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” I motivi per rafforzare la vicinanza e una partnership strategica con il Canada appaiono oggi però ancora più urgenti alla luce delle politiche perseguite dalle superpotenze Stati Uniti e Russia in primis: rigetto del multilateralismo, rincorsa a nuovi armamenti (sorprendente Trche quasi nessuno abbia commentato gli accordi di Trump per 110 miliardi di dollari con l’Arabia Saudita in larga misura destinati a spese militari), protezionismo commerciale (rigetto dei trattati NAFTA e TTP, blocco dei negoziati TTIP con l’Unione Europea) costruzione di muri fisici o giuridici verso i flussi migratori. Da questo punto di vista la politica di Trudeau, che non ha esitato a presentarsi personalmente ad accogliere i migranti siriani, dimostra che è possibile un approccio diverso e più lungimirante rispetto ad una delle grandi sfide sistemiche che ci attendono. “Non basta chiudersi in se stessi e sperare che il problema non appaia sulle nostre coste” ha dichiarato recentemente. “Dobbiamo far sì che i migranti non pensino che l’unica opzione per loro e i loro figli sia quella di affrontare rischi terribili e lasciare il loro paese”. Le strategie a sostegno dello sviluppo dei paesi d’origine della migrazione non sono semplice buonismo come vengono caricaturalmente dipinte dai loro detrattori, ma politiche attive e lungimiranti dalle quali cercare soluzioni win-win cioè soluzioni con reciproci vantaggi. Ciò senza mai dimenticare che società multiculturali, come quella che si sta realizzando in Canada, sono società più resilienti, cioè società dove sono maggiori le capacità di vedere i problemi da prospettive differenti e dunque di trovare soluzioni più durature ed efficaci ai grandi problemi e alle grandi sfide del nostro tempo. Perché in ultima analisi il grande compito che oggi si pone ai leader progressisti come Trudeau, Macron e Renzi è quello di aiutare la gente che si sente esclusa dal progresso. La parola progresso a molti di loro incute timore, sfiducia, rischio di essere tagliati fuori dal futuro, minaccia di essere superati e resi inutili da nuove tecnologie, nuovi attori geo-politici, nuove complessità per le quali non sono preparati e dai quali bisogna dunque difendersi.”
Chi volesse leggere il testo completo dell’articolo, può seguire questo link –> https://goo.gl/upNFoL
Il mese di maggio si è aperto all’insegna della vittoria elettorale di Matteo Renzi al Congresso del Pd. Un’affermazione che in Italia e tra gli elettori PD nel mondo è stata netta, sia in termini percentuali che assoluti di partecipazione. Oltre un milione ed ottocento mila persone hanno votato alle primarie del PD, lanciando un segnale positivo non solo rispetto alla voglia di partecipazione che c’è all’interno del Partito Democratico, ma anche segnando un’ inversione del trend antipolitico che nell’ultimo anno ha sembrato prendere il sopravvento. L’affermazione indiscutibile di Matteo Renzi nei collegi europei e più in generale in quelli esteri premia l’europeismo nella linea del Segretario. Si afferma una visione politica che vede nell’Europa delle persone (e non più solo in quella delle istituzioni) il luogo in cui affrontare temi che quotidianamente incidono sulla vita dei cittadini europei e sulle politiche degli stati membri. Nelle stesse ore, la vittoria di Macron alle presidenziali francesi accende un’ulteriore speranza in questo senso, perché, nella chiara vittoria contro il populismo nazionalista di Marine Le Pen, essa rafforza la visione che esiste una strada europea per affrontare le grandi sfide che avranno di fronte gli Stati Membri.
