Includere, non respingere
Questo il mio intervento in Aula in discussione generale su conversione del decreto legge 17 febbraio 2016 n.13 #DecretoMinniti
Signor Presidente, prendo la parola sul decreto-legge Minniti, come è stato sinteticamente definito, che affronta una questione che ritengo centrale non solo sul tema del sistema di accoglimento dei migranti in Italia, ma anche per definire che tipo di Paese siamo, come noi pensiamo noi stessi, qual è il livello di civiltà e di capacità di relazionarci sia con gli altri Paesi che con gli stranieri, ma anche con noi stessi.
Vengono spesso citate cifre, anche forse un po’ manipolate e molte delle quali poco credibili. Dico subito che per cercare di sviluppare il mio ragionamento, nei minuti che mi sono concessi, mi affiderò ai dati che ci sono pervenuti con il 29° Rapporto Italia dell’Eurispes in distribuzione in questi giorni e che sono quindi facilmente verificabili da parte di tutti coloro che mi ascoltano.
Dal rapporto Eurispes sull’Italia emergono dati che francamente dovrebbero farci riflettere e danno un’indicazione su quale Paese siamo oggi anche in riferimento al tema dell’immigrazione e – lasciatemelo dire – anche dell’emigrazione. Infatti, può sembrare sorprendente ma l’Italia oggi è ancora un Paese con un’emigrazione superiore rispetto all’immigrazione.
Gli italiani iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE), secondo il documento Eurispes, superano i 4,8 milioni. Complessivamente si stima che siano almeno 5.200.000 gli italiani all’estero, mentre sappiamo che gli stranieri residenti o ospitati a vario titolo in Italia sono all’incirca 5 milioni. Quindi, in realtà siamo un Paese che ha un’emigrazione numericamente superiore all’immigrazione.
L’aspetto interessante da notare è che la nostra emigrazione è di natura strettamente economica, perché i cittadini italiani che vanno all’estero – dico una banalità – non sono costretti da guerra, fame o carestia, ma sono cittadini che hanno una più che legittima aspirazione a migliorare il proprio sistema di vita, la propria qualità di lavoro e che cercano occasioni di incontro: pensiamo che ciò sia normale e auspicabile. Pensiamo anche che ciò possa portare benessere al nostro Paese e quindi promuoviamo questa emigrazione di natura squisitamente economica.
Per quale motivo, dunque, se siamo fieri e contenti di poter emigrare per ragioni economiche, dobbiamo continuare a guardare, con sguardo truce, a coloro che, venendo da altre latitudini, si muovono per le stesse ragioni?
Questa è la prima contraddizione sulla quale dovremmo riflettere, perché è una doppia morale quella che mettiamo in atto, per cui ciò che facciamo noi va bene, ma se lo fanno gli altri, esattamente per gli stessi motivi, non va bene.
Mi trovo fortemente a disagio di fronte a questa distinzione un po’ manichea tra la condizione dell’immigrato rifugiato e quella del migrante per ragioni economiche, perché, se guardiamo alle situazioni economiche di molti dei Paesi da cui questi migranti provengono, esse giustificano il loro migrare all’estero molto di più delle ragioni che sono alla base della nostra emigrazione. Credo che dovremmo evitare questo doppiopesismo tra noi e gli altri e dovremmo guardare con interesse alle ragioni per le quali gli altri vengono nel nostro Paese. Se si guarda a questo con interesse scopriremo che la maggior parte di coloro che vengono lo fanno perché vogliono integrarsi, realizzare la loro vita, contribuire a migliorarla e, al tempo stesso, migliorare quella del Paese che li ospita.
È successo questo? Credo che questa sia la domanda fondamentale, perché altrimenti sembra che ci dobbiamo dividere tra coloro che fanno i buonisti e sono per l’accoglienza e quelli che sono più pragmatici e sono contro l’accoglienza e che vogliono respingere l’invasione, com’è stato detto poc’anzi dal senatore Arrigoni.
Se guardo ai dati economici e al vantaggio economico per il nostro Paese leggo sul rapporto Eurispes che il contributo economico diretto degli immigrati in Italia supera i 120 miliardi di euro nel 2015, pari all’8,7 per cento del PIL complessivo; nel 1998 questo rapporto era soltanto del 2,3 per cento. Inoltre, la presenza di immigrati negli anni di espansione, ossia dal 1998 al 2007, ha innalzato la crescita cumulativa del PIL di 3,9 punti percentuali, ossia dal 10,5 al 14,4 per cento. Mentre negli anni della crisi, quando il PIL è calato, ha limitato di tre punti la discesa del PIL, che quindi è sceso dal meno 10,3 per cento al meno 7,3 per cento. Senza gli immigrati avremmo avuto una decrescita assai più grave.
