle diverse autonomie, porta al raggiungimento di risultati ben al di sotto di quanto sarebbe possibile se invece la rappresentanza degli interessi italiani (sia nazionali che delle autonomie) fosse coordinata ed unitaria. Il rischio insomma è che la voce italiana sia quella di un coro stonato e dunque poco udibile ed udito.

Ben diverso è l’approccio di altri Paesi membri, come la Germania ad esempio, la quale all’art. 23 della Legge Fondamentale contempla persino la possibilità che, in determinate situazioni,  un delegato del Bundesrat accompagni il Ministro competente nelle trattative a Bruxelles nelle questioni europee che hanno rilevanza per i 16 Lander che lo compongono. 

La debolezza delle posizioni italiane in Europa, al netto degli encomiabili sforzi di singoli funzionari  o di rappresentanti politici che di volta in volta pongono riescono a conseguire risultati inaspettati per non dire miracolosi, sta proprio – ancora una volta – nella frammentazione e nel carente sostegno politico della Nazione e delle sue istituzioni. Se oggi molti hanno l’impressione di subire anziché guidare il processo di produzione normativa della UE, è a causa di una incapacità del nostro Paese di identificare dapprima, e di rappresentare poi i  suoi interessi collettivi e nazionali. Si pensi anche semplicemente alla mancanza di un adeguato centro per la produzione e la valutazione  degli studi di impatto economico e sociale che gli atti normativi europei hanno per i cittadini e le imprese italiane.  Il tradizionale europeismo italiano – che oggi vive una fase di stanchezza e disillusione – è stato troppo spesso caratterizzato da un atteggiamento di entusiasmo acritico che non ha saputo declinarsi e articolarsi nelle specifiche questioni di cui l’Europa si è occupato finendo con il paradosso che il Paese più entusiasta è anche quello che vanta il poco invidiabile record del maggior numero di procedure di infrazione per violazione dei trattati europei. Ad oggi se ne contano centoquindici in molti casi originate da violazioni   a livello regionale e che per essere sanate richiedono dunque il concorso delle Autonomie regionali e locali. Specularmente l’Italia è anche il Paese che benché contributore netto (versiamo all’Unione Europea più di quanto riceviamo) è anche meno capace di spendere le risorse che ci vengono messe a disposizione (ad esempio i fondi strutturali europei).

In conclusione la prospettiva europea è oggi in crisi non perché vi sia troppa Europa ma perché ce n’è troppo poca nel senso che non è stato ancora sufficientemente assimilata a livello culturale ed istituzionale la consapevolezza di quali sono gli oneri (in fase di partecipazione al processo normativo) e i benefici e i vantaggi anche economici che ne possono derivare.

Il Senato dell’Europa e delle Autonomie potrebbe dunque avere un ruolo determinante nel processo di europeizzazione  dell’intero Paese rappresentando il momento di raccordo tra gli interessi e le istanze nazionali e delle autonomie, da un lato, e la dimensione europea dall’altro.  In che modo ciò potrebbe avvenire senza intaccare il presupposto fondamentale della riforma (il principio per il quale sarà solo la Camera dei Deputati a dare fiducia al Governo)?