Proprio nei giorni in cui viene certificato che la popolazione dell’India ha superato quella cinese con quasi 1,4 miliardi di persone appare chiaro che l’Europa, una comunità di poco più di 500 milioni di cittadini, ha bisogno di tutta la sua capacita di coesione e di valorizzare le differenze, per poter essere competitiva a livello globale. L’alternativa è l’irrilevanza e la decadenza o ancora peggio la subalternità alle altri grandi potenze. La brutalità dell’approccio della nuova amministrazione USA e quella già nota del Governo Russo dimostrano tutti i rischi di questo scenario. L’Europa – premio Nobel per la Pace e laboratorio di tolleranza e dialogo – deve poter levare la sua voce in modo chiaro e autorevole. Per questo motivo non ci si può che rammaricare ancora una volta per la Brexit che appare una ferita del tutto irragionevole al lento percorso di costruzione e integrazione europea. E’ importante che l’Italia e le istituzioni europee siano vicine e tutelino gli interessi e i diritti dei loro cittadini che vivono nel Regno Unito. Molti sono gli amici, sia italiani che inglesi, che abbiamo in quel bellissimo e grande Paese e a loro va tutta la nostra amicizia anche in queste ore un po’ amare.
Il dibattito politico italiano sembra avvitarsi sul tema della legge elettorale: sono talmente tante le formule e le proposte che francamente è difficile districarsi e non farsi venire il mal di testa. Ne parlerò in una prossima newsletter. Ritengo si possa dire sin da ora che i rischi di trovarsi nella palude che molti di noi avevano paventato durante il dibattito sulla riforma costituzionale si stanno puntualmente concretizzando. L’Italia va dritta verso una situazione in cui per governare sarà necessario ricorrere a maggioranze spurie e innaturali oppure ad una in cui i micro partiti che rappresentano gli interessi di ristretti gruppi di influenza saranno determinanti nell’azione di governo. Un ritorno al passato che non fa bene né all’Italia né all’Europa. Guardiamo con un pizzico di invidia alla Francia che con il sistema del doppio turno ha saputo indicare in tempi rapidi sia le preferenze per i singoli partiti che la guida unitaria del Paese; da noi la corte Costituzionale ha detto che non è possibile ma francamente più ci si pensa meno se ne capisce il perché.
Infine voglio ricordare la bellissima riflessione che ci ha offerto Barack Obama nel corso della sua visita a Milano, magistralmente organizzata da Seeds and Chips di Marco Gualtieri: una grande lezione sui principali problemi che i Paesi avanzati dovranno affrontare: dalla sfida di trovare alimenti per oltre 7 miliardi di persone a quella di fornire loro un cibo salutare, all’impatto che i mezzi di produzione agroalimentare (e quelli di smaltimento dei relativi rifiuti) avranno sul clima, agli effetti che tali politiche determineranno sui processi migratori e sulle relazioni tra Sud e Nord del Mondo. Sono stato felice di incontrare il Presidente Obama e di ascoltarlo: mi auguro che la grande amicizia che ha mostrato verso Matteo Renzi sia il segnale che si stia costruendo una grande alleanza tra i maggiori leader progressisti (tra i quali annovero anche Justin Trudeau e Emmanuel Macron) che possa rappresentare una realistica alternativa alle politiche un po’ disperanti dei profeti del populismo e del nazionalismo (spesso un po’ razzista) che oggi, grazie alla perdurante crisi economica, sembrano trovare tanto ascolto. E’ un orizzonte lontano, una meta faticosa da raggiungere ma non abbiamo più tempo da perdere, dobbiamo avanzare e metterci #incammino.
“La storia non si muove mai in linea retta, ma prima o poi va sempre in direzione della giustizia”.
Barack Obama scalda il pubblico milanese parlando di educazione alla leadership, di senso della responsabilità nei confronti della propria vita e di quella degli altri, di sostenibilità delle scelte e delle azioni.
Il 9 maggio 2017 è una data che Milano ricorderà per molto tempo. in questa giornata, infatti, l’ex Presidente degli Stati uniti, Barack Obama, ha ricevuto le chiavi della città dal Sindaco Sala e ha entusiasmato ed emozionato una folta platea parlando all’evento Seeds&Chips.
