Dunque sono candidato nel collegio plurinominale Varese, Como, Lecco, Sondrio al numero 3 della lista. Una bella sfida! Guardo sulla carta: un territorio vastissimo ricco di città, laghi, pianure, colline e montagne. Racchiude in sè tutta la bellezza della Lombardia, tutta la sua operosità, un reticolo di strade, città grandi e piccole, storie di gente umile e capitani di industria, finanzieri, montanari e frontalieri. Sento la responsabilità e il fascino di candidarmi a rappresentare un mondo così complesso e diversificato: ne sarò capace? Da solo no di certo, è questo il momento in cui sento più che mai il bisogno degli amici e di coloro che si riconoscono nei nostri stessi principi e ideali. Aiutatemi ragazzi, ho veramente bisogno di tutti voi. A chi mi scrive o mi telefona per farmi le condoglianze politiche (“è troppo difficile, non ci si può riuscire”) rispondo che sono proprio le sfide più difficili quelle che ci appassionano di più e che girerò per tutto questo territorio finché avrò fiato per parlare ( e di fiato ne ho, lo sapete.. 😜). Dunque avanti insieme, senza paura, per questa magnifica avventura, facendo del nostro meglio per dare voce ad una terra bella, accogliente, operosa.
Si è tenuta due giorni fa quella che è stata probabilmente l’ultima seduta del Senato di questa legislatura. Un po’ come l’ultimo giorno di scuola e dunque…. Dunque è giusto tentare qualche valutazione di come è andata anche se generale. Magari nei giorni prossimi cercherò di offrire qualche ulteriore approfondimento.
Sono stati cinque anni davvero intensi, appassionanti, importanti non solo per la Storia grande del nostro Paese ma anche per la storia piccola della mia vita e di coloro che ne fanno parte. Molti di coloro che leggeranno queste righe sanno che mi riferisco a loro.
Come diceva Neruda: “confesso che ho vissuto…”. Ho cercato di incontrare, di conoscere, di scambiare qualcosa con tutti, piccoli e grandi, persone famose e perfetti sconosciuti. Nei confronti di tutti ho cercato di pormi con semplicità, senza pregiudizi e con curiosità essendo consapevole che erano di più le cose che avevo da imparare di quelle che potevo insegnare. Così effettivamente è stato.
Mi sono sforzato di non replicare mai agli insulti con insulti, di cercare il dialogo anche con chi aveva posizioni profondamente diverse dalle mie e al tempo stesso di tenere il punto, di non annacquare le mie convinzioni per quieto vivere o per ricerca di un facile consenso. Ho coltivato la benevolenza senza smarrire la capacità di indignarmi. Certe volte è stato necessario.
Mi sono sforzato in ogni luogo e ora di mantenere il sorriso e uno sguardo positivo sugli altri e sul mondo non per effetto di una lettura ingenua e naif di come vanno le cose ma come unica forma possibile di resistenza, o meglio: di resilienza verso il progressivo diffondersi della volgarità, del pessimismo e della depressione che vedo crescere intorno a me. Ad esse io non intendo cedere. quindi avanti, a testa alta e sorridendo.
Ho viaggiato intensamente attraverso l’Italia e il Mondo, ho voluto andare incontro alle persone dove esse vivono, lottano, sperano senza aspettarle chiuso nelle mie stanze. Non c’é una sola Regione della nostra bella Penisola dove non sia stato per qualche incontro o dibattito e così pure ho avuto la fortuna (ma – lo rivendico – anche la caparbietà) di attraversare da Nord a Sud e da Est a Ovest il nostro bel Pianeta: da Vancouver in Canada a Pechino in Cina, da Nairobi a Libreville, da Erbil, a Damasco, a Gerusalemme, a Mexico City… Ovunque ho incontrato persone che guardavano all’Italia con interesse e aspettative e ho cercato di raccontare il nostro Paese come una Nazione che merita fiducia, investimenti, scambi commerciali. C’è molta voglia di Italia nel Mondo ma anche tanti pregiudizi negativi. Per superarli dovremo lavorare molto ma qualche volta anche tenere la schiena più dritta.
Ai tanti italiani che vivono all’estero e che fanno onore al nostro Paese ho portato la nostra gratitudine per il lavoro di rappresentanza che svolgono e al tempo stesso ho ascoltato la loro frustrazione per sentirsi troppo spesso dimenticati e abbandonati. Con molti di loro sono nate delle amicizie profonde e sincere e spero che potremo continuare a rafforzare i nostri legami e la nostra collaborazione in futuro.