Il Senato nella fase ascendente

Innanzitutto per quanto concerne la fase ascendente seguendo da vicino l’iter di formazione e approvazione delle norme europee, intensificando i contatti con le istituzioni europee da un lato, quelle delle autonomie e della società civile dall’altro. Oggi la partecipazione delle Camere è limitata alla valutazione della sussistenza dei requisiti di sussidiarietà e proporzionalità, valutazione che viene effettuata solo raramente alla luce di un preventivo confronto con gli uffici della Commissione che predispongono i testi normativi o con i membri dell’Europarlamento che ne dibattono i contenuti. Sembrerebbe opportuno che i membri del Senato e i membri del Parlamento Europeo si apra un canale di comunicazione più intenso con la facoltà di questi ultimi di partecipare (sia pure senza diritto di voto) ai lavori del Senato su base  regolare e persino routinaria.  Questo consentirebbe anche di mantenere più vivi i contatti con i nostri rappresentanti a livello dell’Europarlamento che oggi sono in molti casi solo occasionali ed estemporanei.  Per dare sostanza e contenuto a questa attività di accompagnamento della funzione legislativa europea il Senato potrebbe avvalersi di studi di impatto dei provvedimenti normativi di cui si prevede l’adozione a livello europeo avvalendosi sia delle risorse interne al Senato stesso sia di eventuali dipartimenti universitari competenti in materia, centri di ricerca (CNR) o di altri centri studi di istituzioni pubbliche (ad esempio Camere di Commercio, autorità di vigilanza). Infatti proprio per le ragioni ricordate poc’anzi oggi la adozione   di norme  europee avviene senza il supporto di un adeguato corredo informativo. Sarebbe opportuno ripristinare l’antico detto “Conoscere per deliberare”.

Il Senato potrebbe svolgere un ruolo di essenziale sostegno di supporto al Governo e alla Camera dei Deputati contribuendo alla costruzione di una posizione comune che raccolga i pareri delle Regioni sulle singole proposte normative. Pur non avendo carattere vincolante potrebbero essere pareri obbligatori (anche se da rendere entro un termine prefissato decorso inutilmente il quale si formerebbe una sorta di silenzio assenso da parte del Senato) in assenza dei quali non si potrebbe deliberare.

Il Senato dovrebbe essere inoltre legittimato a veicolare direttamente alle Istituzioni Europee, in primis: il Parlamento Europeo, le posizione delle Autonomie Regionali sulle proposte  UE. In tal modo potrebbe concorrere alla formazione delle norme Europee esprimendo osservazioni anche nel merito nelle questioni (e non soltanto sui principi di sussidiarietà e proporzionalità come avviene oggi).

Infine il Senato potrebbe avere competenza ad esprimere pareri preventivi non vincolanti, raccomandazioni, suggerimenti, posizioni unitarie anche sugli atti di natura Europea riguardanti la cooperazione rafforzata, gli accordi commerciali ed in genere nelle materie economico-sociali che la UE decidesse di stipulare  con Paesi Terzi o con i Paesi Membri nell’ambito degli accordi di partenariato (già contractual arrangements).

Si noti che la maggior parte di queste attribuzioni sono già in larga misura previste dalla normativa vigente. Infatti l’art. 5 della legge 6.6.2003 n.131 (cosiddetta Legge La Loggia),  che ha dato attuazione al quinto comma dell’art. 117 Cost. Riformato sulla partecipazione delle Regioni in materia comunitaria, prevede testualmente: “ 1. Le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano concorrono direttamente, nelle materie di loro competenza legislativa, alla formazione di atti comunitari partecipando, nell’ambito delle delegazioni del Governo, alle attività del Consiglio e dei gruppi di lavoro e dei comitati del Consiglio e della Commissione europea, secondo modalità da concordare in sede di Conferenza Stato Regioni che tengano conto della particolarità delle autonomie speciali e, comunque, garantendo l’unitarietà della rappresentazione della posizione italiana da parte del Capo Delegazione designato dal Governo (…).

Si tratterebbe dunque di costituzionalizzare un principio (quello del concorso delle Autonomie nel processo di formazione delle norme europee) oggi già vigente a livello legislativo specificandone le modalità alla luce del nuovo assetto costituzionale (attribuendo dunque al Senato prerogative oggi della Conferenza Stato Regioni) e declinandole in modo più puntuale e articolato.

Si noti che il paragrafo 2 del medesimo articolo 5 della Legge La Loggia si spinge oltre prevedendo la possibilità, in certi casi l’obbligo, a carico del Governo di impugnare, previa richiesta delle Regioni, dinanzi alla Corte di Giustizia Europea atti normativi comunitari ritenuti illegittimi. Recita infatti la norma:

2. Nelle materie di competenza legislativa delle Regioni e delle Province autonome di Trento o di Bolzano il Governo può proporre ricorso dinanzi alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee avverso gli atti normativi comunitari ritenuti illegittimi anche su richiesta di una delle regioni o delle Province autonome. Il Governo è tenuto a proporre tale ricorso qualora esso sia richiesto dalla Conferenza Stato-Regioni a maggioranza assoluta delle regioni e delle Province autonome

Il Senato nella fase discendente

Ancor più rilevante e incisivo potrebbe essere il ruolo svolto dal Senato dell’Europa e delle Autonomie nella fase discendente nel corso della quale, come noto, vengono implementate sul territorio nazionale le direttive e le altre norme Europee che lo richiedano.