All’arrivo a Milano, Obama è stato accolto da Matteo Renzi – neoeletto Segretario del Partito Democratico – e ha partecipato ad alcuni incontri con la comunità imprenditoriale milanese oltre che con le istituzioni locali. E’ stato decisamente emozionante per me incontrare il Presidente Obama potendo scambiare alcune parole con lui. Considero questa occasione come unica e sicuramente questo ricordo sarà tra i più cari che conserverò in futuro tra quelli legati alla mia attività politica.
Obama è salito nel primo pomeriggio sul palco del Seeds&Chips insieme a Sam Kass, già suo chef alla Casa Bianca, cominciando a parlare del cambiamento climatico, per poi concentrarsi su cibo, alimentazione consapevole, innovazione tecnologica e politiche alimentari: tema centrale dell’intervento è stato la sostenibilità.
Sostenibile non sia solo lo sviluppo, ma sia la vita quotidiana, lo siano le scelte che ogni giorno vengono compiute. L’educazione alla sostenibilità è una sfida della mia generazione verso quella dei nostri figli, è una sfida per chi dovrà cambiare le proprie abitudini di vita che siano alimentari o motorie. si può oggi vivere in modo sostenibile?
Si può parlare di educazione alla leadership sostenibile, se immaginiamo il futuro governato da chi comprende il valore delle proprie scelte in relazione agli altri e al mondo che lo circonda? Dall’ambiente al cibo, ogni scelta determina un modello di futuro e di sviluppo che non possiamo dimenticare nel nostro quotidiano agire.
L’industria alimentare e l’impatto ambientale : educazione alla qualità del cibo e alla relazione tra produzione di cibo ed ambiente. Non possiamo immaginare un futuro nel quale sarà consumato un solo alimento oppure sarà diffuso un solo modello alimentare: sarebbe sbagliato. La cultura del cibo diventa cultura del risparmio: dove c’è qualità non c’è spreco, dove non c’è spreco c’è sostenibilità. Dove c’è qualità di cibo e di materie prime c’è una produzione che rispetta l’ambiente. E’ giusto demonizzare la tecnologia applicata alla evoluzione alimentare? forse no, ma questo dipenderà da come questo processo innovativo sarà sviluppato. Come tutte le cose ha bisogno di attenzione e d costante osservazione. Consumare consapevolmente il cibo sarà quindi essenziale, di conseguenza sarà fondamentale comunicare bene ogni informazione relativa al cibo che dovremo mangiare per consentirci di scegliere ciò che è sano, sostenibile, di qualità. Questo dipende anche dalla filiera alimentare, che dovrà agire nell’interesse non solo del singolo produttore o distributore ma di un sistema ben più ampio e complesso che coinvolga ogni aspetto dell’esistente. Come si ottiene una produzione sostenibile? Attraverso, sicuramente, un’agricoltura sostenuta, perché il piccolo produttore non soccomba a logiche di mercato in cui l’asse è tropo appetito sulla qualità piuttosto che sulla qualità.
“La cifra di un buon leader è aiutare la persone a far emergere i temi che riguardano le loro vite. ” Educare ii giovani ad una leadership sostenibile è quindi la porta verso il futuro, raggiungibile attraverso una scalinata fatta di solidarietà sociale e responsabilità verso gli altri. Non possiamo permettere che in una parte dell mondo venga sprecato del cibo mentre in un’altra il cibo è solo una parola e non una sostanza. Bilanciare il consumo e la distribuzione di cibo sarà quindi un’ azione determinante per chi vorrà affrontare lo sviluppo globale con la consapevolezza dell’essere parte del cambiamento.
Questo il mio intervento in Aula al Senato a nome dei Senatori del Partito Democratico per esprimere il voto favorevole alla risoluzione Zanda in vista del Consiglio Europeo del prossimo 29 aprile 2017 a quale parteciperà il Presidente Gentiloni per l’avvio del processo di uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.