Avendo fatto parte delle Commissioni Esteri, Affari Costituzionali e Politiche Europee ho avuto modo di essere spesso al centro di dibattiti su temi strategici e fondamentali e soprattutto su grandi riforme: quella della PA, il Terzo settore, la cooperazione Internazionale, le leggi elettorali, il finanziamento pubblico ai partiti e ovviamente la grande riforma costituzionale. Quest’ultima è stata anche la grande sconfitta e la grande amarezza ma io, nel pieno rispetto del voto degli italiani, ancora sono convinto che fosse una riforma buona e che sia stata una grande occasione perduta per il nostro Paese. E’ stata quella anche l’occasione per constatare piroette e voltafaccia di coloro che inizialmente l’avevano sostenuta e votata salvo poi votare contro per motivi non del tutto dicibili e il coraggio di persone come Matteo Renzi e e Maria Elena Boschi che hanno provato fino in fondo, senza riuscirci, a cambiare il nostro Paese. Il tempo è galantuomo, non ne passerà molto senza che si rilegga quella pagina in modo assai diverso da come oggi viene liquidata dai principali commentatori politici.
Grazie al ruolo di capogruppo PD in commissione Politiche Europee ho avuto modo di visitare frequentemente la nostra capitale n. 2, cioè Bruxelles, di conoscere meglio i meccanismi della UE e tanti nostri funzionari in gamba che combattono quotidianamente battaglie durissime senza che la maggior parte di noi neppure se ne renda conto. Sono grato a Sandro Gozi, a Patrizia Toja e tanti parlamentari Europei per il bel lavoro anche di squadra che abbiamo fatto. Ho avuto il privilegio di essere relatore di alcuni importanti disegni di legge, alcuni molto tecnici come la Legge Europea e la legge di Delegazione Europea altri più di sistema come la Legge sull’Editoria o sulla sulla prevenzione del radicalismo Jiadista.
Nei dibattiti sulle riforme che riguardavano i diritti civili (ad esempio il biotestamento, le unioni civili..) ho cercato di mantenere una posizione che fosse legata all’attenzione delle persone e ai loro bisogni in concreto, rifuggendo da approcci ideologici di una parte o dell’altra. Ad alcuni amici questo è piaciuto ad altri no. A distanza di qualche tempo continuo ad essere d’accordo con me stesso. Ritengo di avere anche pagato il prezzo di una certa emarginazione da parte di chi non ha apprezzato, cosa che mi è dispiaciuta e mi ha fatto soffrire ma che probabilmente è inevitabile quando si discute di questioni serie.
Soprattutto al tema dei migranti, della cittadinanza e della cooperazione internazionale ho dedicato l’ultima parte di questo mandato e sono grato a chi, innanzitutto Matteo, mi ha dato la possibilità di misurarmi su temi così importanti e centrali rispetto ai quali sento un profondo coinvolgimento intellettuale ed emotivo.
Dunque? Dunque è stato bellissimo. Atroce e bellissimo. Atroce ed importante.
Ricomincerei? subito senza esitazione e con la medesima passione ed entusiasmo di prima.
Ricomincerò? Lo spero molto ma ovviamente non dipende solo da me. Sono convinto che una candidatura non debba essere solo un progetto individuale ma un progetto di squadra. I giocatori si devono allenare al meglio ma poi è il CT (e a volte anche i tifosi che ti sostengono ma che anche ti giudicano) che deve decidere quale è la squadra migliore da mettere in campo. Se mi sarà data la possibilità di giocare questo gioco bello, atroce ed importante lo farò al meglio delle mie possibilità e con un pizzico in più di esperienza che secondo me non guasta.
Altrimenti continuerò a dare un contributo al mio Paese cercando di svolgere al meglio la mia professione di avvocato e offrendo il mio punto di vista alla comunità politica che mi ha accolto cinque anni fa, quella del PD, in cui ho conosciuto tante persone straordinarie a cui resterò tutta la vita grato per avermi dato la possibilità di condividere un tratto di strada e di vivere e sperare insieme a loro.
Dovremmo tutti unire la nostra voce, la voce delle democratiche e dei democratici, la voce di chi ama e rispetta le istituzioni, la voce di chi ha un’idea alta e nobile della politica per chiedere al Presidente della Repubblica di posticipare di qualche giorno lo scioglimento delle Camere e di consentire al Senato di discutere la legge sullo Ius Soli.
Come noto esiste un accordo tra tutte le principali forze politiche perché le prossime elezioni si tengano il 4 marzo 2018. Un breve rinvio di due o tre giorni non comprometterebbe in alcun modo il rispetto di tale scadenza: il decreto di scioglimento deve essere pubblicato non prima di 45 e non oltre 70 giorni dalla data delle elezioni. Se dunque ciò avvenisse il 12 o il 13 gennaio (o anche la settimana successiva) ci sarebbe tutto il tempo per andare a votare il 4 marzo e rispettare il dettato costituzionale e legislativo.
Perché non si è votato prima? Perché bisognava approvare la legge di bilancio. Il rischio della mancata approvazione era concreto perché una parte delle forze politiche che costituiscono la maggioranza ha dichiarato di non volere più lo ius soli (pur avendolo votato in prima lettura alla Camera). Lo sfaldamento della maggioranza che sostiene il Governo prima dell’approvazione della legge di bilancio – in assenza di una maggioranza alternativa – sarebbe stato un problema enorme.