Domando pertanto: quando noi sentiamo proporre – io non lo propongo di certo – delle politiche che vanno verso il respingimento indiscriminato dei migranti o dei rifugiati, mi chiedo se stiamo proponendo una politica lungimirante e nell’interesse degli italiani o se stiamo proponendo una politica che, in definitiva, danneggia il nostro Paese.
Credo che questa sia la domanda alla quale chiunque di noi oggi qui, qualunque sia il suo orientamento culturale o filosofico, dovrebbe tentare di dare una risposta. Ho l’impressione che insistere con una politica di respingimento ottuso e cieco alla fine non abbia altra conseguenza che quella di danneggiare il nostro Paese. Credo che questo debba essere uno dei motivi per i quali dobbiamo cercare di spostare l’attenzione da una politica di mero respingimento a una politica della capacità di accoglimento, perché noi oggi siamo profondamente incapaci di accogliere in maniera adeguata coloro che vengono nel nostro Paese. Costoro vengono – ripeto – con l’intenzione di portare ricchezza e benessere per se stessi, per le famiglie che hanno lasciato nel Paese d’origine e anche per il Paese che li ospita, nel quale in molti casi, laddove venissero integrati, pagherebbero le imposte, le tasse, i contributi, finanziando così non soltanto la loro vita personale, ma anche il sistema complessivo di welfare. Di questo dobbiamo tenere conto se consideriamo che oggi il livello di decrescita demografica del nostro Paese è drammatico, ed è previsto che nei prossimi anni ci sia un calo della popolazione di oltre 20 milioni di cittadini italiani. Chi pagherà le pensioni ai cittadini italiani se non ci saranno più dei giovani che possono lavorare e versare i contributi? Questo lo chiedo a coloro che oggi propugnano soltanto una politica di respingimento.
Noi abbiamo interesse ad avere un’immigrazione, se possibile, di qualità, e le indagini statistiche dimostrano che la maggioranza degli stranieri che vengono in Italia ha un livello culturale e intellettuale di alto profilo: sono ingegneri, medici, persone tendenzialmente alfabetizzate e laureate, e che peraltro accettano lavori sottopagati e di un livello che gli italiani non accettano più. Noi abbiamo il problema importante di trovare risorse per lavori che oggi gli italiani non accettano più di fare e abbiamo la possibilità di ricorrere alle risorse che ci vengono offerte da questi migranti. Credo che sarebbe un segno di civiltà del nostro Paese se fossimo capaci di offrire loro condizioni economiche adeguate al lavoro, perché siamo della convinzione che tutti gli uomini siano uguali su questo pianeta e che quindi, a parità di lavoro, debbano essere trattati in maniera adeguata. Questo preverrebbe uno dei problemi importanti, ossia l’attrazione che questi stranieri trovano da parte delle organizzazioni criminali, perché sono le organizzazioni mafiose e quelle che in genere si muovono nell’illegalità che si rafforzano con persone lasciate nell’illegalità; un’illegalità che è, in fin dei conti, per legge, perché di fatto non si riesce a inquadrare queste persone dando loro una prospettiva di integrazione reale.
Vengo finalmente al cosiddetto decreto Minniti, che cerca di mettere un po’ di chiarezza in tutto questo sistema; cerca di dare un sistema più razionale, più efficace e anche più celere sul tema dell’accoglienza, in modo da verificare se sussistano i requisiti per poter chiedere accoglienza. Non posso non ricordare l’articolo 10, terzo comma, della nostra Costituzione, il quale recita: «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’esercizio effettivo delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge». Pertanto, tutti coloro che non possono beneficiare delle libertà democratiche garantite nel nostro Paese, hanno diritto di asilo in Italia. Ciò prevale anche su tutte le convenzioni internazionali, che comunque riconoscono un diritto d’asilo, anche se a condizioni più restrittive; ma il nostro Paese e la nostra Costituzione, quella che è stata definita la Costituzione più bella del mondo, garantisce questo tipo di diritto: il diritto di asilo. E noi non possiamo sottrarci, oggi, ai precetti della Costituzione italiana.
Concludendo, signora Presidente, ritengo che non possa che essere accolto con favore un sistema che ci consente di agire con celerità, che offre garanzie di difesa ragionevoli e che impedisce che giovani stranieri, che hanno attraversato il mare, vadano a marcire per anni nei CIE, consentendo una pronta definizione della loro condizione, per potersi inserire più rapidamente nel sistema economico italiano. Questo è il motivo per il quale, anche se vi possono essere alcuni aspetti non totalmente convincenti nel decreto-legge in esame, ritengo che nella sostanza esso faccia compiere al nostro Paese un passo in avanti nell’accoglienza.