“Signor Presidente, a conclusione di questo dibattito, rispetto al quale il Gruppo del Partito democratico dichiara di condividere pienamente le comunicazioni del Presidente del Consiglio Gentiloni, vorrei evidenziare alcuni punti concreti che dovrebbero essere tenuti in considerazione dal Governo, rammaricandomi però che il dibattito abbia offerto, anziché un’occasione di confronto sul futuro dell’Unione europea, più spunti di natura polemica, in certi casi ovvietà e anche – ahimè – alcune volgarità.
Primo punto: l’uscita del Regno Unito presenta alcune opportunità ma anche delle sfide. Bisogna evitare, ad esempio, che l’Unione europea veda rafforzata la propria tradizione burocratica, perché il Regno Unito ne aveva efficacemente combattuto la dimensione burocratica e l’eccesso di legislazione. Credo che ciò debba essere tenuto presente nel momento in cui vogliamo costruire un’Unione europea più vicina ai cittadini. Da questo punto di vista perdiamo un contributo importante da parte dei nostri amici anglosassoni.
Secondo punto: è importante che la riduzione del bilancio, che conseguirà al mancato pagamento della quota da parte del Regno Unito, indebolisca eccessivamente la struttura finanziaria dell’Unione europea. Sappiamo che il Regno Unito aveva sempre combattuto una battaglia per pagare meno di quanto sarebbe stato proporzionalmente dovuto da parte di uno Stato membro della sua forza economica e demografica, ma oggi questi contributi sono diminuiti e dovremo quindi vigilare affinché l’Unione possa dotarsi di risorse adeguate per il conseguimento degli obiettivi ambiziosi che invece deve porsi.
Terzo punto: è opportuno cogliere questa occasione per procedere a un’armonizzazione fiscale dei sistemi dell’Unione europea, un tema rispetto al quale il Regno Unito si era sempre opposto. Abbiamo invece bisogno che non ci sia dumping fiscale all’interno dell’Unione e anche che vengano cancellati in maniera definitiva i paradisi fiscali; pertanto è assolutamente necessario che anche il Regno Unito non si trasformi in un enorme paradiso fiscale, che alle porte dell’Unione europea costituirebbe per noi una grave minaccia. Pertanto, nelle negoziazioni con il Governo di sua maestà sarà necessario che questo punto venga tenuto particolarmente sotto osservazione.
Bisogna poi cogliere questa opportunità perché si rafforzi una politica a favore delle fonti energetiche alternative. Il Regno Unito aveva spesso spinto perché ci fosse un’apertura verso le fonti nucleari e verso le fonti alternative come lo shale gas, ma con il venir meno della presenza britannica dobbiamo invece favorire l’idea che l’Unione europea concentri la propria attenzione verso la valorizzazione delle fonti energetiche alternative verdi, pulite.
Con l’assenza del Regno Unito, viene poi meno un fiero avversario della zona euro e oggi noi abbiamo invece la necessità di rafforzare l’Unione europea, per esempio con la costituzione di un’unione bancaria europea e di un bilancio dell’eurozona. Molti dei limiti dell’azione dell’eurozona sono dovuti proprio al fatto che ci siamo fermati in mezzo al guado; oggi viene meno uno dei suoi principali oppositori, pertanto è opportuno cogliere questa opportunità per andare avanti, attraversare il fiume e andare verso una più forte integrazione economica e finanziaria degli Stati membri.
Bisogna poi rafforzare la tutela unitaria del copyright e portare in Italia una sede del Tribunale unificato dei brevetti, da cui l’Italia si era incredibilmente ritirata quando è stato costituito. Ciò va a tutelare maggiormente il patrimonio intellettuale delle piccole e medie imprese che oggi rappresentano una ricchezza fondamentale del nostro Paese. È dunque necessario che sul tema del copyright, un altro dei temi su cui il Regno Unito aveva puntato i piedi, ci sia un avanzamento.