Per chi non lo sapesse la legge di bilancio è al tempo stesso la colonna vertebrale, l’apparato cardiocircolatorio e il sistema nervoso centrale di tutto il Paese. Senza di essa sarebbe stato necessario ricorrere all’esercizio provvisorio, in pratica un respiratore artificiale, un meccanismo della durata massima di quattro mesi (alla vigilia delle elezioni!) che avrebbe condizionato o persino paralizzato la vita economica di milioni di italiani e in particolare di coloro la cui sussistenza dipende da atti della Pubblica Amministrazione (pensionati, pubblici dipendenti, fornitori della P.A. ….).
Mettere a repentaglio l’approvazione della legge di Bilancio sarebbe stato, questo sì, un atto di estrema irresponsabilità politica. Per lo stesso motivo era impensabile chiedere al Governo di porre la questione di fiducia sapendo per di più che non l’avrebbe ricevuta e che ciò avrebbe creato una crisi gravissima in un momento delicato di transizione della nostra storia politica.
Oggi la situazione è cambiata. I conti dello Stato sono stati messi in sicurezza. Il Governo si accinge a rimanere in carica, dopo lo scioglimento delle Camere, solo “per il disbrigo degli affari correnti”. Il Senato dovrebbe essere messo in condizione di discutere e votare una legge così importante e dibattuta nel Paese come lo Ius Soli.
Certo, quanto avvenuto il 23 dicembre quando è mancato il numero legale, non è stato una bella pagina della storia parlamentare. Questo sia per il comportamento di molti colleghi francamente troppo frettolosi nel lasciare l’emiciclo dopo la votazione del Bilancio (molti mi hanno detto di non avere compreso che si sarebbe votato ancora) sia per quello della Presidenza che oltre a non aver ben chiarito l’ordine dei lavori non ha tentato neppure una seconda chiama (il Regolamento ne prevede tre). Di fatto si è creata una grande confusione e tutti i gruppi politici (compresi quelli che oggi si affrettano a puntare il dito contro gli altri) hanno avuto i loro assenti.
Ritengo, ad ogni modo, che abbiano ragione coloro che sostengono che un tema così importante non avrebbe dovuto essere discusso in uno scampolo di tempo striminzito in coda a tutto il resto e che invece esso vada affrontato apertamente e lealmente nell’ambito di un dibattito parlamentare franco e trasparente. Non è detto che lo ius soli alla fine venga approvato ma è giusto che se ne faccia una discussione in cui prevalgano le considerazioni di merito anziché le furbizie. Poi ciascun parlamentare si assumerà la responsabilità delle proprie scelte di fronte agli italiani e alla propria coscienza.
Il Senatore Calderoli, per bloccare la discussione e sotterrare la legge, ha presentato 50.000 emendamenti. Ciò è stato possibile grazie ad un software, un algoritmo del quale egli va particolarmente fiero che riesce ad interpolare automaticamente le parole creando migliaia e migliaia di varianti. Ovviamente né il Senatore Calderoli né gli altri suoi colleghi che li hanno sottoscritti, hanno la benché minima idea di cosa ci sia scritto negli emendamenti. Ha fatto tutto il computer. Per leggerli tutti ci vorrebbero settimane e settimane, probabilmente mesi, immaginiamo per discuterli e per votarli….
Questa è una situazione che umilia il Parlamento e lo ridicolizza. Se si dovesse arrivare a discutere in aula i 50.000 emendamenti del sen. Calderoli sarebbe come obbligare i rappresentanti del popolo a discutere per mesi con un computer, una assoluta parodia della democrazia, un modo di lasciare il Parlamento ostaggio di un algoritmo il che non è in alcun modo tollerabile. Dunque il Presidente del Senato deve dichiarare inammissibili tutti i 50.000 emendamenti generati dal computer di Calderoli l’unico scopo dei quali è quello di impedire una effettiva discussione e che dunque hanno una portata per certi aspetti eversiva.
Esiste un precedente in epoca recente molto preciso che consente, anzi impone, al Presidente Grasso una tale dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità. Si tratta della decisione con la quale vennero estromessi dal dibattito sulla riforma costituzionale i quasi 85 milioni (nessuno ne conosceva neppure il numero) sempre presentati dal senatore Calderoli grazie al suo algoritmo. Anche allora, come oggi, si pose il problema della compatibilità di un tal numero di emendamenti con il regolare svolgimento del dibattito parlamentare e si arrivò giustamente alla decisione di escluderli.
Il Presidente del Senato consenta anche oggi ai parlamentari di discutere e di prendere posizione su questa legge così importante per il futuro dell’Italia, consenta a chi è favorevole di spiegare le ragioni per le quali ritiene che ciò sia un bene per il nostro Paese e a chi è contrario perché sarebbe un male. Consenta ai cittadini di farsene una idea informata. Che però si discuta. Apertamente. Lealmente. Nel merito. Ciò darebbe decoro alla istituzione parlamentare e imporrebbe una assunzione di responsabilità da parte di tutti.