A questo proposito riterrei utile venisse costituita una commissione bicamerale per gli affari europei (in pratica verrebbe istituzionalizzata la sessione unificata delle Commissione 14,a del Senato e della Commissione XIVma della Camera).

Va notato preliminarmente che già oggi la Costituzione italiana prevede all’art. 126 Cost. primo comma una commissione bicamerale per gli affari regionali. Si tratta di una disposizione che non ha avuto ancora attuazione e che è stata per certi versi fortemente osteggiata.

La legge Costituzionale n. 3 del 2001 prevede all’art. 11 la integrazione della suddetta Commissione bicamerale con rappresentanti delle regioni e degli enti locali. A  tale commissione integrata sempre la legge costituzionale n. 3 del 2001 attribuiva il potere di verificare la coerenza di disegni di legge ed emendamenti con le norme del titolo V; prevedendo un effetto procedurale sui lavori d’Aula  abbastanza rilevante simile a quello oggi  previsto in caso di parere contrario della commissione bilancio ai sensi dell’articolo 81. In altre parole il parere contrario della Commissione 5a può essere superato solo da un voto assunto a maggioranza assoluta dei componenti l’Assemblea.

Un simile potere potrebbe conseguentemente essere attribuito alla Commssione bicamerale per gli affari europei  di segnalare violazioni del diritto europeo. In caso di parere contrario l’assemblea della Camera dei Deputati  avrebbe comunque l’ultima parola ma la Commissione svolgerebbe una fondamentale  funzione di “bollinatura” che potrebbe prevenire in modo assai significativo la violazione dei trattati europei .

Siamo  in una materia al di fuori dell’indirizzo politico: se si violano le norme europee si viola la costituzione prima ancora che i trattati. In fondo la nostra costituzione prevede all’articolo 117, primo comma, il vincolo per il legislatore di essere coerente con gli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea.

A fianco a questo, che sarebbe il potere più rilevante, andrebbe indicato che tale commissione esercita i poteri attribuiti ai parlamenti nazionali dai trattati europei.

Infine, Sempre nell’ambito della funzione discendente, il Senato  – per il tramite della suddetta commissione bicamerale – potrebbe controllare e indirizzare il Governo  le Regioni nel recepimento della normativa europea così da prevenire anche in questo senso le violazione dei trattati.  Una ulteriore funzione potrebbe essere quella di monitorare e controllare l’adeguato e tempestivo utilizzo dei fondi europei contribuendo ad individuare le priorità strategiche dell’impiego di tali fondi che soprattutto in materia infrastrutturale rappresentano una delle principali risorse per lo sviluppo del Paese.

Ancora Il Senato potrebbe avere il potere di impugnare dinanzi alla Corte Costituzionale le leggi regionali che violino i trattati (violazione dell’art. 117 Cost) e monitorare le sentenze della Corte di Giustizia  quando esse siano suscettibili di comportare modifiche sostanziali della legislazione nazionale al fine di darne adeguata e tempestiva comunicazione al Governo e alla Camera affinché adottino gli atti di natura giuridica e politica più adeguati.

In sostanza si tratta di numerose funzioni che oggi non vengono sufficientemente svolte dalle Camere e delle quali il nostro Paese avrebbe invece assoluto bisogno per realizzare una più compiuta partecipazione al processo di integrazione europea salvaguardando gli interessi del Paese sia nella sua dimensione nazionale che delle Autonomie.

Un insieme di funzioni che ben giustificano il nome di Senato dell’Europa e delle Autonomie.