Occorre altresì integrare il sistema europeo di difesa. Due o tre anni fa avevamo avuto un grande dibattito che si era arenato proprio per effetto delle resistenze e delle perplessità britanniche; oggi, proprio con il venir meno del sostegno dell’amministrazione Trump al finanziamento della NATO, questa è un’occasione da cogliere per sviluppare un sistema comune di difesa.
In ultimo, occorre sviluppare una più forte cooperazione sui temi sociali. Credo che il nostro Gruppo parlamentare abbia particolarmente a cuore il fatto che ci sia una disciplina comune europea in materia di condizioni di lavoro e sui temi della protezione sociale, perché sono questioni complementari alla realizzazione di un mercato unico ed è quindi l’occasione per far sì che l’Unione europea diventi non soltanto un progetto incompiuto, ma un qualcosa che anche su questi temi possa sviluppare una posizione comune, una reale integrazione.
Ciò detto, concludo ribadendo il parere positivo alla proposta di risoluzione a prima firma del senatore Zanda, che ben argomenta e articola tutta la posizione del nostro Gruppo parlamentare sui temi europei; una posizione di profondo convincimento sulla necessità di far avanzare l’Unione europea e quindi di cogliere questa occasione come l’opportunità di realizzare un progetto fino ad oggi solo parzialmente compiuto.”
“Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di ispirare. Esso ha il potere di unire le persone in un modo che poche altre cose fanno. Parla ai giovani in una lingua che comprendono. Lo sport può portare speranza dove una volta c’era solo disperazione“. Sono parole di Nelson Mandela, premio Nobel per la Pace nel 1993.
Ogni anno il 6 aprile si celebra la “Giornata Internazionale ONU dello Sport per lo Sviluppo e per la Pace”, istituita in memoria delle prime Olimpiadi svoltesi ad Atene nel 1896 proprio il 6 aprile (oggi sono 121 anni).
Lo Sport è considerato valore tanto fondante tra quelli promossi dall’ONU e dai suoi stati membri che è stato inserito nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Al paragrafo 37, si riconosce: “il crescente contributo dello sport alla realizzazione dello sviluppo e della pace nella sua promozione della tolleranza e del rispetto e il contributo che apporta al rafforzamento delle capacità delle donne e dei giovani, degli individui e delle comunità, nonché alla salute, l’istruzione e gli obiettivi di inclusione sociale”.
La foto che ho scelto ritrae Murtaza Ahmadi, il bimbo afghano che si era creato una maglia numero 10 dell’Argentina con una busta di plastica e che ha poi coronato il suo sogno incontrando il famoso calciatore.
Nel video, una canzone dedicata al grandissimo Gino Bartali, che tra il 1943 e il 1944, con la sua amata bicicletta, salvò oltre 800 ebrei dai campi di concentramento.
Oggi sono intervenuto in Aula in Senato per ricordare l’ingiusta carcerazione della Senatrice filippina Leila De Lima, rea di essersi opposta al regime di terrore di Rodrigo Duterte. Di seguito, il testo ed il video.
Signor Presidente, colleghi Senatori, intervengo quest’oggi per richiamare l’attenzione dell’Aula su un fatto molto grave, che mi pare fatichi a trovare nel panorama politico internazionale e sui media lo spazio e l’attenzione adeguati.
Lo scorso 23 febbraio è stata arrestata, con l’accusa di narcotraffico, la senatrice filippina Leila De Lima, membro del partito liberale d’opposizione, attivista dei diritti umani e principale oppositrice della campagna antidroga promossa dal presidente delle Filippine Rodrigo Duterte.