Io sono favorevole allo Ius soli e voglio brevemente argomentare i motivi per i quali ritengo che ciò sia non solo giusto ma anche nell’interesse del nostro Paese e di tutti gli italiani. Per farlo non utilizzerò l’ argomento un po’ emotivo dell’accoglienza-a-qualunque-costo. Anch’io ritengo che non è possibile un’accoglienza indiscriminata e che essa trova il limite nella nostra capacità di integrazione. Sceglierò l’argomento prediletto dagli avversari di questa legge: quello della sicurezza. Il Senatore Calderoli, ad esempio, è giunto ad affermare in aula nei giorni scorsi che bisognava bloccare la legge per “impedire l’attentato” (quale attentato egli non ha ritenuto però di farci sapere). Al di là dell’assurdità di tale affermazione è giusto riconoscere che si è diffuso nel nostro Paese un senso di inquietudine e insicurezza con i quali bisogna fare i conti. Certo, si dirà, esso è stato diffuso e alimentato ad arte da quelle forze politiche fanno leva sul sentimento di paura e persino di panico (“impediamo l’attentato”) per trarne un profitto elettorale. Però esso ormai esiste fra di noi e dobbiamo farci i conti. Come? in primo luogo ribadendo che il panico e la paura sono sempre la peggiore risposta. E’ invece necessario ragionare e informarsi.
Lo ius soli non attribuisce la cittadinanza a chiunque arrivi sul nostro territorio. Riguarda invece bambini fino ai 12 anni che siano nati in Italia o che qui vi abbiano passato la maggior parte della loro vita, che qui abbiano studiato a scuola per almeno cinque anni. Essi devono essere figli di chi, a sua volta, abbia un permesso di soggiorno di lungo periodo in corso di validità e che per questo motivo sia soggiornante in Italia da almeno cinque anni (per motivi di natura burocratica di fatto molto di più), abbia un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale, disponga di un alloggio che abbia i requisiti di idoneità previsti dalla legge, abbia superato un test di italiano.
Dunque non basta essere nati in Italia (come sembrerebbe dall’espressione troppo semplificata di “Ius soli”) ma bisogna che sia i genitori che i figli abbiano compiuto un lungo e serio percorso di integrazione.
Di fatto sono bambini, ragazzi per i quali la cultura e la lingua italiana definiscono più di ogni altro la loro identità, hanno frequentato le medesime scuole dei nostri figli, i medesimi giardinetti, le stesse parrocchie. Hanno visto gli stessi film e fatto la medesima raccolta di figurine. Se dovessero essere deportati o espulsi dove andrebbero? In un Paese d’origine che non hanno mai conosciuto, di cui non conoscono nulla e che nulla conosce di loro? La verità è che sono naturalmente già italiani, a prescindere dal nostro riconoscimento di cittadinanza. Perché far pagare a loro le nostre paure? perché farli sentire italiani di serie B?
Davvero questo ci rende più sicuri? Davvero questo consentirà di prevenire l’attentato? E’ evidente che non è così. La strada della sicurezza si chiama integrazione. Chi si sente integrato, accettato da una comunità ha maggiori possibilità di chi si sente escluso di sentirsi parte di un comune destino. L’integrazione favorisce un processo di assunzione di responsabilità verso la comunità e la società che accoglie. E’ l’ospite che diventa custode.
Se guardiamo invece a ciò che è successo negli altri Paesi europei dove ci sono stati attentati terroristici vediamo che essi si sono verificati proprio laddove il processo di integrazione non si è compiuto, là dove sono state creati creati dei ghetti (Mollenbek in Belgio, alcune periferie di Parigi o di Baltimora, ad esempio), là dove il risentimento, il senso di frustrazione, il rancore per l’esclusione e l’emarginazione sono stati detonatori di un sentimento di ribellione e rivalsa.
Vogliamo davvero seguire questi esempi? Vogliamo far crescere il sentimento di esclusione in tanti ragazzi che semplicemente chiedono di essere parte piena della nostra società? Vogliamo discriminare tra i ragazzi che frequentano allegramente le nostre scuole e imporre ad alcuni di loro lo stigma di potenziali terroristi? Vogliamo escluderli dal nostro consesso in ragione delle nostre paranoie? Vogliamo tenerli in una zona d’ombra pensando che non vedendoli essi non esistano?facciamolo e avremo caricato la molla di una bomba a orologeria che scoppierà da qui a pochi anni. la bomba della rabbia, del disprezzo, della ribellione. E speriamo che sia solo quella. La strada dell’esclusione è quella che ci porterà un futuro carico di discordia, timore ed insicurezza.
Chi oggi predica l’esclusione si rende corresponsabile dell’ingiustizia e della ribellione di domani.
Parliamo dunque oggi di questa legge: è importante per il nostro futuro, è possibile, è giusto, è nel nostro interesse.
Roberto Cociancich
Senatore e responsabile Dipartimento PD Cooperazione Internazionale
“IO VI SCONGIURO DI ESSERE INDIGNATI”. Il Senatore PD Sergio Zavoli, intervenuto questa mattina nel dibattito sulla legge elettorale, anche in risposta ad una provocazione di una collega del Movimento Cinque Stelle, cita la celebre frase di Martin Luther King e spiega le ragioni del suo sì al voto di fiducia.
Vi riporto di seguito alcuni stralci del suo discorso che mi ha emozionato ed arricchito.
(…) Io ho una mia attitudine particolare per la questione del dubbio, dell’essere nutriti continuamente da questa saggezza di cui siamo tutti portatori. Anche le persone più riottose, più reticenti e più renitenti alla dialettica della verità, contengono in sé, forse magari non percependone il significato, l’istinto di porsi il problema anche che una cosa può essere del tutto diversa. Vivere oggi dovrebbe poter significare convivere con la velocità e la complessità del tempo che stiamo vivendo, dove il cambiamento non è più il cambiamento, ma è la velocità del cambiamento. Dovremmo essere tutti consapevoli che ormai non siamo più nella necessità di risolvere le nostre questioni se non abbandonandoci alla frettolosità, alla sommarietà e alla negligenza, anziché dedicarvi l’attenzione, l’impegno e la tensione anche morale ed etica (perché no?) che meriterebbero, trattandosi di problemi come quelli che abbiamo trattato fino a oggi, quasi che non fossimo più tenuti a rispettare noi stessi, il nostro bisogno di vivere con gli altri e quindi di rappresentare una civiltà che si muove, si giustifica e cresce soltanto in funzione dello stare insieme. Don Milani disse che la politica è “uscirne insieme”: non voleva dire una cosa generica e soltanto virtuosa, ma voleva dire semplicemente che ciascuno di noi da sé è la metà di ciò che dovrebbe, l’altra metà probabilmente è l’altro. (…)
Questa è una cosa che riguarda il senso dello stare qui, in quest’Aula che non è affatto sorda e grigia, ma che rischia di diventare così debole, così disincantata, così al di fuori della realtà tanto da doversi dire che, in fondo, tutto può essere o diventare diverso, quindi non vale la pena neppure impegnarsi di volta in volta. Io credo invece che sia una buona ragione quella un po’ pedissequa, o forse banalizzante, del prendere sul serio tutte le cose, anche quelle che ci paiono strumentali e anche ricche di progetti non tutti dicibili, ma che devono cominciare a coltivare se stessi e quindi hanno bisogno di credibilità, di apparenza. E così nascono le situazioni di oggi.
Io spero che questa circostanza servirà a ricreare un clima che deve corrispondere alla serietà e alla dignità di questo luogo. Il giorno in cui perdessimo la nostra credibilità, credo che dovremmo salutare la pretesa di essere stati dei bravi democratici che sono usciti da esperienze tragiche per rifare la dignità di un popolo e di una Nazione. Il populismo è una dannazione, è un male; probabilmente c’è qualcosa di naturaliter dentro questa cosa, ma è un motivo in più per diventare più generosi, più disponibili, più attenti all’ascolto. Lo ripeto, non si esce mai completamenti indenni da un’obiezione che ci viene da un interlocutore, chiunque sia, anche in treno, in tram o per strada, anche in famiglia.
Abbiamo bisogno di questa biodiversità intellettuale, morale, etica; la stessa parola etica ha bisogno di rinnovarsi. Quindi perché allarmarsi tanto per qualcosa che si è messo in movimento e che, in qualche modo, genererà qualche cosa che nascerà anche dagli errori di questo momento? Non dobbiamo credere di aver esaurito il meglio di noi stessi venendo puntualmente qui a fare o ad ascoltare discorsi più o meno lunghi, più o meno enfatici; tranne naturalmente le perle di chi si sente che si è impegnato a costruire un qualcosa che deve partecipare a un interesse di carattere generale.
Avverto però una certa stanchezza, la avverto e credo di soffrirne come tutti voi. Ho grande stima e rispetto per il valore indicibile della costanza e della pazienza che manifesta il Presidente del Senato e mi chiedo se non vi sia un motivo molto serio per rivedere, in nome della serietà personale di ciascuno di noi, le questioni che ci tengono lontani, come se fossimo veramente a fare una guerra, anziché cercare una pace sociale, civile, culturale, persino etica. Tanto che Giorello, uno scienziato, fra l’altro non credente, parlando dell’etica ha detto che bisogna rinnovare questa parola e liberarla da questo sentore così nobile e così virtuoso. Bisogna accettare che nell’etica possano trovare voce anche le tensioni, anche le voci che contraddicono la serietà e il rigore della parola.