Nel mese di agosto del 2016 la De Lima, allora Presidente della Commissione giustizia e diritti umani del Senato filippino, aveva indagato sulle esecuzioni extragiudiziali di circa 1.000 presunti autori di reati legati alla droga, che sarebbero state commesse a Davao (la seconda città delle Filippine) all’epoca in cui il presidente Duterte era sindaco della città. A partire da quel momento si sono susseguiti i fatti che hanno poi portato al mandato di arresto nei confronti della senatrice: prima, per l’esattezza il 25 dello stesso mese di agosto, il presidente Duterte l’ha accusata di aver fatto entrare droga all’interno di uno dei più grandi carceri del Paese quando era Ministra della giustizia; successivamente, il 19 settembre 2016, la De Lima è stata rimossa dall’incarico con l’accusa di voler distruggere il Presidente. Oggi la senatrice, che Amnesty International ha dichiarato prigioniero di coscienza, è in carcere in attesa di giudizio e, in caso di condanna, rischia da 12 anni di reclusione all’ergastolo.
Forse non è a conoscenza di tutti che dal 30 giugno 2016, giorno dell’insediamento del presidente delle Filippine Rodrigo Duterte, sono state segnalate oltre 7.000 uccisioni commesse dalla polizia e dai miliziani nel corso della campagna antidroga che il Presidente, che si autodefinisce the punisher, cioè il castigatore, si è impegnato a portare avanti fino alla fine del suo mandato presidenziale.
Mi rincrescere ripetere alcune oscenità che sono state riportate dai giornali, ma per descrivere il presidente Duterte, che da troppi anni, come sindaco prima e come Capo di Stato oggi, semina terrore e morte, non credo esista modo migliore che ascoltare alcune frasi da lui pronunciate.
Da sindaco, durante la campagna elettorale, disse: «Se Dio vuole mettermi là» – ossia alla Presidenza della Repubblica, dove poi è stato eletto – «attenzione, perché i 1.000 uccisi» – nella città di Davao – «diventeranno 100.000. Vedrete i pesci ingrassare nella baia di Manila perché sarà là che getterò i vostri corpi». E ancora: «Le pompe funebri saranno piene: fornirò io i cadaveri. Quando sarò Presidente, darò ordine alla polizia di cercare quella gente e ammazzare tutti».
Da Presidente neoeletto, disse: «Hitler ha ucciso tre milioni di ebrei. Qui abbiamo tre milioni di tossicodipendenti, sarei felice di sgozzarli tutti». «Se avete un coltello e vedete uno spacciatore o un drogato per strada, uccidetelo. Vi darò una medaglia». Vi risparmio le parole asperrime ed oscene pronunciate da Duterte in risposta alle critiche provenienti dalia conferenza episcopale filippina e, in generale, contro la Chiesa cattolica, contro Papa Francesco e contro l’Unione Europea.
Questo appena descritto, dunque, è il quadro in cui si inserisce l’incarcerazione della senatrice De Lima. Ad inizio mese è stato promosso dall’Associazione Luca Coscioni, Non c’è pace senza giustizia e Radicali italiani un appello per la liberazione della senatrice filippina, sottoscritto anche da tanti parlamentari italiani a Bruxelles e a Roma (tra cui diversi senatori, compreso il collega Lo Giudice del Gruppo del Partito Democratico).
Concludo, signor Presidente. Lo scorso 15 marzo, con una risoluzione, l’Unione europea ha invitato il Presidente filippino a contenere i metodi di guerra alla droga. Ma nessuna iniziativa intrapresa ha finora avuto un qualche effetto. Mi faccio oggi portavoce di tutti coloro che chiedono a gran voce alle istituzioni del nostro Paese, a quelle dell’Unione europea e alle Nazioni Unite di agire, con tutti gli strumenti necessari a livello politico e diplomatico, per ottenere l’immediata liberazione della senatrice De Lima, e perché le sia garantita un’adeguata sicurezza finché resterà in carcere e un equo processo.
Ricordo, a tal proposito, che esistono relazioni diplomatiche, culturali e politiche di lunga data sia tra il nostro Paese e le Filippine, sia tra le Filippine e l’Unione europea, e che quanto sta accadendo oggi in questo Paese costituisce una violazione di diritti universalmente sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e dal Patto internazionale dei diritti civili e politici, tale da giustificare il ricorso alla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità.’