Quindi c’è in giro questo bisogno di novità. Io credo che, se non decideremo di far parte di un mondo che si salva soltanto mettendosi insieme e unendo le forze, il prestigio di istituzioni come le due Camere possa determinare una situazione di grande gravità democratica. E allora che dire? Abbiamo ancora il tempo per mettere a posto le cose e non dovremo credere che, risolta con il voto di fiducia questa questione, la questione perciò stesso sia risolta. La questione rimane in piedi, con tutto il carico del tempo perduto, delle offese gratuite e del bisogno qua e là di cercare gli spazi del rigoglio che hanno le cose clamorose, le manifestazioni chiassose, che finiscono per mobilitare poi le giuste ridondanze della piazza.
Io sono entrato in Senato e ho notato che non è del tutto vero quello che diceva il collega Mineo questa mattina, cioè che fuori non si coglieva alcun segno del disappunto della gente. C’era invece molta gente e molto indignata, tanto che mi è venuto in mente Luther King, che, nella sua veste di prete, ebbe il coraggio di dire una cosa che nessun laico che agisse politicamente (perché Luther King faceva anche politica mentre parlava dei problemi che riguardavano la sua missione) avrebbe detto. Egli gridò: «Io vi scongiuro di essere indignati». È una frase che mi sarebbe piaciuto sentire ieri da qualcuno. Mi auguro che l’abbiamo pensato un po’ tutti.
Durante la seduta dello scorso 19 settembre, sono rimasto molto colpito dall’intervento pronunciato dalla Senatrice Mattesini, in tema di femminicidio. Mentre ascoltavo il suo intervento, ho pensato al 1967 e alla parola “R-E-S-P-E.C-T” scandita da Aretha Franklin nel riadattamento della canzone di Otis Redding. E il 1967 e in America i movimenti per diritti civili si stanno saldando tra loro per chiedere rispetto. Siamo nel 2017, che ne è stato di quel rispetto e di quelle lotte? La cronaca degli ultimi giorni ci consegna racconti di morte e di violenza contro le donne, uccise per mano di assassini che ancora oggi i media stentano a definire come tali. Non è un ‘fidanzatino’, non è un marito, non è un padre, non è uomo quello che per mezzo della propria mano uccide una donna. E’ un assassino.
Il femminicidio non è l’espiazione della colpa di una donna ma il reato commesso da un uomo vigliacco. Non c’è colpa nelle vittime, ma dolo negli assassini. Il linguaggio è importante, sempre: non può il linguaggio giustificare un’azione.
“MATTESINI (PD). Signor Presidente, con questo intervento di fine seduta continua oggi, qui in Senato, la staffetta con cui, insieme a tante senatrici e a tanti senatori, ricordiamo ogni donna che viene uccisa per mano di un uomo a cui è o è stata legata da relazione amorosa. Lo faremo sino a che sarà necessario ricordare al Parlamento e al Paese tutto l’urgenza di arginare la violenza nei confronti delle donne.
Sono ad oggi 79 le donne che abbiamo ricordato e, dal 2 luglio, data del nostro ultimo intervento, sono state uccise altre 10 donne. Le ricordo: il 31 luglio Alba Chiara Baroni, di ventiquattro anni, è stata uccisa in provincia di Trento dal proprio compagno, che poi si è suicidato. Sempre 31 luglio a Palmanova, in provincia di Udine, Nadia Orlando, di ventuno anni, è stata strangolata dal suo fidanzato, che ha poi vagato tutta la notte con il suo corpo accasciato sul sedile del passeggero.
Il 4 agosto a Ferrara, Mariella Mangolini, di settantasette anni, è stata uccisa con un colpo di pistola dal marito, che ha poi ucciso allo stesso modo il figlio di quarantotto anni.
Il 17 agosto, a Dogaletto di Mira, in provincia di Venezia, Sabrina Panzonato, di cinquantadue anni, dopo essere stata ferita con una coltellata al fianco, è fuggita in strada, dove l’ha raggiunta il marito e l’ha uccisa con un colpo alla testa, per poi suicidarsi. La coppia lascia soli due figli.
Il 21 agosto, a Bressanone, in provincia di Bolzano, Marianna Obrist, di trentanove anni, è stata uccisa a coltellate dal compagno, mentre faceva il bagno. Laura Pirri, di trentuno anni, è invece morta in ospedale il 25 marzo scorso, dopo diciotto giorni di agonia, per ustioni gravi su tutto il corpo. Ma non si trattava di un incidente domestico: il 6 settembre il marito è stato arrestato con l’accusa di omicidio, per avere dato fuoco volontariamente alla moglie, come ultimo atto di una lunga serie di maltrattamenti e violenze nei suoi confronti. Decisiva è stata la testimonianza del figlio di dieci anni.
Il 3 settembre, a Specchia, in provincia di Lecce, Noemi Durini, di sedici anni, è stata uccisa dal fidanzato di diciassette anni. Il ragazzo era stato denunciato alla procura dalla mamma di Noemi per violenze nei confronti della figlia. Erano, infatti, in atto due procedimenti, uno penale e uno civile, nei suoi confronti.
L’8 settembre, il gip del tribunale di Napoli Nord ha convalidato l’arresto dell’ex fidanzato di Alessandra Madonna, di ventiquattro anni, accusato di averne provocato la morte, trascinandola con l’auto nel parco in cui risiede, a Mugnano di Napoli. Il 9 settembre a Donoratico, in provincia di Cagliari, Joelle Demontis, di cinquantotto anni, è stata uccisa a coltellate nella sua abitazione. La donna portava ancora i segni di percosse probabilmente subite nei giorni precedenti la morte. Per l’omicidio sono stati arrestati il compagno della donna e una ragazza di ventisei anni che abitava con loro.
Il 15 settembre, a Casale Monferrato, in provincia di Alessandria, Elena Seprodi, di quarantotto anni, è stata uccisa a coltellate dall’ex marito nella sua abitazione al culmine di un litigio. La donna lascia un figlio.
Mi sono sempre chiesta cosa succede nella testa di quell’uomo che trasforma quasi in una sagoma di cartone, contro cui scagliare la propria furia omicida, la donna con cui ha condiviso passione, amore, sogni, progetti e magari ha generato figli. Questa domanda è importante, ma è bene ricordare che noi donne siamo persone, non semplici cose di cui disporre a proprio piacimento.
Abbiamo buone leggi: il Governo e il Parlamento, nel corso del tempo, hanno fatto molto e molto stanno facendo. Sto pensando al rafforzamento della rete delle case rifugio, all’introduzione del congedo retribuito per le donne lavoratrici, comprese quelle autonome, quando devono allontanarsi da casa, per la loro sicurezza. Sto pensando all’educazione di genere inserita nella legge sulla buona scuola. E dovremo sicuramente lavorare per fare ancora di più sul versante della certezza della pena. E l’auspicio che faccio è che il Parlamento e il Governo rafforzino, anche nella prossima legge di stabilità, risorse importanti utile alla lotta della violenza sulle donne. Allo stesso modo, spero che approveremo rapidamente il disegno di legge sugli orfani di femminicidio.
Le leggi, quindi, sono importanti, ma tutto questo non basta, perché il problema è culturale. Il problema sono quegli uomini, sempre più numerosi, che, non essendo capaci di ritrovare dentro se stessi un nuovo equilibrio, scelgono di uccidere piuttosto che accettare la fine di una relazione amorosa. Il problema sono quelli uomini che di fronte – ad esempio – agli stupri e alle violenze, dicono che le donne devono essere più caute. Quando una relazione amorosa finisce, può aprirsi il baratro dell’abbandono e si deve sicuramente imparare ad andare avanti lo stesso, anche se talvolta può essere doloroso e può sembrare impossibile. Ma tutto questo dolore non può assolutamente giustificare mai la violenza e mai la violenza omicida. È davvero drammatico che tanti uomini oggi non riescano ancora a capirlo né a farsene una ragione, arrogandosi il diritto di strappare alla vita chi da quella relazione vuole uscire. E allora l’impegno e la battaglia sono sicuramente quelli che ho detto prima, ma devono essere anche sul piano culturale ed è su questo piano che dobbiamo lavorare tutti insieme, uomini e donne.
Da questo ramo del Parlamento, dal Senato, io mi sento di rivolgere un appello in modo forte in via principale agli uomini dicendo loro: prendete parola, anche autonomamente; organizzatevi; dite no alla violenza sulle donne; raccontate agli altri uomini, voi che siete quella parte capace di apprezzare la differenza e di stare in modo paritario e rispettoso all’interno di una relazione, quanto sia bello essere persone libere; amateci per quello che siamo, e cioè persone libere capaci di rispetto anche all’interno di una relazione amorosa. Ditelo, perché l’amore è sicuramente l’energia più potente, ma così, come ci si innamora in modo naturale, è altrettanto naturale e normale che quell’amore sfumi, senza che ci siano vinti o vincitori. La violenza non è una variante dell’amore: è violenza e basta. Nasce, si sviluppa e si nutre dentro una cultura o sottocultura che ancora oggi ha come contesto lo svantaggio sociale per le donne.
Per tutto questo, ripropongo il nostro appello a tutto il Paese e ai media dico: smettete di giustificare, anche solo con un linguaggio sbagliato, gli assassini. Smettete di chiamarli, come ad esempio in tutte le trasmissioni televisive in cui si parla di Noemi, «il fidanzatino». Non sono fidanzatini o altro: sono assassini. E smettete di colpevolizzare le donne.
Al Paese tutto dico di avere un sussulto, ma non temporaneo, di indignazione e di sdegno permanente, perché sono davvero troppe le donne che vengono uccise. Ormai è una strage che non possiamo più accettare. “
Il voto di oggi ha garantito al nostro paese più libertà di scelta, più tutele e risparmi per i cittadini, più credibilità per il nostro Paese in Europa e quindi maggiore competitività. Certo, è stato un iter molto lungo: il decreto del Governo è datato 2015: un’attesa troppo lunga perché una materia che a volte sembra essere già veloce del tempo presente, possa essere affrontata e fornire quelle risposte che cittadini ed imprese attendono da un testo come questo.
Ecco le principali novità introdotte dal Decreto Concorrenza , redatte dall’ufficio stampa dei SenatoriPD :
RC AUTO
TORNA ‘TACITO RINNOVO’ – E’ uno dei temi ritoccati nell’ultimo passaggio parlamentare alla Camera. Un emendamento reintroduce il meccanismo del tacito rinnovo delle polizze in scadenza del ramo danni. SCONTI OBBLIGATORI – Previsti sconti per i clienti che installano la scatola nera, accettano di sottoporre il veicolo a ispezione o di collocare un dispositivo che impedisce alla persona di accendere il motore se ha bevuto troppo. Tariffe più basse anche per gli automobilisti ‘virtuosi’ che risiedono nelle aree a più alta sinistrosità e con prezzi medi maggiori. I criteri per applicare la scontistica saranno indicati dall’Ivass a cui spetta anche la verifica. Nel caso di mancato sconto sono previste sanzioni amministrative per le assicurazioni da 5.000 euro a 40.000 euro.
ENERGIA
SLITTA FINE MERCATO TUTELATO – Slitta dal 1 gennaio al 1 luglio 2018 la fine del mercato di maggior tutela per l’energia elettrica e il gas. Arriva, inoltre, la possibilità di rateizzare le maxi-bollette causate da ritardi o disguidi dovuti al fornitore del servizio.
ELIMINATA ASTA FORNITURE ELETTRICHE – Viene eliminata la possibilità di mettere all’asta la fornitura di energia elettrica per quegli utenti che non avranno optato per un operatore alla scadenza del regime di mercato tutelato.
TELEMARKETING – Sono state abolite le norme che obbligavano gli operatori dei call center a dichiarare l’identità del soggetto per il quale avviene la chiamata, specificare la natura commerciale e proseguire la chiamata solo in presenza di assenso del destinatario.
ODONTOIATRI – Ogni società deve avere un direttore sanitario iscritto all’albo degli odontoiatri e possono operare solo i soggetti in possesso di titoli abilitanti.
UBER – Entro un anno dall’entrata in vigore del ddl il governo è delegato ad adottare un decreto legislativo per la revisione della disciplina in materia di autoservizi pubblici non di linea, come Uber e Ncc.
POSTE, STOP ESCLUSIVA SU NOTIFICHE MULTE – A partire dal 10 giugno 2017, Poste italiane non avrà più l’esclusiva sulle notifiche di atti giudiziari e multe. –
BANCHE, TETTI SUI COSTI PER CHIAMATE ASSISTENZA – Gli istituti bancari e le società di carte di credito assicurano che l’accesso ai propri servizi di assistenza ai clienti, anche attraverso chiamata da telefono mobile, avvenga a costi telefonici non superiori rispetto alla tariffa ordinaria urbana.
CAMBIO OPERATORE TV O TELEFONO – I clienti dovranno essere informati in partenza di quali spese dovranno affrontare in caso di cambio operatore per il telefono o l’abbonamento tv. Cambiare operatore e annullare un contratto (con il recesso) sono operazioni che il consumatore potrà fare anche per via telematica. Il contratto non potrà essere superiore ai 24 mesi. Semplificate le procedure di migrazione tra operatori di telefonia mobile.
PAGAMENTI DIGITALIZZATI – I pagamenti per l’ingresso ai musei o a eventi culturali potranno essere effettuati anche tramite telefonino.
AVVOCATI – L’esercizio della professione forense in forma societaria è consentito a società di persone, a società di capitali o a società cooperative iscritte in un’apposita sezione speciale dell’albo tenuto dall’ordine territoriale nella cui circoscrizione ha sede la stessa società.
NOTAI – Il numero dei notai sale a uno ogni 5mila abitanti (oggi sono uno ogni 7mila abitanti). Il registro delle successioni sarà tenuto dal Consiglio nazionale del notariato. Per la costituzione delle srl semplificate continuerà a essere necessario l’intervento del notaio.
FARMACIE – Le società di capitali potranno essere titolari di farmacie ma dovranno rispettare un tetto del 20% su base regionale. I titolari potranno prestare servizio in orari o periodi aggiuntivi rispetto a quelli obbligatori previa comunicazione all’autorità sanitaria competente e alla clientela.
HOTEL, STOP AL ‘PARITY RATE’ – Gli alberghi saranno liberi di fare alla clientela offerte migliori rispetto a quelle dei siti Internet di prenotazione online come Booking.
BONIFICHE DISTRIBUTORI BENZINA – In caso di riutilizzo dell’area i titolari di impianti di distribuzione dei carburanti procedono alla rimozione delle strutture interrate ma, nel caso di accertata contaminazione, si precisa che si procede alla bonifica in ogni caso.